Neue Sachlichkeit o Nuova Oggettività. Origini, sviluppo, artisti


Gli artisti tedeschi della Nuova Oggettività proclamarono un ritorno alla rappresentazione oggettiva della vita e della società dopo la prima guerra mondiale.

Neue Sachlichkeit (“Nuova Oggettività”) è stata una tendenza artistica che si affermò diffusamente in Germania negli anni Venti del XX secolo come reazione all’Espressionismo e all’astrazione, in favore di un ritorno all’oggettività della rappresentazione. Si sviluppò alla fine della prima guerra mondiale come fenomeno sfaccettato, prevalentemente pittorico, affermandosi nel clima culturale della Repubblica di Weimar fino all’avvento del nazismo hitleriano nel 1933. Contro l’eccesso di emotività dei colleghi espressionisti tedeschi, che avevano rivoluzionato la composizione canonica del quadro e utilizzato il colore per esprimere un’intensa carica emotiva personale, i pittori della Nuova Oggettività tornarono al realismo, all’interpretazione del mondo nei suoi termini più crudi, anche se non in maniera descrittiva ed impersonale né canonica, portando avanti un’analisi e un racconto della società tedesca del primo dopoguerra. La Nuova oggettività si distingue tuttavia dal realismo in quanto conservò una certa componente emotiva, tipica della tradizione culturale della Germania.

Gli artisti membri di questo gruppo furono impegnati a rappresentare l’attualità, affermando varie e differenti inclinazioni e stili, e l’atteggiamento di rivalutazione del dato oggettivo si concretizzò per la maggior parte, non in un mimetismo tradizionale, ma in visioni realistiche seppur distorte e oscure che miravano a esporre il degrado morale e le condizioni tangibili di cui ognuno era testimone a modo proprio. I loro stili spaziarono da un verismo satirico a un classicismo nostalgico, fino a un inquietante realismo poi definito “magico”, e nonostante le differenze, preferirono prevalentemente composizioni statiche con soggetti precisamente delineati, eliminando così la presenza nel quadro di tracce del processo pittorico o di ogni elemento gestuale irrazionale.

La consacrazione ufficiale di questa tendenza avvenne con una grande mostra presso la Kunsthalle di Mannheim, organizzata nel 1925 dal primo direttore della stessa istituzione Gustav Friedrich Hartlaub (Brema, 1884 – Heidelberg, 1963), che contribuì a far emergere esponenti quali Otto Dix (Gera, 1891 - Singe, 1969), George Grosz (Berlino, 1893 –1959), Georg Scholz (Wolfenbüttel, 1890 – Waldkirch, 1945), Max Beckmann (Lipsia, 1884 – New York, 1950), Alexander Kanoldt (Karlsruhe, 1881 – Berlino, 1939) e Georg Schrimpf (Monaco di Baviera, 1889 – Berlino, 1938), tra gli altri. Si affermò una pittura “fredda” che negava ogni sentimentalismo e spiritualismo e che affrontava le conseguenze della guerra, il rapporto con la sessualità e il denaro nella società, l’incombenza drammatica della macchina nella vita dell’uomo, le illusioni e le contraddizioni dell’esistenza. Dal corpus di opere sopravvissute alla censura nazista degli anni Trenta, emerge il tumulto sociale e politico di quegli anni, l’ascesa delle città in metropoli, con l’affermarsi di una certa libertà sessuale e di costumi, nonché la crescente alienazione dell’individuo sempre più distante dalla natura e dalla vita rurale.

In seno al gruppo, si affermarono una corrente verista, soprattutto a Berlino e Dresda, e una corrente classica, nei centri artistici di Monaco di Baviera e Karlsruhe. Alcuni come Dix e Grosz utilizzarono gli strumenti della satira con impietosa ironia sul mondo, altri manifestarono una vena più emotiva, come Kanoldt e Schrimpf o una personale versione idealizzante degli oggetti, per quel che di inquietante e di ambiguo vi traspariva. Il genere in comune tra loro fu la ritrattistica e l’autoritratto, e nello sforzo di dipingere la verità della persona, le opere della Nuova Oggettività si riconoscono per i dettagli poco lusinghieri o gli effetti psicologici inquietanti dei personaggi ritratti, come leader politici e burocrati, lavoratori e personaggi bohémien, compresi quelli detti i “profittatori” della guerra, mendicanti e prostitute, e naturalmente loro stessi, ciascuno complice della società in cui abitavano.

