Luc Tuymans. Il pittore dell'inadeguatezza


Il fiammingo Luc Tuymans è riconosciuto come uno dei più influenti pittori contemporanei. Sua è, tra l'altro, la natura morta più grande di sempre. In questo articolo tracciamo un suo profilo e vediamo alcune delle sue opere più significative.

Una delle opere più famose di Luc Tuymans (Mortsel, 1958) è un’enorme Natura morta, di tre metri e mezzo per cinque. Forse è la più grande natura morta dell’intera storia dell’arte. Di sicuro è una delle realizzazioni più impegnative dell’artista fiammingo (oltre a essere l’opera di maggiori dimensioni da lui eseguita), nonché una delle più profonde. A vederla non si direbbe che quegli oggetti così apparentemente insignificanti, ovvero un po’ di frutta, un paio di piatti e una brocca d’acqua, in realtà scaturiscano da uno degli eventi più tragici della storia recente. È il 2002, Luc Tuymans è chiamato ad esporre a Documenta 11 a Kassel, e la manifestazione, curata quell’anno da Okwui Enwezor, si conclude il 15 settembre, pochi giorni dopo il primo anniversario delle stragi dell’11 settembre 2001: di conseguenza, la rassegna tedesca è contraddistinta da forti connotazioni politiche e sociali, e pubblico e critica s’aspettano che anche Tuymans proponga un’opera pienamente centrata su questi temi. Il pittore si presenta invece con la sua gigantesca natura morta. Era il modo più immediato che l’artista aveva trovato per rispondere all’orrendo accadimento d’un anno prima. “Mia moglie e io eravamo negli USA durante gli attacchi dell’11 settembre”, ha spiegato Tuymans in occasione di un’importante personale tenutasi alla Tate Modern di Londra nel 2004. “Ovviamente eravamo scioccati. Cosa si poteva fare di fronte a tutte quelle immagini che venivano costantemente riproposte ad ogni angolo? A un certo punto erano diventate disgustose. Quindi ho avuto l’idea di fare qualcosa di diverso. Di fare qualcosa per contrastare quelle immagini. Sono tornato all’idea di idilliaco. All’idea di questa natura morta. Ma esagerata nelle dimensioni, in modo che potesse sconvolgere l’osservatore [...]. Questa natura morta offre un’immagine all’osservatore, ma allo stesso tempo la distrugge. La disintegra nella misura in cui si presenta con questa imponenza”.

Uno dei termini-chiave per comprendere la poetica di Tuymans è “inadeguatezza”. Il pittore si sentiva in certo modo inadeguato di fronte al profluvio d’immagini che lo avevano assalito durante i giorni dell’attentato e nelle settimane successive. “Gli attacchi dell’11 settembre”, ha detto, “sono stati anche un assalto all’estetica”. Di qui, l’esigenza di reagire. Con un dipinto ordinario, familiare, quasi banale. Ma alterato nelle sue dimensioni, in modo da diventare spiazzante: il riguardante prova lo stesso senso d’inadeguatezza di fronte a quell’immagine. Non solo: la grande Natura morta rappresenta un tentativo di sublimazione, un modo per sostituire la violenza di certe immagini con una serie d’oggetti atti a evocare diverse sensazioni. Eppure, quell’immagine diventa essa stessa una sorta di marchio della violenza, dal momento che si pone come modo per rimpiazzare le immagini della tragedia. È in questo senso che si compie la strategia di Tuymans, che ci pone dinnanzi al nostro modo di rapportarci con le immagini: l’artista, ha scritto il critoco Ronan McKinney, “non afferma l’irrappresentabilità dell’11 settembre, né produce un’immagine che invoca l’evento. Al contrario, Tuymans indaga la capacità dell’immagine di rappresentare più di ciò che rende visibile, in modo da presentare l’irrappresentabile non al di là della rappresentazione, ma sempre nascosto nella rappresentazione, sempre mentre infesta la rappresentazione”.

