Correzione, contrazione, normalizzazione: com'è stato il mercato dell'arte nel 2023


Com’è andato il mercato dell’arte nel 2023? Dopo la sbornia del 2022 post-Covid (resa possibile per tutta una serie di fattori, dal rimbalzo post-pandemia alla conservazione per due anni dei top lot e altro), il 2023 è stato un anno buono, ma di stallo dopo la favola e la sbronza.

Correzione, contrazione, normalizzazione. Come un “tik tok tak” scandiamo le tre parole magiche al ribasso del mercato dell’arte 2023. Tre termini chiave ripetuti a macchinetta e riprodotti a mantra ogni qualvolta c’è stato da tirare le somme dopo un’asta, una fiera, un qualsiasi scambio negli ultimi mesi. Una tregua fisiologica. Le avvisaglie c’erano già sul calare del 2022, e le aste londinesi della scorsa primavera hanno balenato l’anno che sarebbe stato. Di ridimensionamento. Dopo la sbornia del 2022 post-Covid (resa possibile per tutta una serie di fattori, dal rimbalzo post-pandemia alla “conservazione” per due anni dei top lot, dalle mega mediatiche collezioni monoproprietario all’euforia della ripartenza, dell’investimento, della scommessa), il 2023 è stato un anno, come previsto, buono, ma di stallo dopo la favola e la sbronza.

Dodici mesi di cautela, attesa e riflessione. Un andirivieni di alti e bassi, fiammate e abissi, contenuti e protetti da tante garanzie (il meccanismo “di difesa” utilizzato dalle case d’asta per scaricare i rischi su finanziatori “altri” e tenere i prezzi “controllati”) in modo da tenere a galla il gioco (quando non sono state usate, come a maggio con la Collezione di Gerald Fineberg da Christie’s, è stato un bagno di sangue: 38 milioni in meno del fatturato minimo preventivato, 124 milioni contro i 163 previsti, con invenduti clamorosi). Una stagione contraddistinta da una maggiore attenzione dei collezionisti ai prezzi e al prodotto, i valori sbagliati, in eccesso, sono stati puniti, quindi invenduti. Pur quanto spesso considerato come un universo a sé stante, il mercato ha risentito e patito i tempi che corrono. Una nuova guerra (che ha toccato la comunità storicamente più attiva sulla piazza, quella israeliana), un’altra che prosegue senza fine in Europa, instabilità perpetua globale, crisi, recessioni, inflazione, crack bancari. Il solito, ma molto più manifesto e marcato (crescono gli high spender, ma rimangono più cauti).

Numeri alla mano: il 2023 di una delle major, Christie’s (visto che di Phillips non ci sono segni di vita – nel primo semestre era sotto del 40% rispetto al 2022 – e Sotheby’s ha deciso di divulgare i dati a gennaio, l’anno scorso lo ha fatto a metà dicembre) ha totalizzato 6,2 miliardi di dollari. Meglio del 2019 (+7%), peggio del 2022 (-26%, quando erano stati 8,4 miliardi in totale). Benissimo il lusso, trend iper consolidato negli ultimi anni, con cui si provano a compensare i mancati introiti del Fine Art. Aspettando Sotheby’s, i dati parlano chiaro: i 100 lotti più costosi passati in asta negli ultimi 12 mesi hanno totalizzato 2,4 miliardi di dollari, rispetto ai 4,1 miliardi del 2022 (con ben 6 opere vendute sopra i 100 milioni, solo 2 quest’anno). Le vendite combinate del primo semestre delle big three (Christie’s, Sotheby’s e Phillips) hanno registrato un calo complessivo del 18%. Le Big Sales autunnali (in sequenza: Hong Kong, Londra, Parigi, New York) non sono riuscite a risvegliare un’annata sostanzialmente scialba, flat, piatta. Gli unici pezzi che hanno passato la soglia dei 100 (milioni) sono stati Femme à la montre (1932) di Pablo Picasso (139,4 milioni di dollari, della Landau) e Dame mit Fächer (1917) di Gustav Klimt, capolavoro (si dice l’ultima tela mai dipinta da Klimt) venduto a Londra per 85,3 milioni di sterline (108,4 milioni di dollari): l’opera più cara mai battuta in asta in Europa. La Collezione che doveva rievocare i fasti della Paul Allen (1,6 miliari nel 2022), la Landau Collection, ha totalizzato “solo” 406 milioni di dollari a novembre, con sala soporifera e tutti i lotti garantiti da parti terze passati via veloce, sponda Sotheby’s. Della quale, pur non avendo ancora i dati ufficiali, sappiamo ne uscirà vincente (in termini di fatturato annuale 2023) sulla storica rivale Christie’s, un controsorpasso rispetto al 2022. Grazie, ancora una volta, all’aiuto del segmento Luxury, quindi borse, gioielli, automobili, diamanti, vini, orologi, immobili e compagnia (le previsioni indicano un turnover tra 7 e 8 miliardi, l’anno scorso erano 8 miliardi tondi tondi per la maison di Drahi).

