Inchiesta sui parchi archeologici della Sicilia, parte 1. I sindaci come soprintendenti


Un'inchiesta in due parti su come sta cambiando la tutela dell'archeologia in Sicilia: qui, nei comitati tecnico-scientifici dei parchi archeologici, possono sedere anche i sindaci. Ecco problemi e conseguenze di questa impostazione.

“Il grande sforzo al quale è chiamato il futuro, è quello di raggiungere il massimo possibile di conoscenze obiettive da porre alla base delle decisioni politiche”, scriveva il giurista Feliciano Benvenuti nel 2006. Confondere i piani tra chi dovrebbe fornire quelle conoscenze tecniche e chi le dovrebbe tradurre in azioni politiche, rappresenta il fallimento di quel “grande sforzo” a cui veniva chiamato il “futuro”. È ciò che sta avvenendo in Sicilia, andando anche oltre: la tutela dalle Soprintendenze passa in mano ai sindaci. E torna in mente Renzi quando diceva che “soprintendenza” è “la parola più brutta del vocabolario” o il sindaco di Firenze Dario Nardella (Italia Viva) che chiedeva al Governo che fosse data ai sindaci delle città d’arte la possibilità di superare i vincoli sul patrimonio storico-artistico.

Da Firenze a Palermo, è ancora un esponente di Italia Viva, Luca Sammartino, che l’anno scorso ha tentato con un ddl di delegare ai Comuni la concessione delle autorizzazioni paesaggistiche. Tentativo naufragato (articoli stralciati), stavolta è il turno dell’assessore leghista dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana Alberto Samonà, già aspramente criticato per i depositi museali spalancati ai privati, a sperimentare una nuova “mutazione genetica” della tutela. Preoccupante perché va ad incidere sulla fetta più rilevante dell’intero patrimonio culturale siciliano, quella dei 14 parchi archeologici, milioni di metri quadrati di territorio, un concentrato di beni culturali e paesaggistici tra i più importanti al mondo.

Quasi tre mesi fa, il 13 febbraio, Samonà aveva annunciato di voler nominare a breve i comitati tecnico-scientifici di questi parchi: “è un atto che trova fondamento nella legge”, diceva, “e che esprime una precisa volontà del Governo Musumeci”. Difficile non notare la coincidenza temporale con cui nemmeno due settimane prima su La Sicilia chi scrive aveva segnalato l’inspiegabile ritardo nell’insediamento di questi organi sia nei parchi di vecchia istituzione, che in quelli nati due anni fa, che aveva condannato questi istituti a un lungo commissariamento, voluto proprio dal Governo in carica, non giustificato da nessuna “emergenza”. Come se nei musei e parchi autonomi del Ministero della Cultura, al posto di cda, comitati e collegi dei revisori dei conti si fossero piazzati dei commissari di emanazione governativa. “È un atto che trova fondamento nella legge”, appunto, mentre per il prolungato commissariamento non si appoggia su nessuna legge regionale, dato che la nomina di commissari è prevista solo nel caso in cui i cda non siano riusciti ad adottar entro i termini il rendiconto generale o il bilancio d’esercizio (l.r. n. 16/2017). In ogni caso si tratta di un commissariamento limitato all’“immediata adozione del documento contabile e per la ricostituzione dell’organo di amministrazione decaduto”. Questi commissari, invece, sono stati sistematicamente rinnovati, trasformando una già ingiustificata gestione “emergenziale” in una ordinaria. In particolare, i Comitati dei dieci parchi istituiti nell’infornata dell’11 aprile 2018 voluta dal Presidente della Regione Nello Musumeci (“una delle mission più significative del Governo”, recitava il comunicato), in qualità di assessore ad interim, avrebbero dovuto essere nominati entro due mesi da quella istituzione e, invece, ne sono passati due di anni.

Stride il contrasto tra la rapidità di quelle istituzioni e la tempistica antidiluviana con cui è stato rinviato l’insediamento di organismi di co-governance che possano davvero fare di questi istituti gli avamposti di palingenesi, anche sotto il profilo economico, per una rilevante fetta del patrimonio regionale, rappresentata dai siti archeologici.

Il Parco di Himera. Foto di Clemens Franz
Il Parco di Himera. Foto di Clemens Franz

La diarchia operativa Direttore-commissario

In attesa che l’assessore passi ai fatti, i parchi restano così in mano a una diarchia operativa: direttore del parco e commissario. Dove anche il primo è espressione di una scelta “sovrana”. I direttori dei parchi che portano la firma di Musumeci assessore sono stati da lui nominati direttamente. I dubbi sugli aspetti procedurali non mancano.

