Il panorama del mercato dell’arte italiano è da sempre un intreccio complesso di cultura, passione e, inevitabilmente, disciplina giuridica di settore. Per anni, operatori e addetti ai lavori hanno segnalato una progressiva contrazione del settore, spesso imputata a un carico fiscale tra i più onerosi in Europa. Oggi, finalmente, si apre una nuova e promettente stagione, segnata dall’introduzione di un’aliquota IVA significativamente ridotta. Questo cambiamento, atteso e desiderato da molti, non è solo una semplificazione normativa, ma rappresenta un vero volano per il rilancio dell’intero comparto artistico nazionale.
Per comprendere appieno la portata di questa innovazione, è fondamentale ripercorrere il cammino normativo che l’ha resa possibile. Poiché l’IVA è un tributo cosiddetto “armonizzato”, la base normativa di riferimento in ambito unionale è la Direttiva IVA 2006/112/CE, che già prevedeva nell’Allegato III un elenco di beni e servizi a cui potevano essere applicate aliquote IVA ridotte. Questo elenco è stato oggetto di modifiche nel tempo, aprendo la strada a nuove possibilità. Il punto di svolta è rappresentato dalla Direttiva UE 2022/542, del 5 aprile 2022, che ha esplicitamente introdotto – al n. 26 dell’elenco – gli oggetti d’arte nell’Allegato III della Direttiva 2006/112/CE, tra le tipologie di beni e servizi che possono beneficiare di aliquote IVA ridotte. Tale Direttiva, la cui applicazione da parte degli Stati membri era prevista a partire dal 1° gennaio 2025, mirava non solo a costituire un beneficio per il consumatore finale, ma anche a perseguire obiettivi di interesse pubblico, sociale e culturale specifici. Nonostante il chiaro indirizzo europeo, l’Italia ha incontrato delle difficoltà nel recepire tempestivamente queste disposizioni.
Mentre paesi come Francia e Germania hanno ridotto le loro aliquote IVA – rispettivamente al 5% e al 7%, per le importazioni e le cessioni effettuate dall’autore a partire dal 1° gennaio 2025 – in Italia la riforma IVA è rimasta, per un certo periodo, una mera speranza. E, infatti, la Legge Delega di riforma fiscale (L. 8 agosto 2023, n. 111) aveva già delegato al Governo la riduzione dell’aliquota IVA all’importazione di opere d’arte e l’estensione dell’aliquota ridotta a tutte le cessioni di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione. Tuttavia, le proposte legislative intermedie non avevano avuto concreta attuazione. È con il Decreto Legge 30 giugno 2025 n. 95 (cosiddetto D.L. Omnibus), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 149, che si è concretizzato la tanto attesa riforma. L’articolo 9 del citato Decreto, infatti, ha introdotto – con efficacia dal 1° luglio 2025 – l’aliquota IVA del 5% per la generalità delle cessioni di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione. L’obiettivo della riforma è sostenere il settore artistico italiano, fronteggiando la crescente concorrenza internazionale e rilanciando un comparto di estrema importanza, con l’intento di attrarre artisti, collezionisti e investitori da tutto il mondo.
Le novità più rilevanti introdotte dal D.L. Omnibus sono: i) l’ampliamento dell’ambito soggettivo dell’agevolazione e ii) la drastica riduzione dell’aliquota. In precedenza, infatti, l’aliquota IVA ridotta al 10% era applicabile solo alle importazioni e alle cessioni effettuate direttamente dagli autori delle opere, dai loro eredi o legatari. Al di fuori di queste ipotesi agevolate, nel previgente sistema normativo, le cessioni di oggetti d’arte scontavano l’aliquota IVA ordinaria del 22%. Pertanto, le cessioni effettuate dalle gallerie e dai mercanti d’arte, che operano sul “mercato secondario”, erano soggette all’aliquota ordinaria del 22%. Senza dubbio, questa differenza poneva l’Italia in una posizione di netto svantaggio rispetto ad altri Paesi europei.