Pablo Picasso, Femme à la montre (1932; olio su tela, 130 x 97 cm)
Pablo Picasso, Femme à la montre (1932; olio su tela, 130 x 97 cm)
Gustav Klimt, Dama col ventaglio (1917-1918; olio su tela, 100 x 100 cm). Foto di Markus Guschelbauer
Gustav Klimt, Dama col ventaglio (1917-1918; olio su tela, 100 x 100 cm). Foto: Markus Guschelbauer

Il futuro non sappiamo se sia roseo, ma di sicuro sarà sfaccettato e glitterato. Nel senso che prosegue senza sosta la sinergia (e fusione) tra moda, design, lusso, arte. Ne sono state tracotanti e travolgenti conferme quelle di tre centri chiave del sistema: Parigi, grazie alla sua rete di musei, fondazioni, aste (ricordando che Pinault di Christie’s e Drahi di Sotheby’s sono francesi), gallerie (le ultime aperture sono state quelle di Mendes Wood e Hauser&Wirth), fiere (dopo Basel hanno aperto Design Miami e Thema, l’anno prossimo inaugurerà anche Mira, dedicata all’arte latinoamericana, che accompagnerà Asia Now, AKAA Also Known as Africa e Menart, focalizzata sul Medio Oriente) e grazie a un governo che ha appena (settimana scorsa) esteso l’Iva del 5,5% a tutte le transazioni; Miami, dove il confine tra lusso e arte si è perso tra la sabbia e l’oceano; Seul, nuova meta prediletta dei cross-collector e fresca capitale del mercato asiatico (con Hong Kong finalmente in ripresa post-Covid e gli affaire cinesi che tornano a scorrere in sordina – breve inciso: Christie’s quest’anno ha registrato una crescita del 30% di nuovi collezionisti provenienti dalla Cina, certificando la salute di un mercato che lascia intravedere ampie possibilità di crescita; la major aprirà nel 2024 una nuova sede a Hong Kong). Christie’s, che con 1 miliardo di dollari di fatturato nel Lusso ha toccato il suo massimo di sempre.

Due i momenti clou della stagione: la vendita, durante la Luxury Week di maggio a Ginevra, della collezione di gioielli di Heidi Horten da 156 milioni di dollari (superata la collezione di Elizabeth Taylor, venduta nel 2011 per oltre 137 milioni); e l’aggiudicazione, sempre nella città svizzera, sempre nella settimana del lusso ma a novembre (il 7), di uno dei diamanti blu più rari al mondo per 44 milioni di dollari, il quarto prezioso blu mai venduto in asta. Altra circostanza cruciale: due giorni dopo, il 9 novembre, sul palco di Christie’s al Rockefeller Center, lo storico (da 38 anni) banditore finlandese Jussi Pylkkänen ha presieduto la sua ultima asta a New York (aggiudicando tra l’altro il terzo top price dell’anno, Le bassin aux nympheas di Monet per 74 milioni). La fine di un’era, o perlomeno un fatto significativo per la ristretta cricca del mercato.

Christie's
Christie’s
Sotheby's
Sotheby’s
Bleu Royal (anello con diamanti, diamante blu taglio pera da 17,61 carati, diamante taglio pera da 3,12 carati, diamante taglio pera modificato da 3,07 carati, platino e oro 18 carati)
Bleu Royal (anello con diamanti, diamante blu taglio pera da 17,61 carati, diamante taglio pera da 3,12 carati, diamante taglio pera modificato da 3,07 carati, platino e oro 18 carati)
Jussi Pylkkänen
Jussi Pylkkänen

Se Parigi e Hong Kong volano grazie alla regina delle fiere, Art Basel, nella rispettive versioni ricamate su misura dal patron MCH Group (Paris+ a ottobre, Basel HK a marzo), la rivale Endeavour, che possiede il marchio delle fiere Frieze e ha acquisito le due top Armory Show di New York e Expo di Chicago, fa decollare la capitale coreana, Seul (a settembre). Ma non solo. Perché è notizia di pochi mesi fa che proprio il colosso fieristico (con interessi privati e ramificati) di base a Londra, abbia messo un piede in uno dei progetti culturali pubblici più importanti del calendario espositivo: la Biennale di Venezia. Un evento che è passato in sordina, catalogato come passaggio inevitabile, che ha visto Frieze stringere una partnership con la Gran Bretagna per la realizzazione del suo padiglione nazionale ai Giardini. Logico e quasi ordinario sintomo dei tempi che sono. Quelli in cui stabile prosegue la vertigine della figurazione. Ancora di tendenza i binomi donna-ultracontemporaneo e identità di genere-extraeuropeo.

Se consideriamo gli ultimi cinque anni, il numero di aggiudicazioni dei cosiddetti red-chip (artisti che “scottano” in profumo di bolla, speculativa) sopra il milione è aumentato del 366,7%. In totale il numero di dollari movimentati è più che quadruplicato, passando da 36,9 milioni a 194 milioni. 67 dei primi 100 migliori risultati nel 2023 sono proprio opere in cui è presente la figura. Figura, che grazie anche a uno di questi nuovi miti della contemporaneità, Nicolas Party, classe 1980, e a una regia ben congegnata, ha dato il là all’operazione Salvo. Il nostro Salvatore Mangione è stato uno dei trend più rilevanti del mercato internazionale. La sua rincorsa è partita lo scorso anno, con i suoi dipinti facili, in particolare i paesaggi saturi di colore molto amati dagli americani e dai cinesi, costantemente con prezzi sopra le stime. II 2023 è stato l’anno della consacrazione: le 14 migliori aggiudicazioni sono avvenute tutte negli scorsi mesi, addirittura 27 delle ultime 30 (con le altre tre che risalgono al 2022). L’escalation di record è stata serrata: a maggio un Senza titolo da Farsetti (284 mila euro), a ottobre Il giorno fu pieno di lampi la sera verranno le stelle da Christie’s Londra (800 mila euro), a novembre Il Mattino da Christie’s Hong Kong (1 milione di euro). Follia o meno, questo è anche il mercato-sistema dell’arte. Salvo a parte, le previsioni per il 2024 proseguono sul solco “normalizzante” del 2023. Nessun botto in vista. Salvo sorprese.


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