Diversamente, infatti, da quanto previsto per tutti gli altri dirigenti, soprintendenti o direttori di musei, queste nomine le si è fatte superando la procedura selettiva con avviso pubblico. Per una consolidata giurisprudenza in materia qualsiasi incarico non può essere dato su nomina “ad personam”, ma deve passare dalla selezione comparativa. Anche i pur contestati concorsi internazionali per i super-direttori autonomi dello Stato, a cominciare dal primo nel 2015, hanno previsto che il Ministro scegliesse tra una terna di candidati.

Rovine di Selinunte. Foto di Franck Manogil
Rovine di Selinunte. Foto di Franck Manogil

Da una legge pionieristica a un’applicazione fallimentare

I Comitati sono uno degli anelli chiave del “modello siciliano” di una governance decentralizzata, prevista nel 2000 dalla “Legge Granata” che istituì il Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi, al contempo dettando le norme per l’istituzione del sistema dei parchi archeologici in Sicilia. Una legge pionieristica e avanzata nelle linee generali, che ha attribuito a questi istituti “autonomia scientifica e di ricerca, organizzativa, amministrativa e finanziaria”. È a questa legge che si è ispirata la Riforma Franceschini nel 2014. Una norma, meglio sottolinearlo, che non si limita “solo” all’istituzione dei singoli parchi, ma che li concepisce inquadrati in un sistema, appunto, in una dimensione più ampia d’interconnessione, al fine di generare economie di scala, attraverso la condivisione di servizi, strumentazione e competenze professionali. Concetti con i quali abbiamo familiarità oggi, quelli di “sistema” e di “rete”, ma che ne fanno una legge straordinariamente moderna per l’epoca. E che tale resta tuttora, dato che nello Stato non è contemplato un “sistema dei parchi”. Il parco archeologico siciliano è qualcosa di diverso da quello statale. La stessa definizione contenuta nel Codice dei beni culturali (art. 101, comma 2, lett. e) non riesce a restituirne la specificità: quella di un sovrasistema che unisce le emergenze monumentali archeologiche, preminenti, al paesaggio e ambiente, senza ridursi alla somma di queste categorie, ma esprimendo un nuovo valore in sé, col quale si passa da un approccio statico, qual è ancora quello del “museo all’aperto” (a cui fa riferimento ancora il Codice), a uno dinamico, nel quale il parco deve tendere a migliorare le potenzialità archeologiche favorendone l’interazione con le potenzialità socio-economiche del territorio.

È stata questa legge a introdurre il parco archeologico come soggetto istituzionale 14 anni prima della Riforma ministeriale (il Codice ne fornisce solo una definizione) e il principio di un’autonomia finanziaria che consentisse di trattenere gli incassi dall’attività di gestione dei beni conferiti. Questo consente di velocizzare le procedure relative alla contabilità, alle spese, alle concessioni o anche di entrata di fondi dai privati. Un miraggio. A parte Valle dei Templi, Naxos, Selinunte e Segesta, per tutto il resto dei parchi non è stato ancora attivato un servizio di tesoreria e di cassa, per cui continuano a ricevere, con lungaggini, assegnazioni dagli uffici centrali e tutto quanto quello che guadagnano finisce nel calderone unico del bilancio regionale.

Una legge, però, non esente da contraddizioni e carenze emerse in tutta la loro portata nella fase applicativa, tentata a più riprese nell’ultimo decennio sotto i Governi Lombardo, Crocetta e da ultimo Musumeci (ho dedicato numerosi articoli all’argomento, su “Il Giornale dell’Arte”e “Il Giornale dell’Architettura”, rilanciati su “Emergenza Cultura” e su tutti i principali quotidiani cartacei siciliani). Una lunga storia di mala politica e amministrazione (“BlogSicilia”), dove c’è posto pure per un parco fantasma, Segesta, e uno istituito senza perimetrazione, Pantelleria. Venti anni in cui hanno visto la luce solo tre parchi. Fino a quando ci ha pensato il Governo in carica a creare tutti gli altri, a costo di trucchetti, leggi aggirate, interpretate “creativamente”, forzati apparentamenti tra siti culturali e commissari al posto degli organi di governance. Rinunciando a puntare su selezionati e qualificati poli d’eccellenza, non è difficile prevedere, per esempio, che l’autonomia non sarà sostenibile per chi conta pochi spiccioli in cassa. È un lusso solo per una manciata di parchi, i “big” che hanno un certo giro di incassi come quelli che attualmente ne sono già dotati. Dei nuovi potranno farcela solo Siracusa e Piazza Armerina.

