Michelangelo Buonarroti: la vita, le opere, i capolavori


Michelangelo Buonarroti è stato uno dei più grandi artisti della storia dell'arte: ecco la sua vita, i suoi capolavori, i motivi della sua grandezza.

In una sua lettera inviata a Michelangelo Buonarroti (Caprese, 1475 - Roma, 1564) nel settembre del 1537, il grande Pietro Aretino, uno dei maggiori letterati del suo tempo, diceva che “il mondo ha molti re, ed un solo Michelangelo”: infatti già i contemporanei del grande artista toscano avevano la percezione della grandezza del suo genio, uno dei massimi di tutta la storia dell’arte. Possiamo considerare irripetibile l’esperienza di Michelangelo: forse il più grande scultore di tutti i tempi, con la sua arte ha segnato uno spartiacque fondamentale, tanti artisti dopo di lui avrebbero cercato di imitarlo senza neanche avvicinarsi ai suoi risultati, e il suo estro continua a fornire spunti e suggestioni a secoli di distanza. Ebbe una vita anche insolitamente molto lunga per il suo tempo, dato che visse ottantanove anni: una vita estremamente intensa, passata attraverso stagioni ed esperienze diverse. Dalla Firenze dei Medici a quella di Savonarola, dalla difesa della Repubblica Fiorentina alla Roma dei papi. E poi, la rivalità con Raffaello e con Leonardo da Vinci, gli scontri con i suoi committenti, il suo carattere solitario, burrascoso e irascibile ma che sapeva giungere anche a incredibili vette di sensibilità, di cui Michelangelo ci ha dato prova con le sue delicatissime Rime. Un’esistenza, in sostanza, unica.

Le opere di Michelangelo sono uno dei motivi per cui ogni anno migliaia di turisti e viaggiatori giungono a Roma o a Firenze, ma anche in altri centri italiani (sue opere si conservano, infatti, non soltanto nella capitale e nel capoluogo toscano), per visitare i musei e le chise che le conservano. Il suo genio, inoltre, è stato multiforme: Michelangelo non fu soltanto scultore, ma fu anche pittore, architetto e poeta, e le sue opere non avevano pari per forza ed energia, ma anche per complessità e raffinatezza dei contenuti, oltre che per la loro tensione, che ci fa subito avvertire anche i dissidi interiori che viveva il loro artefice (Michelangelo fu uno degli artisti più tormentati della storia: perennemente insoddisfatto dei propri risultati, conduceva una vita quasi da miserabile nonostante avesse accumulato favolose ricchezze, che impiegava soprattutto per investimenti fondiari). Molte anche le personalità che l’artista incontrò o per le quali ebbe modo di lavorare: da Lorenzo il Magnifico a papa Giulio II, dai papi Medici (Leone X e Clemente VII) a Francesco I di Francia, senza contare i numerosissimi artisti e letterati che incrociarono il suo cammino (su tutti varrà la pena menzionare almeno Vittoria Colonna, alla quale fu legato da un intenso rapporto d’amicizia).

Qual è stata la grandezza di questo artista unico, lacerato da contraddizioni e tormenti? Quali sono le sue opere principali e dove si possono vedere? Vediamo di tracciare un percorso alla scoperta dell’arte di Michelangelo Buonarroti, senza trascurare alcuni momenti salienti della sua biografia.

Daniele da Volterra, Ritratto di Michelangelo (1544 circa; olio su tavola, 88,3 x 64,1 cm; New York, The Metropolitan Museum of Art)
Daniele da Volterra, Ritratto di Michelangelo (1544 circa; olio su tavola, 88,3 x 64,1 cm; New York, The Metropolitan Museum of Art)