Questi meccanismi hanno sempre fatto parte dell’arte di Luc Tuymans, fin dagli esordi. Particolarmente densa è un’opera come Ganzen (“Oche”), del 1987: apparentemente un dipinto infantile, che riproduce un poster che Tuymans aveva appeso nella sua camera da bambino, cela in realtà un disagio profondo, dal momento che quel manifesto gl’incuteva timore. Ed è proprio questo disagio che fa il suo ingresso nell’arte di Tuymans. Si tratta d’un disagio che si nasconde persino dietro gli oggetti più comuni, che striscia attraverso la più semplice quotidianità, che morde da dietro un’apparenza dall’aspetto innocuo. Un dipinto che mostra un’immagine ordinaria, composta da una scatola, una specie di logo (un tulipano o la testa di un gatto), un prato e due macchie di colore che sembrano due palle, viene intitolato Child abuse: il senso del dipinto è che dietro una realtà apparentemente normale possano nascondersi storie inquietanti e dolorose.

Luc Tuymans, Still life
Luc Tuymans, Still life (2002; olio su tela, 347 x 500 cm)


Luc Tuymans, Ganzen
Luc Tuymans, Ganzen (1987; olio su tela, 80 x 120 cm; Ostenda, Mu.ZEE)


Luc Tuymans, Child Abuse
Luc Tuymans, Child Abuse (1989; olio su tela, 55 x 60 cm)

E per cercare queste storie inquietanti, spesso Tuymans non ha neppure dovuto guardare lontano. L’artista raccontava di come una sera, quando aveva cinque anni, durante una cena dai nonni in cui era presente tutta la famiglia, il fratello di sua mamma avesse cominciato a sfogliare un album di fotografie, dal quale cadde una foto che ritraeva uno degli zii paterni del pittore, anch’egli di nome Luc, da ragazzo, mentre faceva il saluto romano. La madre del pittore, olandese, aveva fatto parte della Resistenza nel suo paese e aveva contribuito a nascondere molti perseguitati politici. Il padre fu dunque costretto ad ammettere che due dei suoi fratelli fecero parte della Hitler-Jugend. L’episodio ebbe delle importanti ripercussioni sul buon andamento del matrimonio dei genitori di Luc Tuymans. E ovviamente sulla sua stessa produzione artistica, che più volte s’è confrontata col tema della seconda guerra mondiale. In tal senso, una delle opere più celebri è Gaskammer (“Camera a gas”). È stata realizzata dall’artista nel 1986, e anche in questo caso Tuymans rappresenta l’orrore celato dietro un’apparente semplice stanza. Un ambiente vuoto, senza finestre, dominato da colori spenti, il marrone, il beige e il nero. Su di una parete, quasi in un angolo, appare una porta, sul pavimento al centro della stanza vediamo una grata e sul soffitto delle macchie indefinite di color marrone. Leggendo il titolo, il riferimento diviene subito più chiaro: Gaskammer. Una camera a gas, luogo d’orrore e atrocità, dove sono state uccise migliaia di persone deportate nei campi di concentramento: l’artista le ha visitate in prima persona, è stato a Mauthausen, ed è lì che è sorta l’ispirazione per questo dipinto. Quella che apparentemente sembrava uno scantinato, in realtà si rivela un luogo di morte. Gli stessi colori tendono a esprimere, ancora una volta, questo senso d’inadeguatezza che l’artista prova di fronte a una tragedia enorme, la più immane della storia dell’umanità. Non sono soltanto scialbi, quasi sbiaditi, ma sono anche stesi con pennellate tremolanti, quasi che l’artista provasse un senso d’angoscia nel momento stesso in cui dipingeva. “È forse il dipinto più problematico che io abbia mai eseguito”, ha dichiarato Luc Tuymans, sempre in occasione della mostra alla Tate Modern. E il problema più grande è all’incirca lo stesso che l’artista avrebbe affrontato all’indomani dell’11 settembre: “il contenuto è orrendo, ma dall’altro lato il dipinto ha un proprio valore estetico. Ed è proprio questo ciò che m’interessava: bucare questo tabù”.