George Grosz, I Pilastri della società (1926; olio su tela, 108 x 200 cm; Berlino, Staatliche Museen)
George Grosz, I Pilastri della società (1926; olio su tela, 108 x 200 cm; Berlino, Staatliche Museen)
George Grosz, Eclissi di sole (1926; olio su tela, 207,3 x 182,6 cm; Huntington, Heckscher Museum of Art)
George Grosz, Eclissi di sole (1926; olio su tela, 207,3 x 182,6 cm; Huntington, Heckscher Museum of Art)
Raoul Hausmann, Il critico d'arte (1919-1920; litografia e carta stampata su carta, 318 x 254 mm; Londra, Tate Modern)
Raoul Hausmann, Il critico d’arte (1919-1920; litografia e carta stampata su carta, 318 x 254 mm; Londra, Tate Modern)
Georg Schrimpf, Ritratto di bambino (Pietro in Sicilia) (1925; olio su tela, 62,23 x 43,18 cm; Los Angeles, Los Angeles County Museum of Art)
Georg Schrimpf, Ritratto di bambino (Pietro in Sicilia) (1925; olio su tela, 62,23 x 43,18 cm; Los Angeles, Los Angeles County Museum of Art)

Origini e sviluppo della Nuova Oggettività

Negli anni precedenti la prima guerra mondiale dominava in Germania l’Espressionismo dei gruppi Die Brücke e Der Blaue Reiter, ispirati dall’esotismo dell’arte non occidentale e dal dinamismo della vita moderna e urbana. Questi artisti espressionisti avevano abbandonato le concezioni tradizionali dell’arte, cercando un linguaggio altamente personale ed emotivo, concentrandosi sul mondo interiore dell’individuo attraverso il colore, ed evidenziando una prospettiva soggettiva di comprensione del mondo. Se l’idealismo dell’Espressionismo regnava prima della guerra, il più concettuale Dadaismo, fondato nel 1916 a Zurigo e poco dopo diffusosi a Berlino, incarnava il nichilismo e il sentimento antiartistico di molti artisti durante la guerra.

Sarà nel periodo che portò alla costituzione del primo governo democratico della Germania nel 1918, che si manifestò una prima volontà di ritorno al dato oggettivo da parte di artisti segnati dalle devastazioni belliche, dagli sconvolgimenti sociali e dal disagio economico. Denominato Novembergruppe, dal mese della rivoluzione che portò alla costituzione della Repubblica di Weimar (1919-1933), il folto gruppo che si riunì attorno ai pittori fondatori Max Pechstein (Zwicau, 1881 – Berlino, 1955) e César Klein (Amburgo, 1876 – Ratekau, 1954), rifiutava il sentimentalismo dell’espressionismo tedesco prebellico, preferendo una visione più realistica e sobria della vita, nell’affermare un possibile rinnovamento della società e dell’arte nei termini politici del socialismo. L’inclinazione di molti artisti fu verso la durezza della realtà di molte città e della quotidianità di ognuno, che senza travestimenti o elaborazioni veniva rappresentata in opere che acquisivano il valore di testimonianze.

Nel 1922 pittori quali Otto Dix e George Grosz si distinsero per una pratica tutta rivolta a questo nuovo realismo. Avendo entrambi partecipato agli inizi del Dadaismo concettuale tedesco, e avendone poi preso le distanze, si rivolsero a un modo di fare pittura incisivo e sfacciato che mise in luce gli effetti della guerra e della corruzione, in maniera non compassionevole. Il termine “Neue Sachlichkeit”, tradotto come “Nuova Oggettività”, fu coniato per la prima volta da Gustav Friedrich Hartlaub, storico dell’arte direttore della Kunsthalle di Mannheim, come titolo per una mostra che inizialmente doveva essere aperta nel 1923 ma che inaugurò nel 1925.