Con le nuove disposizioni, l’aliquota IVA scende dal 22% o dal 10% al 5%. L’aliquota agevolata si applica, ora, alla generalità delle cessioni di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione, per effetto dell’introduzione del n. 1-novies) nella Tabella A – Parte II-bis allegata al D.P.R. n. 633/1972. Ciò significa che l’agevolazione non è più limitata ai soli beni ceduti dagli autori o dai loro eredi, ma si estende a tutte le cessioni effettuate dalle gallerie e dai mercanti d’arte, nonché alle importazioni.
Per quanto riguarda l’ambito oggettivo di applicazione della disciplina, la definizione di “oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione” continua a essere vincolata a quella contenuta nella Tabella, lettere a), b) e c), allegata al D.L. n. 41/95, che recepiscono, con alcune eccezioni, quelle fornite nell’Allegato IX della Direttiva 2006/112/CE. Nel dettaglio sono oggetti d’arte: dipinti, disegni e collage realizzati interamente a mano dall’artista (esclusi disegni tecnici e industriali); incisioni, stampe e litografie originali, prodotte in numero limitato da matrici lavorate a mano dall’artista; sculture originali e fusioni in tiratura limitata (massimo 8 esemplari), eseguite o controllate dall’artista; arazzi e tappeti murali eseguiti a mano su disegno originale, in massimo otto esemplari; opere uniche in ceramica firmate dall’artista; smalti su rame numerati e firmati (massimo 8 esemplari); fotografie realizzate, tirate, firmate e numerate dall’artista (massimo 30 esemplari). Sono oggetti da collezione: francobolli, marche e simili, anche non obliterati, purché privi di corso legale o non destinati ad averne; esemplari e raccolte a fini collezionistici nei campi della zoologia, botanica, mineralogia, anatomia, nonché di interesse storico, archeologico, paleontologico, etnografico o numismatico. Sono oggetti di antiquariato, in via residuale, i beni diversi da quelli sopra elencati che abbiano oltre 100 anni di età.
L’applicazione della nuova aliquota IVA del 5% è incompatibile con il cosiddetto “regime del margine”. Tale condizione è esplicitamente stabilita dalla Tabella A, Parte II-bis, n.1-novies, in ossequio all’art. 98-bis della Direttiva 2006/112/CE (introdotto dalla Direttiva 2022/542/UE). Si ricorda che il regime del margine è un regime speciale IVA, disciplinato dal D.L. n. 41/1995, che consente ai rivenditori di beni usati, oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione di determinare la base imponibile non sull’intero corrispettivo di vendita, ma sulla differenza tra il prezzo di vendita e il costo d’acquisto (il “margine di profitto”). L’IVA, solitamente al 22%, viene scorporata da questo margine. Tale regime si applica alle cessioni di oggetti importati o acquistati da determinate categorie di soggetti (per esempio privati, soggetti passivi UE in regime di franchigia, autori, loro eredi o legatari).
Per i rivenditori, come le gallerie, la scelta di adottare tale regime è facoltativa, mentre per le case d’asta si applica obbligatoriamente alle vendite in conto commissione realizzate sulla base di un contratto stipulato con un soggetto privato o, comunque, che non ha diritto alla detrazione IVA. L’obiettivo del regime del margine, come della nuova aliquota al 5%, è evitare che l’onere dell’IVA condizioni in modo anomalo il mercato. In altri termini, le due misure sono alternative: un rivenditore può applicare il regime del margine a condizione di non aver acquistato o importato i beni con l’aliquota del 5%, e può cedere con IVA al 5% solo se non ha acquistato utilizzando il regime del margine.
Anche il regime IVA sulle importazioni di oggetti d’arte, antiquariato e da collezione subisce un’importante modifica. In passato, l’aliquota applicabile a tali operazioni era del 10%. Con il D.L. Omnibus, l’aliquota per le importazioni passa al 5%. Per le importazioni, dunque, la riforma non cambia l’ambito soggettivo della misura agevolativa: la disposizione precedente era già riferita alla generalità dei beni importati.