Quest’apparente semplicità evidenzia in modo profondo la quotidiana “abitudine” di provocare con un’impensabile freddezza la morte a persone indifese e innocenti. E alla mostra del 2004 questa quotidianità della tragedia veniva enfatizzata con l’esposizione di Plates, un dipinto del 1993 in cui si vedono cinque piatti in porcellana, simili a quelli che lo stesso Tuymans avrebbe poi dipinto nell’omonima serie del 2011, oggi conservata al MuHKA, il museo d’arte contemporanea di Anversa. La serie raffigura cinque piatti in porcellana provenienti dalla collezione personale dell’artista: si tratta di prodotti dell’industria ceramica della Croazia, realizzati quando tale produzione rappresentava l’orgoglio nazionale, durante il periodo comunista. La serie è stata utilizzata per la realizzazione di un murale in occasione dell’esposizione “Allo” tenutasi nella rotonda del Padiglione di Meštrovic in Croazia nel 2012, mostra organizzata dall’Institute for the Research of the Avant-garde and HDLU di Zagabria, in collaborazione con la galleria David Zwirner di Colonia, con la quale Luc Tuymans collabora da tempo. E mostra in cui i piatti del 2011 assolvevano alla stessa funzione di quelli del 1993: evocare un interno borghese, semplice, quotidiano, per suggerire all’osservatore, ancora, come la banalità spesso celi segreti atroci. I nazisti che si macchiarono del più grave crimine contro l’umanità della storia, del resto, non erano mostri arrivati da chissà dove. Erano persone normalissime, che al di fuori dei campi di sterminio conducevano tranquille e mediocri vite borghesi. I dipinti di Tuymans, in sostanza, diventano quasi una trasposizione iconografica delle tesi di Hannah Arendt.

La singolarità delle opere di Tuymans consiste proprio nel saper rappresentare fatti ed eventi della storia collettiva, spesso tragici, focalizzandosi su dettagli superflui, macchie di colore indefinite, che ad un primo sguardo non rimandano al reale significato dell’opera. Temi irrapresentabili come l’olocausto, la xenofobia, il colonialismo e tanti altri ancora sono raccontati nei capolavori di Tuymans attraverso dettagli irriconoscibili, che nell’immediatezza ne rendono impercepibile la vera lettura. In questo senso l’intera attività artistica di Luc Tuymans diviene un’allegoria della memoria contemporanea, dove ricordo privato e significato collettivo, immagine e tempo appaiono tra loro distanti, difficilmente relazionabili. In un’intervista l’artista ha dichiarato che “il titolo stesso è il cuore dell’immagine e non può essere mai dipinto: esso è l’immagine assente”. Il rapporto tra Tuymans e la storia è ben rappresentato da questa affermazione, che ci parla dell’incapacità e dell’impossibilità della rappresentazione della memoria collettiva, che tuttavia, solo attraverso il titolo dell’immagine, è possibile comprendere. Altro tema della memoria collettiva irrappresentabile è l’imperialismo belga in Congo, tematica con cui l’artista si misurò alla Biennale di Venezia del 2001 portando in laguna la serie Mwana Kitoko. Beautiful White Man. Nel dipinto più noto della serie vediamo raffigurato un uomo in uniforme bianca, distinto, con occhiali da sole, probabilmente appena sceso da un aereo che si intravede alle sue spalle. L’uomo è in realtà il re Baldovino del Belgio, che nel 1955, all’età di venticinque anni, si recò in Congo per una visita ufficiale. “Mwana kitoko” era il nomignolo che i congolesi avevano affibbiato al giovane sovrano, con intento irrisorio: “mwana kitoko” significa infatti “bel ragazzino”. Le autorità del Belgio, non potendo tollerare quello che appariva come un insulto, colsero la palla al balzo per cambiare il soprannome in “bwana kitoko”, “uomo bello”, ma anche “uomo di aspetto nobile”. Tuymans, col titolo dell’opera, intendeva riaffermare il punto di vista dei colonizzati.