La vita di Michelangelo Buonarroti

Michelangelo Buonarroti nasce a Caprese, nell’Aretino, il 6 marzo del 1475 da Ludovico Buonarroti, funzionario mediceo (ricopriva la carica di podestà di Caprese) proveniente da una famiglia di antica nobiltà ma che ha perduto il prestigio che aveva acquisito in passato, e da Francesca di Neri. La famiglia di Michelangelo non ha nessun trascorso artistico: il bambino è l’unico a manifestare talento per l’arte, nonostante la famiglia desiderasse avviarlo a una carriera letteraria anche per garantire al piccolo un futuro dalle prospettive economiche più rosee di quelle di cui i suoig enitori godevano. Le penurie nelle quali la famiglia era costretta a vivere probabilmente segnarono per sempre il carattere di Michelangelo, che per tutta la vita fu sempre molto parsimonioso e attento ai soldi. Tuttavia, nonostante ciò che si apprende dai primi biografi, il padre probabilmente non lo ostacolò nella sua carriera artistica, anche perché il giovanissimo Michelangelo, messo a bottega presso un artista o un artigiano, avrebbe comunque potuto imparare un mestiere che gli avrebbe dato di che vivere. Nel 1487 entra quindi nella bottega di Domenico del Ghirlandaio e qui compie il suo apprendistato: verso il finire del decennio cominciò comunque a frequentare la scuola del giardino di San Marco, fondata da Lorenzo il Magnifico, dove diventò allievo di Bertoldo di Giovanni e si mise in luce presso il signore di Firenze.

Dopo la caduta dei Medici, soggiornò per qualche tempo nel convento di Santo Spirito a Firenze, ospite del priore, e qui ebbe modo di studiare a fondo l’anatomia, migliorando le proprie qualità. Dopo aver soggiornato a Venezia e a Bologna tornò a Firenze dove eseguì un perduto San Giovannino per Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, e assieme a quest’ultimo ordì un inganno ai danni del cardinale Raffaele Riario, scolpendo un Cupido da rivendere al prelato come un’originale antichità romana. Riario subodorò la truffa, la scoprì e si adirò, ma volle conoscere l’artista talentuoso, e gli affidò il primo incarico: si tratta del celebre Bacco (che fu poi forse rifiutata dal cardinale), oggi al Museo del Bargello. L’artista nel frattempo, nel 1496, si era trasferito a Roma: poco dopo ricevette l’incarico di scolpire la Pietà del Vaticano dal cardinale Jean Bilhères de Lagraulas. Per realizzarla l’artista si recò per la prima volta nella sua carriera a Carrara al fine di scegliere i marmi: l’opera venne consegnata al cardinale nel 1499 e aprì al giovane artista, appena ventiquattrenne, le porte del successo.

La sua carriera fu poi un crescendo costante: nel 1500 tornò a Firenze, dove la Repubblica, l’anno dopo, gli commissionò il David completato nel 1504, e sempre nel 1504 ricevette l’incarico di realizzare la Battaglia di Cascina nella Sala dei Cinquecento in Palazzo Vecchio (l’opera non andrà mai in porto e ci è nota solo attraverso copie). In seguito l’artista tornò a Roma, dove papa Giulio II gli commissionò il proprio monumento funebre: l’opera sarebbe stata terminata, in seguito a numerosi ritardi, molti anni dopo la morte del pontefice, e diversa dal progetto originario. Del monumento fa parte il celebre Mosè eseguito a partire dal 1513. Nel 1508, ancora Giulio II incaricò Michelangelo di eseguire gli affreschi della volta della Cappella Sistina: l’artista non si considerava un pittore ed era alla sua prima prova con la tecnica dell’affresco, dunque accettò con riluttanza, ma la sua opera, scoperta nel 1512, impressionò i contemporanei (anche Raffaello ne fu profondamente influenzato). Tornato a Firenze, nel 1516, per volere del nuovo papa Leone X eseguì alcuni progetti per la realizzazione della facciata della basilica fiorentina di San Lorenzo (anche questa opera non sarebbe mai stata realizzata).