Per consentire l’avvio delle procedure di gestione finanziaria è stato creato nella recente Legge Finanziaria un “fondo di perequazione” che l’Assessore Samonà ha definito una “rivoluzione”. Ci aveva già pensato il suo predecessore tragicamente scomparso, Sebastiano Tusa. In realtà, un analogo fondo di riequilibrio finanziario è stato creato già dal 2015 per gli istituti del Ministero della Cultura, dove però il trasferimento dei fondi ai quelli economicamente più forti in favore di quelli più deboli avviene nella misura del 20% della bigliettazione, mentre in Sicilia lo è appena del 10%. E mentre per i primi è previsto un meccanismo di premialità, se non si pensa a qualcosa del genere anche per i parchi “più deboli” siciliani il rischio è quello di favorire una gestione “poco dinamica” da parte di quei direttori delle piccole strutture che potrebbero adagiarsi su un contributo economico piovuto dall’alto e fare solo ordinaria amministrazione, senza sviluppare alcuna progettualità della propria struttura. Il contributo potrebbe essere commisurato, per esempio, alla capacità gestionale della direzione di saper amministrare i propri fondi, nella misurazione delle attività scientifiche e divulgative del patrimonio amministrato, nella capacità di promuovere eventi culturali, ecc. Mettiamoci pure una struttura terza in grado di giudicare queste attività.

Ma questione finanziaria a parte, torniamo a quella che a tutta prima si direbbe una buona notizia: l’assessore vuole finalmente insediare degli organi tecnico-scientifici che affianchino i direttori. Tanto più che, come andiamo denunciando da anni, questi ultimi raramente sono degli archeologi. Se non degli archeologi, chi dovrebbe “presidiare” istituti che, a differenza delle soprintendenze multidisciplinari, sono tematici? E, infatti, si chiamano parchi archeologici e non, olisticamente, “parchi culturali”.

Se, però, andiamo a vedere la natura di questi Comitati, la composizione e i compiti, la questione inizia a prendere un’altra piega. A dispetto del nome, si tratta, infatti, di organi collegiali che più che dei tecnici si troveranno ad avere una maggioranza di soggetti politici, in rappresentanza di Enti territoriali diversi dalla Regione (i Comuni), con potere di esprimere un parere anche su questioni attinenti alla tutela. Quello a cui si appresta l’assessore è, insomma, l’insediamento di un vero e proprio esercito che farà di questi comitati degli organi pletorici e ingestibili.

Il Teatro di Segesta. Foto di Davide Mauro
Il Teatro di Segesta. Foto di Davide Mauro

Da chi è composto il Comitato tecnico-scientifico?

Sebbene criticata per vari aspetti, la riforma targata Franceschini non ha mescolato funzioni amministrative e politiche: negli organi che affiancano il direttore statale accanto ai tecnici non siedono i sindaci, come in Sicilia. Qui, infatti, i Comitati hanno la seguente composizione: il soprintendente, che li presiede; il sindaco o i sindaci dei comuni in cui ricade il parco; due esperti designati dall’Assessore dei beni culturali tra docenti universitari o componenti di fondazioni o associazioni culturali e ambientali “di rilevanza nazionale”, e un esperto indicato dal sindaco o dai sindaci, sempre tra docenti o esponenti di fondazioni e associazioni “di rilevanza nazionale”.

Confrontiamo con i parchi statali. Il Comitato scientifico, che coopera con il direttore nel decidere le linee scientifiche, è composto da 4 membri designati dal Ministro, Consiglio Superiore BBCC, Regione e Comune, individuati tra professori universitari di ruolo o esperti di comprovata qualificazione scientifica. Nel Comitato non siede, dunque, direttamente il sindaco, ma un suo esperto.