L’idea di portare quest’opera alla Biennale del 2001 è dovuta a un preciso accadimento: all’epoca, una commissione aveva appena cominciato a investigare sul possibile coinvolgimento del Belgio nell’assassinio, occorso nel 1961, del fondatore del Movimento Nazionale del Congo, Patrice Lumumba. Tuymans ha ritenuto importante mostrare al pubblico un certo numero di opere che rimandassero alla storia del paese e in particolare al passato imperialista del Belgio. Come sua abitudine, però, non lo ha fatto direttamente, ma ha cercato di rappresentare indirettamente immagini che fossero associate al colonialismo belga. Un tema del passato che comunque stava comportando conseguenze nel presente. Scopo dell’opera quindi era evocare un momento storico, una particolare situazione, offrendo ai visitatori molteplici linee di pensiero.

Luc Tuymans, Gaskammer
Luc Tuymans, Gaskammer (1986; olio su tela, 50 x 70 cm; Collezione privata)


Luc Tuymans, Plates
Luc Tuymans, Plates (1993; olio su tela; Collezione privata)


Luc Tuymans, Plates
Luc Tuymans, Plates (2011; litografie, 70 x 50 ciascuna; Anversa, MuHKA)


Luc Tuymans, Mwana Kitoko
Luc Tuymans, Mwana Kitoko (2000; olio su tela, 208 x 90 cm; Gent, SMAK - Stedelijk Museum voor Actuele Kunst)

Lo stesso Patrice Lumumba è stato raffigurato da Tuymans nel 2000, in un ritratto conservato oggi al MoMA di New York, e realizzato a partire da una fotografia dell’allora primo ministro della Repubblica Democratica del Congo. Si tratta d’un dipinto ispirato proprio dalla questione sollevata nel 2000, quando, come s’è detto, il Belgio fu accusato d’esser stato direttamente coinvolto nel brutale assassinio di Lumumba, primo premier democraticamente eletto nella storia del paese: com’è noto, gli eventi che portarono all’uccisione di Lumumba finirono poi per condurre all’instaurazione dell’ultratrentennale dittatura di Mobutu. Il ritratto non aggiunge niente sulla figura di Lumumba e neppure sulla storia del Congo, ma porta all’attenzione del pubblico la questione relativa al suo assassinio, e Luc Tuymans ha reso nel dipinto più luminosa la pelle di Lumumba e inoltre ha modificato il suo sguardo rendendolo alquanto interrogativo, probabilmente per far sì che l’osservatore rifletta sul significato nascosto del ritratto: la memoria storica. Altro personaggio di spicco ritratto da Tuymans è Condoleezza Rice, raffigurata nel 2005. In quell’anno, Rice fu descritta dalla rivista Forbes come la donna più potente del mondo, poiché sostituì Colin Powell nell’incarico di segretario di stato degli Stati Uniti. Il dipinto è simile a una fotografia, a una di quelle fotografie che si trovano sui libri di storia che raffigurano personaggi protagonisti di una storia passata. Qui però abbiamo una donna del presente. Il suo sguardo è distaccato e appare concentrata su qualcosa d’indefinito, sensazione evidenziata anche da una smorfia della bocca. Il ritratto di Rice, al momento della sua creazione, fu interpretato dal pubblico come una critica dell’artista al governo Bush, ma Tuymans l’ha raffigurata in quanto donna affascinante, forte e intelligente: e peraltro Condoleezza Rice era stata il primo segretario di stato afro-americano della storia degli Stati Uniti. Eppure questo taglio ravvicinato, che si sofferma sui particolari del volto, non ci fa apparire la donna più vicina: percepiamo ancora un senso di distacco.