Nel 1520 Michelangelo realizzò i famosi Prigioni per il monumento a Giulio II, incompiuti e attualmente conservati presso la Galleria dell’Accademia di Firenze. Nello stesso anno il cardinale Giulio de’ Medici gli affidò la realizzazione della Sagrestia Nuova di San Lorenzo, uno dei suoi maggiori capolavori, terminato circa quindici anni più tardi. Tornato a Firenze nel 1526, venne nominato procuratore delle fortificazioni della Repubblica Fiorentina: l’anno dopo la signoria medicea fu restaurata e nonostante Michelangelo fosse un fervente repubblicano riprese comunque a lavorare per i Medici. Tornato a Roma nel 1532, per stabilirvisi definitivamente nel 1534, conobbe Tommaso Cavalieri e Vittoria Colonna, ai quali dedicò diverse sue poesie. Probabilmente a partire da quest’anno iniziò a comporre le sue Rime che verranno pubblicate postume nel secolo successivo dal suo nipote Michelangelo Buonarroti il Giovane. Nel 1536 invece l’artista cominciò a lavorare al Giudizio universale, terminato nel 1541, e nel 1542 papa Paolo III lo incaricò di eseguire gli affreschi della Cappella Paolina: la Conversione di san Paolo, finita nel 1545, e la Crocifissione di san Pietro, eseguita tra il 1546 e il 1550 (si tratta delle sue ultime opere pittoriche). Nel 1545, dopo quarant’anni dall’incarico, Michelangelo terminò finalmente il monumento funebre di Giulio II, anche se in maniera radicalmente diversa rispetto all’originale. Nel 1547 l’artista venne nominato architetto di San Pietro e attorno al 1548 eseguì uno dei suoi capolavori tardi, la Pietà Bandini. Nel 1552 iniziò a lavorare alla Pietà Rondanini, che sarebbe rimasta però incompiuta alla data della sua scomparsa: si tratta dell’ultima opera dello scultore. Nel 1558 cominciò a realizzare il modello della cupola di San Pietro, finito nel 1561. L’opera verrà poi realizzata sul finire del secolo da Giacomo della Porta che seguirà seppur con qualche modifica il disegno originario di Michelangelo. Il 18 febbraio del 1564 Michelangelo morì a Roma, e dopo le solenni esequie (la cui celebre orazione fu preparata dal grande letterato Benedetto Varchi), per sua volontà venne sepolto a Firenze.

La Sagrestia Nuova, vista con la tomba di Lorenzo duca d’Urbino. Ph. Credit Andrea Jemolo
La Sagrestia Nuova, vista con la tomba di Lorenzo duca d’Urbino. Ph. Credit Andrea Jemolo

Le opere giovanili: gli esordi e la Pietà Vaticana

Come anticipato, Michelangelo esordì molto giovane, nella cerchia di Lorenzo il Magnifico, dove ebbe modo di studiare le opere dei più grandi artisti a cominciare da Giotto per arrivare ai grandi del rinascimento come Masaccio e soprattutto Donatello. Per capire come Michelangelo ha cominciato occorre vedere da vicino le sue opere giovanili, realizzate quando aveva circa quindici anni: la Madonna della Scala (del 1490 circa) e la Battaglia dei centauri (del 1490-1492). La prima è un’opera fortemente debitrice dello stile di Donatello (Michelangelo utilizza la tecnica dello stiacciato), mentre la Battaglia dei centauri è un’opera che già supera il suo maestro Bertoldo di Giovanni che poco prima aveva realizzato un’opera simile (leggi anche il dettagliato approfondimento sui due capolavori giovanili di Michelangelo). Oggi entrambe le opere sono conservate a Firenze, a Casa Buonarroti.

Per cominciare a comprendere la grandezza di Michelangelo occorre osservare da vicino la Pietà vaticana. Michelangelo risolse in modo originale e innovativo un tema che dava modo agli artisti di creare opere sofferte: la purezza, la delicatezza e la compostezza della Madonna, col volto dai connotati adolescenziali, stupirono i contemporanei dell’artista. Uno dei motivi della grandezza di quest’opera sta proprio nell’umanità che l’artista seppe infondere ai suoi personaggi: mai prima d’allora s’era visto qualcosa di simile. Gesù, malgrado le sofferenze subite sulla croce, sembra quasi non scalfito, e anche nella bellezza e nella precisione della resa di questo corpo sorretto dalla madre sembra manifestarsi la natura divina di Cristo, come a voler dire che la morte e la sofferenza non sono riuscite a offendere quel suo corpo che denota tutto lo studio di Michelangelo sulla statuaria classica. Con la sua Pietà, inoltre, il giovane Buonarroti offrì agli osservatori un saggio del suo virtuosismo: la Pietà è peraltro una delle opere di Michelangelo che raggiunge i più alti livelli di levigatezza e di finitezza, al contrario delle opere della maturità che sarebbero state pressoché tutte lasciate in quello stato di non finito che caratterizza molti dei capolavori michelangioleschi.