La mostra esaminava il lavoro post-espressionista di vari artisti dagli approcci stilistici differenti, tra cui appunto Dix e Grosz, Georg Scholz e Max Beckmann, Alexander Kanoldt e Georg Schrimpf, oltre che Rudolf Schlichter (Calw, 1890 – Monaco di Baviera, 1955), Carlo Mense (Rheine, 1886 – Königswinter, 1965) e Heinrich Maria Davringhausen (Aquisgrana, 1894 – Nizza, 1970), per citare i più rappresentativi. Con la mostra, Hartlaub si proponeva di documentare la nuova tendenza pittorica oggettiva in atto, e di cui riconobbe due sottocorrenti o “ali”: una “di sinistra”, derivata dal Dadaismo, critica e ironica nei confronti della società borghese del tempo; una “di destra”, caratterizzata dal ritorno alla plasticità della forma in richiamo alla classicità.

Per quanto alcuni tendessero verso “cinismo e rassegnazione”, nel riconoscere queste esplicite direzioni all’interno del gruppo, Hartlaub osservò che l’insieme di opere esprimeva “l’entusiasmo per la realtà immediata come risultato di un desiderio di prendere le cose in modo del tutto oggettivo, su una base materiale, senza investirle di implicazioni ideali”. Tutti gli artisti si erano concentrati su una rappresentazione il più possibile obiettiva del loro tempo, rivolta alla “realtà tangibile”. L’iniziativa di riunirli a Mannheim ebbe successo, incontrando il favore degli intellettuali di Weimar che ne apprezzarono il rifiuto delle aspirazioni romantiche e idealistiche. La prima democrazia tedesca mirava a rinvigorire e ridefinire la nazione con un nuovo approccio politico ed economico, tuttavia, la vita nella Repubblica di Weimar fu segnata da un disagio economico che andava definendo un clima generalizzato di continuo malessere, dove prostitute, mendicanti e degrado generale erano predominanti in tutta la nazione, entrando a far parte del repertorio di questi artisti.

La mostra del 1925, il cui titolo da allora rimase a definire la tendenza nel suo complesso, attraversò diverse città, e il gruppo diventò piuttosto popolare e influente negli anni successivi. Sebbene geograficamente dispersi in tutta la Germania e stilisticamente diversi, gli artisti della Neue Sachlichkeit condividevano la stessa percezione scettica riguardo alla direzione del Paese. Profondamente disillusi, i loro soggetti e temi facevano eco alle loro preoccupazioni. Otto Dix spiegò che "volevano vedere le cose completamente nude, chiaramente, quasi senza arte". L’avvento del nazismo interruppe però le loro mostre, sei delle quali si erano tenute dal 1925 al 1933: la più importante, con quella di Mannheim, era stata la mostra allo Stedelijk Museum di Amsterdam del 1929.

Georg Schrimpf, Al balcone (1927; olio su tela, 93 x 72 cm; Basilea, Kunstmuseum)
Georg Schrimpf, Al balcone (1927; olio su tela, 93 x 72 cm; Basilea, Kunstmuseum)
Heinrich Maria Davringhausen, Il profittatore (1921; olio su tela, 120 x 120 cm; Düsseldorf, Stiftung Museum Kunstpalast)
Heinrich Maria Davringhausen, Il profittatore (1921; olio su tela, 120 x 120 cm; Düsseldorf, Stiftung Museum Kunstpalast)
Otto Dix, Ritratto della giornalista Sylvia von Harden (1926; olio e tempera su tavola, 121 x 89 cm; Parigi, Centre Pompidou)
Otto Dix, Ritratto della giornalista Sylvia von Harden (1926; olio e tempera su tavola, 121 x 89 cm; Parigi, Centre Pompidou)
Carlo Mense, Ritratto di Davringhausen (1922; olio su tela, 86,5 x 59,5 cm; Colonia, Museum Ludwig)
Carlo Mense, Ritratto di Davringhausen (1922; olio su tela, 86,5 x 59,5 cm; Colonia, Museum Ludwig)

Gli stili, temi e soggetti dei maggiori esponenti della Nuova Oggettività

Hartlaub insieme ad altri studiosi aveva individuato due approcci stilistici dominanti tra gli artisti della Nuova Oggettività: l’ala sinistra che includeva Dix e Grosz, venne chiamata dei “Veristi”, che definivano una forma di realismo che preferiva soggetti contemporanei con un sottostante commento politico. Esagerazioni caricaturali, grottesche e in parte scioccanti di personaggi realistici si collocavano in prospettive innaturali, fredde e nitide, costituendo una denuncia delle difficili condizioni dell’epoca durante la Repubblica di Weimar. Importanti esempi sono, tra gli altri, le opere di George Grosz I Pilastri della società o Eclissi di sole del 1926.