Una curiosità sui ritratti realizzati da Luc Tuymans è che molti di questi, più di tre quarti dei soggetti raffigurati, portano occhiali. Tanto che nel 2017 è stata ospitata, alla National Portrait Gallery di Londra, una mostra, intitolata Glasses, interamente incentrata sugli occhiali da lui raffigurati. Tra questi, Pink Glasses del 2001, un semplice ritratto d’un paio d’occhiali che ci proietta nella dimensione d’una sfocata e ordinaria quotidianità, oppure Portrait del 2000 e Der Diagnostische Blick II del 1992. Quest’ultimo ritratto s’inserisce nell’ambito d’una serie che affronta il tema della malattia e del corpo malato. Si tratta, nello specifico, d’una serie di dieci dipinti raffiguranti diverse persone, per la maggior parte dei casi uomini di mezza età, e derivanti da altrettante fotografie mediche di soggetti che presentano sintomi di varie malattie. Tuymans è rimasto attratto da questo materiale perché le fotografie esprimevano il distacco dell’osservatore medico. Ha inoltre modificato lo sguardo delle persone ritratte rendendolo più sospettoso nei confronti dello spettatore: sono perciò ritratti che non trasmettono cosa alcuna, né sofferenza né dolore, e soprattutto, come s’è del resto potuto notare anche nel ritratto di Condoleezza Rice, l’artista rinuncia a qualsiasi tentativo d’introspezione psicologica, dal momento che, secondo la visione di Tuymans, la mente del soggetto raffigurato è impenetrabile. Portrait del 2000 è invece tratto da una foto funebre, un’immagine di commemorazione: il volto pallido e sbiadito, dai contorni quasi indefiniti, e l’espressione malinconica rimandano ai temi della morte e della malattia, ma si tratta ancora d’un ritratto distaccato, dove la protagonista appare semplicemente come una figura abbigliata con un vestito nero e che porta un paio di occhiali spessi neri.

Le ultime ricerche dell’artista non si discostano dagli elementi che hanno sempre caratterizzato la sua arte. La serie Doha del 2016, per esempio, realizzata per la Biennale di Montréal di quell’anno, a trent’anni esatti di distanza parrebbe quasi riproporre lo stesso cliché di Gaskammer: interni spogli, pareti vuote d’un museo (la galleria Al Riwaq di Doha in Qatar, che nel 2015 aveva ospitato una personale dell’artista) che evocano un senso di malinconia. Come quello suscitato da un’altra sua opera recente, 4 PM del 2011, conservata al MuHKA di Anversa e anch’essa frutto di un’esperienza diretta dell’artista, quando nel 2009 soggiornò a Malmö, in Svezia, sempre per una mostra personale. L’interno buio d’una camera, alle quattro del pomeriggio, nella quale filtrano solo le luci della città, sembra quasi piazzare una barriera tra chi è dentro la camera e il mondo fuori, coi suoi netti contrasti cromatici: se ne ricava come un senso d’alienazione.

-- lumumba. rice. pink glasses. diagnostische. portrait. doha. 4 pm --

Luc Tuymans, Lumumba
Luc Tuymans, Lumumba/em> (2000; olio su tela, 62,2 x 45,7 cm; New York, MoMA - Museum of Modern Art)


Luc Tuymans, The Secretary of State
Luc Tuymans, The Secretary of State (2005; olio su tela, 45,7 x 61,9 cm; New York, MoMA - Museum of Modern Art)


Luc Tuymans, Pink Glasses
Luc Tuymans, Pink Glasses (2001; olio su tela, 95 x 59 cm; San Francisco, SFMOMA)


Luc Tuymans, Der Diagnostische Blick II
Luc Tuymans, Der Diagnostische Blick II (1992; olio su tela, 58,2 x 39,7 cm)


Luc Tuymans, Portrait
Luc Tuymans, Portrait (2000; olio su tela, 57 x 30 cm)


Luc Tuymans, la serie Doha alla Biennale di Montréal del 2016
Luc Tuymans, la serie Doha alla Biennale di Montréal del 2016. Ph. Credit Daniel Roussel


Luc Tuymans, 4PM
Luc Tuymans, 4PM (2011; olio su tela, 70 x 56 cm; Anversa, MuHKA)