Nei Comitati siciliani, invece, ci sono proprio i sindaci dei territori ricompresi nei parchi, fino al numero record di nove per un solo parco, Himera. In Sicilia ci sono più parchi che in tutto il resto della Penisola: ben 14 contro otto. A parte la Valle dei Templi (istituita nel 2000), Naxos (2007), e Segesta (2018), i dieci tenuti a battesimo nel 2019 dal Presidente della Regione Nello Musumeci, nelle vesti allora di Assessore al ramo ad interim, a causa di incongrui accorpamenti ricadono in più Comuni: in 9 quello di Himera, in 6 quello di Catania, in 4 quelli di Siracusa, di Tindari e di Kamarina, in 4 quello di Morgantina e Villa Romana del Casale, e quello delle Isole Eolie. Selinunte, istituito nel 2013, nel 2019 è stato ampliato con Cave di Cusa e Pantelleria, ricadendo così, non più in un solo Comune, ma in tre.

Alla base di aggregazioni come quest’ultima o quella Villa del Casale con Morgantina, o Himera con Solunto e Monte Jato, già è difficile individuare caratteri tematici comuni (tipologici: templi, ville sepolcri, ecc.; sincronici: ville tardo antiche, ecc.; diacronici: la produzione del vino dall’età romani ai nostri giorni, ecc.), figurarsi a cercare di capire con quali criteri siano stati ulteriormente assegnati altri siti dipendenti (che non rientrano nella perimetrazione), che non siano quelli amministrativi da logica del calderone. Risultato, una geografia ancora più estesa, ridisegnata come indicato sul sito del Dipartimento: per cui, per esempio, il Parco Archeologico di Gela che da decreto istitutivo ricade in un unico Comune, arriva a contarne 10, 10 pure quello di Tindari, Kamarina 9, quello di Catania 7, Morgantina 6, e così via. Samonà parla di “coinvolgimento diretto dei sindaci sul cui territorio insistono i parchi”, ma i primi cittadini di questi Comuni dei siti aggregati non sono stati convocati in organi, i comitati, in cui, eppure, dovrebbe aver diritto di rappresentanza la “comunità del parco”.Insomma, considerati come dei sindaci di serie “b”.

E anche senza di loro, quella che si intende nominare è, comunque, una squadra a prevalenza politica, in organi, meglio ricordarlo, che dovrebbero essere “tecnici”. Prendiamo ancora Himera: nel Comitato dovrebbero sedere ben 13 persone. In quello del parco italiano più noto nel mondo, Pompei sono, oltre al direttore, 4. Non è solo una questione quantitativa, ma qualitativa. Mentre i sindaci, infatti, sono stati chiamati a convergere sul nome di un esperto, la propria “categoria” è distintamente rappresentata da ognuno di loro: 9 sindaci, ovvero politici, contro 4 tecnici, per restare all’esempio di Himera. Tredici teste chiamate a occuparsi non solo di questioni tecnico-scientifiche, ma anche gestionali. Altra aberrazione siciliana.

Scavi archeologici a Morgantina. Foto di Carlo Columba
Scavi archeologici a Morgantina. Foto di Carlo Columba

I compiti dei Comitati

Il Comitato funge, infatti, anche da Consiglio di amministrazione, organo di gestione. Il suo parere integra l’efficacia degli atti amministrativi ed è chiamato a esprimersi sullo schema di bilancio, sul programma annuale e triennale, sugli interventi da eseguire e ad adottare il rendiconto di gestione.

Veniamo, così, al cuore della questione: il fatto più preoccupante è che la legge regionale consenta che in deroga al Codice dei beni culturali siano questi Comitati, così composti, a autorizzare, sostituendosi al Soprintendente, gli interventi proposti dal direttore, comprese le demolizioni, entro il perimetro del parco e a rilasciare l’autorizzazione paesaggistica (artt.21 e 146 del D.lgs. 42/2004). Lo stabilisce la legge 20 ed è ribadito anche nel Regolamento dei Parchi alla voce “Rilascio dei pareri”. Si tratta di una ingerenza senza precedenti della politica in questioni che dovrebbero essere appannaggio solo dei tecnici. E non di tecnici in modo generico. A non doversi esprimere in materia di tutela non dovrebbero essere nemmeno tecnici esterni come i docenti universitari o i rappresentanti di associazioni, né tanto meno il rappresentante del Sindaco, che non possiedono gli strumenti per dare un contributo ai problemi di tutela. È solo la Soprintendenza che ne ha la titolarità.