Tra i pittori del ramo verista anche Beckmann insieme a Schlichter e altri, le cui opere sono accomunate per l’atteggiamento aspro e altamente polemico verso la società, la cultura borghese e il potere. Tra loro anche alcuni fotografi, come l’austriaco Raoul Hausmann (Vienna, 1886 – Limoges, 1971), che contribuì alla diffusione del genere del fotomontaggio (Il critico d’arte, 1920). Di pari passo con la concezione del Dadaismo, l’arte non doveva aderire a regole o linguaggi specifici ma aprirsi a composizioni esuberanti che permettessero un’evasione dalle pessimistiche inclinazioni generali. I Veristi della Nuova Oggettività affermarono infatti una forma di “iperrealismo satirico”, termine usato proprio da Hausmann, che enfatizzava il brutto e il crudo in modo provocatorio.

L’ala destra di Hartlaub, detta dei “Classicisti”, si radicò invece nella concezione più classica dell’arte, cercando un linguaggio pittorico universale e proclamando un “ritorno all’ordine”, che fu poi comune in tutta Europa durante gli anni tra le due guerre. Il gruppo trasse ispirazione dalle ricerche dei pittori italiani della Metafisica come Carlo Carrà e Giorgio de Chirico, che portavano avanti un credo antimodernista, di richiamo, appunto, all’ordine e alla tradizione. I Classicisti svilupparono un orientamento stilistico che veniva spesso descritto come “freddo” e ”statico" e per lo più evitarono le questioni sociali, che erano così centrali per i Veristi. Significativi di questa corrente i ritratti di Schrimpf, con figure tranquille e monumentali come in Ritratto di bambino (Pietro in Sicilia) del 1925 o Al balcone del 1927, o le scene di interni di Davringhausen (Il profittatore, 1920-1921), tanto quanto le nature morte e i paesaggi di Kanoldt.

Nel 1925 questa sottocorrente fu rinominata dal critico d’arte Franz RohMagischer Realismus” (“Realismo Magico”), termine che venne a descrivere l’approccio che combinava un’idea “oggettiva” della vita con qualità surreali o misteriose. Nel complesso, queste opere sottolineavano una profonda accuratezza della tecnica con un inafferrabile contenuto “magico” che descriveva inediti rapporti con personaggi, paesaggi e oggetti. Nello stesso momento storico, nel 1924, nasceva il Surrealismo che dotò il mondo delle forme di nuove potenzialità, tanto più insolite quanto più familiari erano i motivi raffigurati. Tale clima, assai complesso del primo dopoguerra, spiega perché le varie sfumature fossero così importanti nelle opere della Nuova Oggettività.

Come si è visto, il genere del ritratto e dell’autoritratto fu in comune tra le due contrapposte correnti: si ricercò la massima somiglianza al modello (Otto Dix, Ritratto della giornalista Sylvia von Harden, 1926), colto sia entro uno spazio rarefatto (Carlo Mense, Ritratto di Davringhausen, 1922), sia nel luogo della sua attività professionale (Otto Dix, Il Medico, 1921), e così, dato lo spettro di stili e tecniche personali, i dipinti della Nuova Oggettività comprendevano dai ritratti iperrealistici alle feroci caricature di individui corrotti, come nelle spietate rappresentazioni di Georg Scholz.

Vi furono temi prediletti (gli amanti, i giocatori di carte, il mondo operaio, il paesaggio industriale divorante degli agglomerati urbani) che a tutt’oggi forniscono un panorama della vita sociale degli anni Venti dopo la Grande guerra. Rispetto ai predecessori dell’Espressionismo, questi artisti diedero al colore un ruolo diverso, non più così totalizzante ma dipendente dal disegno, che tornò ad essere molto analitico, rispondendo al loro momento storico con una ricerca di oggettività in tutti i settori della vita. Sebbene molti tra questi protagonisti della Nuova Oggettività abbiano continuato a lavorare nei loro stili rappresentativi anche dopo il 1930, nelle sue ultime fasi evolutive questa tendenza si volse verso un oggettivismo sempre più preciso e distaccato, in cui si sono viste le premesse del verismo fotografico dell’arte ufficiale nazista.


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