La novità consiste, quindi, unicamente nella riduzione dell’aliquota applicabile. L’applicazione dell’aliquota del 5% per le importazioni è resa possibile dall’art. 69, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, che estende alle importazioni le aliquote applicate a livello interno. Di conseguenza, l’introduzione del nuovo n. 1-novies della Tabella A, Parte II-bis, consente di applicare l’aliquota IVA agevolata del 5% anche alle importazioni di oggetti d’arte. Inoltre, per effetto del richiamo operato dall’art. 43, comma 5, del D.L. n. 331/1993, la nuova aliquota ridotta sarà estesa anche a tutti gli acquisti intracomunitari di oggetti d’arte, antiquariato o collezione. Questo ulteriore ampliamento contribuisce a creare un quadro normativo più omogeneo e favorevole alla circolazione delle opere d’arte all’interno dell’Unione Europea e nel mercato italiano.
L’intervento sull’IVA posiziona l’Italia in una nuova, e molto più competitiva, prospettiva internazionale. Con l’aliquota al 5%, infatti, l’Italia si allinea e, in alcuni casi, supera la favorevole fiscalità di altri paesi europei, divenendo il paese con l’aliquota IVA più bassa nel vecchio continente per la generalità delle cessioni di opere d’arte. Attualmente, solo Cipro e Malta applicano l’aliquota del 5%, ma limitatamente alle importazioni. Altri Paesi europei presentano aliquote significativamente più alte: la Spagna al 21%, i Paesi Bassi al 9% e l’Austria al 20%.
La riforma dell’IVA applicabile alle opere d’arte, dunque, è destinata a rendere il mercato italiano molto più attrattivo per la clientela finale, che in passato spesso preferiva acquistare in altri paesi UE per via del minor costo fiscale complessivo. L’aspettativa è un aumento rilevante delle vendite, capace di attrarre artisti, collezionisti e investitori italiani e stranieri, generando un maggiore reddito imponibile in Italia che, si prevede, compenserà la perdita di gettito derivante dalla riduzione dell’aliquota IVA. Le stime di Nomisma indicano che per le piccole gallerie questa misura potrebbe significare una crescita del fatturato fino al 50%, con un incremento complessivo per il settore del 28%. Anche le case d’asta italiane beneficeranno di un impatto fiscale ridotto sulle commissioni di vendita.
Nonostante l’entusiasmo per l’entrata in vigore della nuova disciplina, il percorso applicativo non è privo di sfide e interrogativi che richiederanno attenzione e, in alcuni casi, chiarimenti ufficiali.
La definizione di “oggetto d’arte” ai fini IVA, sebbene ripresa da normative comunitarie, risente di una concezione anacronistica. Come già esaminato sopra, infatti, la Tabella allegata al D.L. n. 41/1995 presuppone che gli oggetti d’arte debbano essere stati realizzati interamente a mano dall’artista e riprodotti in un numero limitato di esemplari. Questa interpretazione, confermata dalla prassi dell’Agenzia delle Entrate (ad esempio, risposta a interpello n. 303 del 2020 e Circolare n. 24/E del 2010), esclude opere realizzate con tecniche che includono lavorazioni automatiche (come le stampe 3D) o con il contributo di soggetti terzi, limitando il ruolo dell’artista alla progettazione. Ma non solo.