La Pietà è inoltre opera fondamentale per conoscere il rapporto di Michelangelo col marmo: l’artista sbozzava il marmo direttamente sul luogo di estrazione in modo da facilitare il trasporto e da evitare inconvenienti dovuti a venature o imperfezioni che i blocchi potevano presentare al loro interno, e addirittura nel 1517 si associò con un proprietario di una cava di marmo, in modo da guadagnare anche sulle provvigioni dei blocchi cavati, anche se questa mossa gli procurò delle grane con i Medici, che imposero a Michelangelo di fornirsi di marmi nelle cave di Pietrasanta, perché erano in territorio mediceo (Carrara invece faceva parte di uno stato indipendente).

Michelangelo, Madonna della Scala (1490 circa; marmo, 56,7 x 40,1 cm; Firenze, Casa Buonarroti, inv. 190)
Michelangelo, Madonna della Scala (1490 circa; marmo, 56,7 x 40,1 cm; Firenze, Casa Buonarroti, inv. 190)


Michelangelo, Battaglia dei centauri (1490-1492 circa; marmo, 80,5 x 88 cm; Firenze, Casa Buonarroti, inv. 194)
Michelangelo, Battaglia dei centauri (1490-1492 circa; marmo, 80,5 x 88 cm; Firenze, Casa Buonarroti, inv. 194)


Michelangelo, Pietà (1497-1499; marmo, 174 x 195 cm; Città del Vaticano, Basilica di San Pietro)
Michelangelo, Pietà (1497-1499; marmo, 174 x 195 cm; Città del Vaticano, Basilica di San Pietro)

I grandi capolavori: il David, il Tondo Doni, la Cappella Sistina, la Pietà Bandini

Quando si pensa a un modello di perfezione e di bellezza maschile, probabilmente si pensa al David di Michelangelo: commissionato nel 1501, fu terminato nel 1504, e si rivelò come un’opera imponente, di quattro metri di altezza. Il corpo del David, nonostante i tratti giovanili, si fa espressione di forza e di vigore, i muscoli sono in rilievo, le dita rese con un’altissima precisione anatomica così come i tendini del collo: sono questi gli elementi fanno del David un capolavoro insuperato, e già all’epoca i contemporanei di Michelangelo ebbero la sensazione di trovarsi di fronte a un immenso capolavoro. Questo non solo per l’eccezionale bellezza dell’opera, ma anche perché si trattava di un’opera fortemente simbolica: il giovane Davide che resiste al gigante Golia, all’invasore, era visto come una metafora della resistenza della repubblica fiorentina nei confronti dei nemici ed era visto soprattutto come una metafora di libertà e di ribellione nei confronti della tirannia. Un’opera che sembra di impostazione classica ma è invece di concezione molto moderna: una modernità che riscontriamo non solo nell’interesse di Michelangelo nei confronti della resa anatomica di ogni singola parte del corpo, ma anche nel modo in cui l’artista comunica all’osservatore alcuni aspetti come la forza morale del David (sottolineata non solo dalla fronte corrugata ma anche dalla sua nudità). E una modernità che si evince anche dall’assenza di alcuni motivi tipici del David, come la testa di Golia o la spada, che Michelangelo non riporta perché non è tanto la raffigurazione dell’episodio che gli interessa, quanto il significato morale e umano del suo protagonista.

Il Tondo Doni, capolavoro conservato agli Uffizi, è l’unico dipinto su tavola esistente che si possa riferire con certezza a Michelangelo, quindi è un’opera di altissimo valore. Fu probabilmente commissionato a Michelangelo in occasione delle nozze tra Angelo Doni e Maddalena Strozzi, che sono anche i due protagonisti dei famosissimi ritratti di Raffaello conservati nella stessa sala. È un dipinto unico, molto originale: innanzitutto per la posa della Sacra Famiglia, innovativa, con la Madonna inginocchiata e in torsione e con lo sguardo rivolto all’indietro mentre prende sulla spalla Gesù Bambino. Le figure dei protagonisti sono scultoree, mostrano grande vigore, presentano un forte chiaroscuro e un contorno nettissimo che le fa risaltare dal fondo del dipinto. Notiamo che alle spalle dei protagonisti compaiono dei nudi maschili: gli studiosi si interrogano da tempo sul loro significato. Puoi approfondire la storia del Tondo Doni e l’interpretazione del suo significato leggendo l’articolo che gli abbiamo dedicato.

