Le inutili soprintendenze


Una parte della politica e del giornalismo ritiene quasi che le soprintendenze siano inutili. Esprimiamo il nostro parere in merito.

No, non siamo usciti di senno e non pensiamo che le soprintendenze siano inutili, anzi: la loro importanza è fondamentale, e lo ha ricordato anche l’ex ministro Massimo Bray proprio ieri, in un articolo pubblicato sul suo sito web, che ha ripercorso molto brevemente la storia dell’istituto della soprintendenza da Raffaello in poi per ricordarci che “siamo tutori di un patrimonio universale che deve costituire il nostro orgoglio e non diventare un peso”, e quindi compito delle soprintendenze è, appunto, esercitare le mansioni di tutela di questo vastissimo patrimonio.

C’è però una parte della politica e del giornalismo che la pensa in maniera diametralmente opposta. È il dettame del nuovo presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che fin da tempi non sospetti ha condotto attacchi nei confronti delle soprintendenze: l’Italia quindi è “una terra in cui le sovrintendenze vincolano e tutelano anche e soprattutto le schifezze”, “il sistema delle sovrintendenze è inchiodato a un modello centralista e burocratico di Stato che poteva andar bene, forse, nella seconda metà dell’Ottocento”, (Fuori!, 2011), “sovrintendente è una delle parole più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia. È una di quelle parole che suonano grigie. Stritola entusiasmo e fantasia fin dalla terza sillaba. Sovrintendente de che?” (Stil Novo, 2012), “Abbiamo la cultura in mano a una struttura ottocentesca, non può basarsi sul sistema delle sovrintendenze” (frase pronunciata all’indomani della vittoria di Renzi alle primarie del PD l’8 dicembre 2013), e via dicendo.

A dare man forte alle teorie renziane ci ha pensato domenica scorsa Giovanni Valentini, che pur non essendo un esperto del settore, ha scritto su Repubblica un articolo (peraltro pubblicato in prima pagina), intitolato Tutti i no delle soprintendenze che ostacolano i tesori d’Italia, che ha suscitato l’indignazione di pressoché tutto il mondo dei beni culturali, tanto che una serie di associazioni e intellettuali, capitanati dalla Associazione Bianchi Bandinelli, ha pensato di rispondere in un comunicato firmato, tra gli altri, da Vezio De Lucia, Vittorio Emiliani, Alberto Asor Rosa, Salvatore Settis, Tomaso Montanari, Marco Tullio Giordana, Andrea Emiliani e molti altri, che bolla l’articolo come una “antologia degli stereotipi più logori, disinformati e disinformanti contro gli organi di tutela”.

Tralasciando le ormai abusatissime citazioni alla Grande Bellezza di Paolo Sorrentino che, al di fuori del suo contesto, hanno già ampiamente stancato, e sorvolando sul fatto che l’autore dell’articolo citi a più riprese Matteo Renzi per dimostrare le proprie teorie, emerge una inquietante idea di fondo che, purtroppo, sta trovando sempre più larga diffusione: quella secondo cui, per citare l’articolo, “le soprintendenze diventano fattori di conservazione e protezionismo in senso stretto: cioè di freno e ostacolo allo sviluppo, alla crescita del turismo e dell’economia”. E Valentini porta anche degli esempi, come lo scontro per l’affitto di Ponte Vecchio alla Ferrari e quello per condurre i sondaggi sugli affreschi di Giorgio Vasari a Palazzo Vecchio. E, tra l’altro, in entrambi i casi l’ex sindaco di Firenze riuscì nei suoi intenti: quello di sottrarre Ponte Vecchio alla cittadinanza per regalarlo ai ferraristi nel primo caso, e quello di dare via libera a un intervento invasivo sugli affreschi vasariani. Se quindi serviva una prova per dimostrare come le soprintendenze a volte avallino scelte parecchio discutibili (ricordiamo infatti che la soprintendenza fiorentina autorizzò le ricerche sull’affresco di Vasari), tale prova si può ricavare anche dallo stesso articolo di Valentini.