Opere iconiche come le serigrafie di Andy Warhol, le sculture multimediali di Nam June Paik, i video interattivi di Bill Viola o le esperienze immersive di Olafur Eliasson non soddisferebbero i requisiti formali della normativa. Allo stesso modo, le composizioni iperrealiste di Ron Mueck, le cere monumentali di Urs Fischer, o le opere digitali su blockchain di artisti come Beeple, sarebbero escluse per l’assenza del requisito di “manualità” o per la difficoltà di definire una “tiratura limitata” in senso tradizionale. O, ancora, le architetture effimere di Christo e Jeanne-Claude — ideate dai due artisti, ma fisicamente realizzate da squadre di tecnici — risulterebbero fuori dal perimetro della norma agevolativa. Nel campo dell’arte digitale, le opere interattive di Rafael Lozano-Hemmer o i mondi immersivi creati da Refik Anadol tramite intelligenza artificiale e algoritmi di machine learning non possono essere considerate “realizzate interamente a mano”, ma rappresentano forme artistiche centrali nella produzione contemporanea. Infine, le opere NFT (non-fungible tokens), come quelle di Pak o XCOPY, non sono affatto inquadrabili nella tassonomia del D.L. n. 41/1995: sono immateriali, replicabili digitalmente, ma uniche sul piano crittografico. Tuttavia, rappresentano ormai un segmento consolidato del mercato dell’arte contemporanea, anche in termini di valore economico.
In altri termini, l’attuale sistema normativo, incapace di riconoscere la pluralità dei linguaggi contemporanei – dalla generative art ai dispositivi di realtà aumentata, fino agli NFT e alle installazioni relazionali – dimostra la necessità urgente di un aggiornamento del concetto fiscale di “oggetto d’arte”, al fine di garantire una coerente applicazione dei benefici fiscali anche alle opere che, pur non eseguite “a mano”, rivestono un’evidente rilevanza artistica e culturale nel panorama contemporaneo.
L’introduzione della nuova aliquota del 5% condurrà gli operatori a valutare la convenienza di disapplicare il regime del margine per avvalersi del regime ordinario. Tuttavia, il passaggio tra i regimi presenta delle complessità, soprattutto se attuato in corso d’anno.
Se un operatore ha adottato il regime del margine analitico (che consente di calcolare il margine per singola operazione), il passaggio al regime IVA ordinario (con aliquota ridotta) è disciplinato dall’art. 36, comma 3, del D.L. n. 41/1995. La norma consente l’applicazione dell’IVA ordinaria per singola cessione, secondo il comportamento concludente, fermo restando l’obbligo di comunicazione nella dichiarazione annuale (per le operazioni del 2025, entro il 30 aprile 2026).
Meno immediato è il procedimento per i soggetti passivi che si sono avvalsi del regime del margine con il metodo globale. Questo metodo, generalmente applicato per la cessione di beni come monete o altri oggetti da collezione, non può essere disapplicato per singola operazione. Richiede, invece, un previo passaggio al regime del margine analitico, da comunicare nella dichiarazione annuale. Solo dopo questo passaggio, infatti, è possibile esercitare l’opzione per il regime IVA ordinario per ciascuna cessione. Per le operazioni in corso nel 2025, il passaggio dal regime globale a quello analitico richiederebbe, comunque, la rettifica delle liquidazioni IVA effettuate nel primo semestre 2025, ricalcolando la base imponibile e riversando l’eventuale differenza d’imposta. La complessità gestionale e amministrativa, unita agli oneri a carico del soggetto passivo per individuare analiticamente gli acquisti, potrebbe rendere questo passaggio poco conveniente per il 2025.
Le complessità derivanti dal passaggio dal regime del margine (in particolare quello applicato secondo il metodo globale) al regime ordinario con aliquota del 5% rendono auspicabili chiarimenti ufficiali in merito alle modalità di revoca dell’opzione nel corso del 2025.
Inoltre, in passato, si sono riscontrate difficoltà nell’individuare l’effettivo “autore” dell’opera d’arte ai fini dell’applicazione dell’aliquota ridotta (es. cessioni di fotografie). A tale proposito, un caso interessante è stato oggetto della causa C-433/24 della Corte di Giustizia Europea delle Conclusioni dell’Avvocato Generale della Corte europea riguardo l’applicazione del regime del margine quando il rivenditore acquista l’opera non direttamente dall’autore, ma da una persona giuridica costituita dall’autore (es. vendita effettuata da una società della quale l’autore risulta essere socio). Secondo le Conclusioni dell’Avvocato Generale del 12 giugno 2025, la cessione da parte di una persona giuridica può considerarsi effettuata dall’autore se quest’ultimo ha potere decisionale sufficiente sulla vendita e se il provento della vendita, o una parte sostanziale di esso, rientra – direttamente o indirettamente – nel patrimonio dell’autore.