Ma non si tratta dell’unico capolavoro in pittura di Michelangelo: se si pensa alla sua pittura, viene quasi naturale immaginare la magnificenza della volta della Cappella Sistina. Come anticipato nella biografia, gli fu commissionata papa Giulio II nel 1508. Secondo la testimonianza dello stesso Michelangelo, il papa avrebbe voluto che sulla volta comparissero soltanto le raffigurazioni degli apostoli, ma Michelangelo gli suggerì invece una decorazione diversa: nella parte centrale nove scene tratte dal vecchio testamento, la più famosa delle quali è senza alcun dubbio la creazione di Adamo, poi nelle vele e nelle lunette gli antenati di Gesù e ai lati delle storie le sibille e i profeti, per una commistione di cristianesimo e mitologia greco-romana interpretata in chiave cristiana. Questo programma potrebbe essere stato a sua volta suggerito a Michelangelo da Egidio Canisio da Viterbo, un colto cardinale umanista, corrispondente di Marsilio Ficino e di Giovanni Pontano. Egidio da Viterbo aspirava a recuperare la tradizione classica e quindi cercava di accordare gli elementi tratti dalla mitologia alla religione cristiana, e questo bellissimo capolavoro lo dimostra in modo inconfutabile. Le figure michelangiolesche in questa volta sono possenti, epiche, caratterizzate da colori cangianti che contribuiscono a esaltare il vigore e la forza dei personaggi. L’opera fu davvero motivo di meraviglia per i contemporanei: Giorgio Vasari addirittura la definisce “lucerna dell’arte nostra”, un’opera che secondo le sue testuali parole “ha bastato a illuminare il mondo”. Parte della grandezza di questo lavoro si deve anche alle difficoltà che presentava in fase di realizzazione e che furono abilmente superate da Michelangelo: l’artista aveva pochissima esperienza in fatto di affresco (aveva lavorato con questa tecnica come aiuto nella bottega dal Ghirlandaio). Michelangelo, per realizzare il suo capolavoro, chiamò tutti gli artisti fiorentini secondo lui più validi nella realizzazione degli affreschi: tra di essi Francesco Granacci, che insieme a lui aveva frequentato la bottega del Ghirlandaio. Le prime “giornate” coprivano piccole superfici, ma con il passare del tempo, grazie anche all’esperienza che il gruppo man mano acquisiva, le giornate cominciarono a occupare superfici sempre più grandi. Inoltre Michelangelo fece anche ricorso alla velatura a secco, una tecnica che consentiva di avere a disposizione più tempo per terminare di dipingere sull’intonaco fresco: ma via via che il tempo passava, la squadra acquisiva sicurezza. Organizzando il lavoro in modo preciso, affidando a ciascun artista un propro compito specifico e tenendo conto di numerosi accorgimenti tecnici, l’artista riuscì a terminare il tutto in tempi molto rapidi.

Con un salto di diversi anni, parlare della Pietà Bandini, uno degli ultimi capolavori di Michelangelo, significa parlare anche dei suoi tormenti e del suo non finito. In preda a un raptus, infatti, Michelangelo colpì la sua statua: andarono in frantumi il ginocchio sinistro, il braccio destro e la clavicola del Gesù. Alcuni pezzi furono aggiustati qualche tempo dopo, ma per altri non fu così. Non conosciamo con sicurezza il perché del gesto: forse l’artista era insoddisfatto del lavoro, forse passava brutti momenti perché era da poco stato eletto al soglio pontificio Paolo IV, al secolo Gian Pietro Carafa, un papa molto ostile nei confronti suoi e degli intellettuali dell’Ecclesia Viterbiensis a cui Michelangelo si era associato, forse perché l’artista aveva problemi familiari. L’opera è lasciata in uno stato non finito, caratteristica che rende il suo stile diverso rispetto a quello degli scultori contemporanei: la tecnica del non finito potrebbe essere interpretata (ma non ne siamo sicuri) come il modo in cui l’artista rendeva tangibile il proprio senso di sofferenza (una sofferenza forse dettata anche da motivi ideali: secondo Michelangelo, un artista non può creare figure perfette, né può riprodurre in modo perfetto la natura). Ma l’idea del non finito potrebbe derivare anche dalla convinzione che l’uomo possa giungere solo all’immagine e non all’idea, può essere una metafora dello spirito che lotta per liberarsi dalla materia, dell’anima che tenta di liberarsi dal corpo, e giova ricordare che per Michelangelo l’opera era già presente all’interno del blocco di marmo e compito dello scultore è quello di liberarla. È un altro degli elementi che rendono decisamente moderna l’arte di Michelangelo.