È la dimostrazione, pertanto, di come spesso le logiche della conservazione, della tutela, e della pubblica fruibilità di un’opera, cedano spesso il passo a logiche di altro tipo, e quel che è peggio è che questa "moda" si sta sempre più diffondendo: l’ultimo caso in ordine cronologico è della settimana scorsa, quando alcuni dei preziosi ambienti del complesso museale di Santa Maria della Scala di Siena sono stati trasformati in palestra per fitness, zumba e arti marziali senza che siano state adottate le minime misure per mettere in sicurezza le opere, lasciate alla mercé degli amatori della kick-boxing e, ovviamente, del sudore di tutti i partecipanti alla Sport Week che si è tenuta nelle sale del complesso senese (e una lettera aperta scritta da un gruppo di intellettuali senesi non solo ci ha ricordato come il sudore rechi danni alle opere, ma ci ha anche ricordato la normativa in materia di microclima per le opere d’arte). Un caso per il quale la realtà ha abbondantemente superato la fantasia.

Assistiamo ogni giorno a situazioni che non vorremmo si verificassero: perché oltre all’uso scriteriato dei beni culturali, dobbiamo mettere in conto anche i risultati dell’incuria, che ormai sono all’ordine del giorno, e i recenti crolli di Pompei e Volterra, come evidenziato anche dal comunicato dell’Associazione Bianchi Bandinelli, ne sono testimonianza in quanto prodotto della mancata tutela (e non è quindi vero che le soprintendenze sono istituti dalla pastoia burocratica facile, anzi: spesso non riescono neppure a fare il loro lavoro, per mancanza di risorse adeguate). E senza le soprintendenze, come sarà possibile porre un freno al degrado e invertire la rotta? Se gli organi preposti alla conservazione e alla tutela saranno smantellati, chi si occuperà di questioni tanto delicate? Perché finora abbiamo letto valanghe di critiche alle soprintendenze, ma non abbiamo letto delle proposte alternative. Ma il punto è che non servono progetti alternativi: senza le soprintendenze, non esisterebbero tutela e conservazione. È vero che il personale delle soprintendenze ha un’età media piuttosto alta e che in molti casi appare demotivato, ma domandiamoci anche quanto guadagna una persona superqualificata al massimo della carriera nel campo dei beni culturali, ovviamente nel pubblico. Ricordiamo che Antonio Natali, direttore degli Uffizi, ovvero il museo italiano con più visitatori, ha dichiarato di percepire uno stipendio di 1.890 euro al mese: per non essere demotivati ci vuole veramente una enorme passione, e noi siamo sicuri, al cento per cento, che la maggior parte del personale pubblico del ministero sia animato proprio da questa enorme passione.

Non serve a niente abolire le soprintendenze, anzi, si tratterebbe di una misura dannosa: quello che ci serve è rinnovare, aprirsi alle novità, motivare e gratificare il personale, destinare maggiori risorse alla cultura (non serve che ricordiamo quanto poco spendiamo per la cultura in Italia). Un paese che ha un patrimonio culturale come il nostro, e che per tutte le attività connesse a questo patrimonio destina soltanto un miliardo e mezzo di euro, deve assolutamente cambiare registro e aumentare le risorse destinate alla cultura: le parole lasciano il tempo che trovano, e soprattutto finora di parole ne abbiamo sentite fin troppe, sarebbe ora di vedere dei fatti, ma per “fatti” intendiamo fatti che vadano in direzione della conservazione, della tutela e della valorizzazione del nostro patrimonio, perché di fatti che vadano in direzione della sottomissione del patrimonio alle logiche del marketing abbiamo già svariati esempi e soprattutto non avvertiamo il bisogno. E, pensando alla conservazione e alla tutela, queste saranno possibili soltanto se le soprintendenze rimarranno dove stanno: rinnovate e con personale più giovane (e meglio pagato!), ma al loro posto. Senza la conservazione e senza la tutela, correremo il rischio, paventato anche dall’Associazione Bianchi Bandinelli, di far cadere in rovina la maggior parte del nostro patrimonio storico-artistico, e ci occuperemo solo di quelle poche opere considerate utili dal marketing perché attirano le grandi masse di turisti, ma le trasformeremo in feticci vuoti e privi di senso, buoni solo per essere adorati senza spirito critico.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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