All’attività di pittore, Luc Tuymans affianca da tempo, con successo, anche quella di curatore. Nel 2016, per esempio, si è occupato di un’importante monografica dedicata a James Ensor, uno dei più importanti pittori della storia del Belgio, che per l’occasione veniva letto attraverso l’occhio di Tuymans. Per il 2018 invece l’artista è stato investito del ruolo di curatore per la mostra Sanguine | Bloedrood. Luc Tuymans on Baroque, in programma al MuHKA di Anversa dal primo giugno al 16 settembre 2018. Si tratta d’una rassegna che propone al pubblico una selezione d’opere di artisti del Seicento (da Caravaggio a Rubens, da Velázquez a van Dyck) messi a dialogo con artisti contemporanei, fiamminghi e non (come Edward e Nancy Kienholz, Michaël Borremans, Jan Fabre, Lucio Fontana), sempre in accordo con la visione di Luc Tuymans della storia dell’arte e dell’arte contemporanea. E non potrebbe essere altrimenti, del resto: Tuymans è un artista, e non un curatore. Ne consegue che punto di vista privilegiato è quello degli artisti stessi, dal momento che scopo dichiarato della rassegna è quello di “riunire artisti antichi e moderni in un unico spazio mentale: il mondo interiore dell’attenzione di un artista”.

Anche l’attività di curatore è, del resto, un’estensione dell’attività artistica di Luc Tuymans, benché il pittore abbia rimarcato come nessuna delle mostre da lui curate sia scaturita da una sua volontà, ma semplicemente dal fatto che qualcuno glielo ha chiesto. Ma in un’intervista ha anche sottolineato che la curatela “è interessante perché mi dà la possibilità di lavorare con un’arte che non ho creato io”, e che un artista che fa il curatore può spostare il progetto su di una direzione che un curatore che non ha mai prodotto arte in prima persona non riuscirebbe a prendere. Molti curatori, per Tuymans, si concentrano troppo sull’aspetto storico e poco su quello visuale. Un’osservazione interessante, se si pensa che giunge da un pittore riconosciuto come uno tra i più influenti al mondo. Un po’ perché è stato uno degli artisti che hanno avuto la capacità di catalizzare interesse sulla pittura in un periodo in cui questo medium aveva perso parte del suo fascino e della sua importanza. E poi perché, ha sottolineato il critico Ben Eastham, “la complessità dei suoi dipinti e la loro unione di ambiguità e distacco, è in conflitto con il preponderante spostamento verso l’iconico, il grafico e il sensazionale dell’odierna produzione d’immagini”: in controtendenza rispetto a molta dell’arte contemporanea, la pittura di Luc Tuymans si pone come un’arte riflessiva, silenziosa, malinconica, smunta e meditativa, che non manca però di creare pesanti sconvolgimenti in chi osserva i suoi dipinti.

Luc Tuymans è nato nel 1958 a Mortsel, vicino ad Anversa, in Belgio. Ha studiato alla Hogeschool Sint-Lukas di Bruxelles (una delle più importanti accademie di belle arti del paese), alla Ecole Nationale Supérieure des Arts Visuels de la Cambre di Bruxelles, e alla Reale Accademia di Belle Arti di Anversa. Attivo fin dagli anni Settanta, ha abbandonato la pittura per un breve periodo (tra il 1980 e il 1982) per dedicarsi al cinema. Ha poi ripreso a studiare storia dell’arte e a dipingere, diventando uno degli artisti contemporanei più apprezzati del mondo, avendo contribuito a far riemergere la forma d’arte della pittura. Nel 2000 è stato l’artista selezionato per il padiglione del Belgio alla Biennale di Venezia. Prima ancora, nel 1992, era stato invitato per la prima volta a Documenta. Sue mostre personali si sono tenute alla Tate Modern di Londra, alla Haus der Kunst di Monaco di Baviera, al San Francisco Museum of Modern Art. In Italia ha esposto in mostre collettive tenutesi a Palazzo Grassi, al Castello di Rivoli e alla Villa Manin di Codroipo. Sue opere si trovano nei principali musei d’arte contemporanea del mondo, dal MoMA di New York al Museum für Moderne Kunst di Francoforte, dal Centre Pompidou di Parigi alla National Gallery di Londra.


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo



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