Michelangelo, David (1501-1504; marmo, altezz 517 cm compresa la base; Firenze, Galleria dell'Accademia)
Michelangelo, David (1501-1504; marmo, altezz 517 cm compresa la base; Firenze, Galleria dell’Accademia)


Michelangelo, Tondo Doni (1506-1507; tempera grassa su tavola, diametro 120 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi). Ph. Credit Finestre sull’Arte
Michelangelo, Tondo Doni (1506-1507; tempera grassa su tavola, diametro 120 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi). Ph. Credit Finestre sull’Arte


Michelangelo, Pietà Bandini (1547-1555 circa; marmo di Carrara, altezza 226 cm; Firenze, Museo dell’Opera del Duomo). Ph. Credit Alena Fialová
Michelangelo, Pietà Bandini (1547-1555 circa; marmo di Carrara, altezza 226 cm; Firenze, Museo dell’Opera del Duomo). Ph. Credit Alena Fialová

Dove si trovano le opere di Michelangelo

Le opere di Michelangelo Buonarroti si trovano soprattutto a Firenze e a Roma. A Firenze è obbligatorio visitare la Galleria dell’Accademia (che ospita il David e i Prigioni), gli Uffizi (dove si trova il Tondo Doni), il Museo del Bargello (che custodisce il Bacco, il Tondo Pitti e il Bruto), nonché il Museo delle Cappelle Medicee, da cui si accede alla Sagrestia Nuova, e il Museo dell’Opera del Duomo, che conserva la Pietà Bandini. Ma ci sono anche altri luoghi a Firenze e in Toscana dove ammirare i suoi capolavori: a Firenze, Casa Buonarroti, Santo Spirito, l’Accademia delle Arti del Disegno e Palazzo Vecchio; a Siena, il Duomo. A questo link trovi spunti per un tour in Toscana alla scoperta delle opere “insolite” di Michelangelo.

A Bologna è possibile vedere, nella Basilica di San Domenico, le opere giovanili che Michelangelo eseguì per l’Arca di San Domenico. Infine, molte opere di Michelangelo si trovano a Roma: in San Pietro si trova la Pietà vaticana, in San Pietro in Vincoli è possibile ammirare la tomba di Giulio II con il Mosè, nella basilica di Santa Maria Sopra Minerva il Cristo della Minerva, per non parlare della Cappella Sistina dove ammirare la volta e il Giudizio Universale. Sempre a Roma, sono suoi gli affreschi della Cappella Paolina. Negli immediati dintorni, a Bassano Romano, nel Monastero di San Vincenzo, si trova invece il primo Cristo della Minerva, da alcuni studiosi considerata la prima versione del Cristo della basilica della Minerva di Roma. L’ultima città italiana che ospita un’opera di Michelangelo è infine Milano: al Castello Sforzesco si può infatti osservare la Pietà Rondanini, la sua ultima opera.

E all’estero? Sono soltanto tre i luoghi che ospitano opere di Michelangelo: a Bruges, la chiesa di Nostra Signora accoglie la famosa Madonna di Bruges, che l’artista realizzò per la famiglia fiamminga dei Mouscron, che commerciavano in tessuti con l’Italia; a Londra, la Royal Academy of Art accoglie il Tondo Taddei; e infine, il Louvre ospita lo Schiavo morente e lo Schiavo ribelle.


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