Sui “tecnici” intendiamoci ancora: personalità “di rilevanza nazionale” richiede la legge. Formula vaga che in passato non ha affatto imposto la nomina di personalità di alto profilo. E non di alto profilo in ingegneria aerospaziale. In parchi che si chiamano archeologici ci devono stare gli archeologi. Non come a Tindari, dove in un parco con 11 siti archeologici ce n’è per miracolo uno solo. Solo personalità davvero di chiara fama giustificano la presenza di tecnici esterni in un parco che ha autonomia scientifica e di ricerca (l.r. 20/2000, art. 20, c. 8) e già prevede nel suo organico figure tecnico-scientifiche.

Ora, è vero che il Soprintendente presiede il Comitato, ma per via di quella deroga e dal momento che il parere si esprime a maggioranza, il suo pronunciamento può essere messo in minoranza da interessi espressi dai territori, che non sempre sono compatibili con le esigenze di conservazione del patrimonio culturale. I sindaci potranno, in altre parole, venirsi a trovare nella situazione conflittuale di farsi da una parte portavoce di quegli interessi e dall’altra essere chiamati ad esprimere parere sugli stessi. Saranno in palese conflitto di interesse ogni qualvolta si dovranno adottare provvedimenti in qualche modo restrittivi nei territori da loro amministrati. Non dimentichiamo che il Parco è costituito da beni appartenenti al demanio regionale, soggetto a vincoli archeologici e paesaggistici sui quali la competenza non può essere demandata ai sindaci. Si arriverebbe al paradosso per cui il sindaco di un Comune nel caso di imposizione di un vincolo archeologico, sovraordinato al Piano regolatore generale, deva adeguare al vincolo il Prg e, al contrario, si trova ad avere potere decisionale, in grado di incidere sulle scelte che riguardano il demanio del Parco.

Altro paradosso. In fase di creazione di questi parchi, nel procedimento di perimetrazione il Comune interessato era chiamato a esprimersi entro 45 giorni (art. 20 comma 4), ma il parere non era comunque vincolante. Stessa legge, ora invece il sindaco ha potere decisionale! 

È anche una questione di pesi. In uno dei parchi più importanti per estensione e patrimonio archeologico, quello di Siracusa, vale quanto quello del sindaco del capoluogo il voto di quello, per esempio, di Avola, che siede al tavolo solo perché nel parco è stata inserita la sola piccola villa di Borgellusa.

Questa gravissima breccia nella tutela non era sfuggita alle Linee Guida dei parchi archeologici del 2001 che stigmatizzando “il carattere eccezionale di quest’ultima disposizione che costituisce deroga alle normali competenze in tema di tutela dei beni culturali e paesaggistici”, e “in considerazione della composizione del comitato stesso”, ristabilisce che “questo parere resta demandato alle Soprintendenze”.

Nello Stato la questione tutela è stata risolta attribuendo al Direttore del parco tutti i compiti di un Soprintendente per il territorio assegnato. Una soluzione, peraltro, non risparmiata dalle critiche per il fatto che si contesta ai direttori di questi istituti autonomi di non essere così ferrati in materia, dal momento che possono essere anche specialisti cooptati con concorso internazionale non solo tra gli interni al Ministero, e quindi anche i soprintendenti, ma anche tra esterni, come i docenti universitari o specialisti stranieri. Diciamo, allora, che la “formula” siciliana col Soprintendente che presiede il Comitato potrebbe essere un’interessante alternativa, a patto che si eliminasse quell’assurda e pericolosissima deroga, lasciando che tutte le questioni attinenti alla tutela siano istruite dal suo Ufficio.


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Silvia Mazza

L'autrice di questo articolo: Silvia Mazza

Storica dell’arte e giornalista, scrive su “Il Giornale dell’Arte”, “Il Giornale dell’Architettura” e “The Art Newspaper”. Le sue inchieste sono state citate dal “Corriere della Sera” e  dal compianto Folco Quilici  nel suo ultimo libro Tutt'attorno la Sicilia: Un'avventura di mare (Utet, Torino 2017). Come opinionista specializzata interviene spesso sulla stampa siciliana (“Gazzetta del Sud”, “Il Giornale di Sicilia”, “La Sicilia”, etc.). Dal 2006 al 2012 è stata corrispondente per il quotidiano “America Oggi” (New Jersey), titolare della rubrica di “Arte e Cultura” del magazine domenicale “Oggi 7”. Con un diploma di Specializzazione in Storia dell’Arte Medievale e Moderna, ha una formazione specifica nel campo della conservazione del patrimonio culturale (Carta del Rischio).



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