La riduzione dell’aliquota IVA al 5% per le cessioni e le importazioni di opere d’arte rappresenta un passo concreto verso il riconoscimento del valore economico e culturale che il comparto artistico genera e un’apertura significativa verso il mercato internazionale. Per galleristi e mercanti d’arte, la nuova aliquota introduce un’opportunità di scelta e una maggiore competitività. Ogni galleria potrà ora valutare il regime fiscale più conveniente tra l’applicazione del regime del margine (al 22% sul margine) o l’IVA al 5% sull’intero corrispettivo. Questo renderà, certamente, il mercato italiano più attrattivo per la clientela finale, che ora troverà gli acquisti in Italia maggiormente convenienti rispetto al passato.
Per gli art advisor, la conoscenza approfondita e il costante aggiornamento sulle novità fiscali diventerà essenziale per guidare collezionisti e investitori nelle loro scelte, massimizzando i benefici fiscali e operando in un quadro normativo più favorevole. Sarebbe, inoltre, cruciale promuovere una cultura della trasparenza delle transazioni che, secondo alcuni esperti, dovrebbe accompagnare questa misura per favorire l’emersione del sommerso nel mercato dell’arte.
La misura, seppur opportuna, meriterebbe di essere inserita in un disegno di riforma organico del mercato dell’arte. La persistenza di definizioni di “oggetto d’arte” anacronistiche, incapaci di includere le nuove forme espressive e i linguaggi artistici contemporanei, rimane una criticità. Allo stesso modo, l’incertezza sul trattamento fiscale – ai fini delle imposte dirette – delle plusvalenze da cessione di opere d’arte continua a generare contenzioso e a disincentivare la circolazione delle opere, spingendo operatori e collezionisti verso mercati esteri con regole più chiare (o, al contrario, privi di qualsivoglia disciplina del settore).
È, quindi, fortemente auspicabile che il Governo, nell’esercizio della delega fiscale, colga l’opportunità per un intervento più organico e strutturato, che dovrebbe includere: l’aggiornamento delle definizioni normative attualmente vigenti, per ricomprendere anche le specificità dell’arte contemporanea; la definizione puntuale dei presupposti di imposizione delle cessioni, ai fini delle imposte dirette, riducendo l’incertezza interpretativa sul punto e, conseguentemente, gli arresti nomofilattici della Cassazione.
Solo un approccio integrato, che combini semplificazione normativa, certezza fiscale e apertura culturale, potrà rendere l’Italia un vero hub competitivo e stimolante nel panorama del mercato globale dell’arte. La strada è stata imboccata, ma il cammino verso un mercato dell’arte pienamente trasparente, dinamico e attrattivo richiede ulteriori passi decisi e coordinati.
L'autore di questo articolo: Marco Menozzi
Marco Menozzi, avvocato, è responsabile del Dipartimento di Diritto Tributario presso Effeffe & Partners Studio Legale, con sedi a Ferrara, Milano, Bologna e Roma. Ha maturato un’esperienza pluriennale nel contenzioso tributario relativo a tematiche di fiscalità nazionale e internazionale, con particolare riferimento alla fiscalità dell’energia e dei gruppi assicurativi e bancari. Assiste imprese e persone fisiche anche nella fase stragiudiziale e di interlocuzione preventiva con l’Agenzia delle Entrate, nei procedimenti di accertamento con adesione o mediante la redazione di istanze di interpello.Per inviare il commento devi
accedere
o
registrarti.
Non preoccuparti, il tuo commento sarà salvato e ripristinato dopo
l’accesso.