Scatola in una valigia, il museo portatile di Marcel Duchamp


Tra il 1935 e il 1941 Marcel Duchamp lavorò a un particolare progetto intitolato Scatola in una valigia: un “museo portatile” che riuniva sessantanove riproduzioni e repliche in miniatura delle sue più significative opere. Questa è ora al centro di una mostra alla Collezione Peggy Guggenheim. 

“Tutto quello che ho fatto di importante potrebbe stare in una piccola valigia”, dichiarò Marcel Duchamp (Henri-Robert-Marcel Duchamp; Blainville-Crevon, 1887 – Neuilly-sur-Seine, 1968). In effetti, tra il 1935 e il 1941 l’artista lavorò a un particolare progetto intitolato da o di Marcel Duchamp o Rrose Sélavy [Scatola in una valigia] che riuniva sessantanove riproduzioni e repliche tridimensionali in miniatura delle sue più significative opere. Per la realizzazione di questo progetto, Duchamp cominciò a scrivere a mano lunghi elenchi con titolo, data e collocazione (dove nota) delle opere; si servì di fotografie per riprodurre gli oggetti dispersi; si rivolse inoltre ai familiari e ai collezionisti europei e americani che possedevano quasi l’intera sua produzione. Per esaminare e annotare personalmente i dettagli specifici degli originali, come titoli, date, dimensioni, compì anche brevi viaggi negli Stati Uniti, e in alcune occasioni compì in loco studi dettagliati, anche per quanto riguarda i colori, annotandosi appunti, realizzando schizzi o fotografie. Per i propri contributi quali frontespizi, copertine di libri e riviste, illustrazioni a colori e inserti, da inserire nella Scatola in una valigia, sfruttò invece alla fine degli Trenta l’occasione di ottenere la stampa di centinaia di copie aggiuntive di questi per risparmiare sulle spese.

Per questa sua “meravigliosa vacanza nel mio passato”, come lui ironicamente definì l’opera, si affidò alla stampa in collotipia, tecnica antiquata, complessa e costosa che permetteva di ottenere copie straordinariamente fedeli agli originali, e alla colorazione a pochoir, un tipo di pittura a procura affidata ad artigiani che pazientemente applicavano a mano i pigmenti sulle stampe, utilizzando matrici ritagliate da fogli di zinco per ciascuna area di colore, offuscando in questo modo i confini tra un originale fatto a mano e la sua duplicazione meccanica. Per una maggiore ambiguità, alcune riproduzioni vennero anche verniciate e incorniciate come veri quadri. In questi anni collaborò quindi, oltre che con laboratori di pochoir, anche con artigiani specializzati quali rilegatori, falegnami, ceramisti, soffiatori di vetro, fabbricanti di valigie, commercianti di carta, produttori di porcellana vitrea, fotografi, tipografi, per realizzare i piccoli oggetti per la Scatola in una valigia.

Per racchiudere tutte queste riproduzioni pensò inoltre a un adeguato e originale contenitore: inizialmente pensò a un libro, ma l’idea non lo soddisfaceva pienamente, poi ecco l’idea illuminante. Una scatola in cui “tutte le mie opere si trovassero raccolte come in un museo a scala ridotta, un museo per così dire portatile”. Ideò quindi un contenitore di cartone a scomparti, con un’armatura e dei telai in legno e due pannelli scorrevoli. Creò inoltre edizioni deluxe in valigette di compensato rivestite di cuoio marrone, personalizzate con un’opera originale posta all’interno del coperchio. Completò infine ogni valigetta con una propria serratura e chiave.

Si pensi che per comporre un solo esemplare di Scatola in una valigia, occorrevano almeno dieci giorni di lavoro e più di centottanta pezzi, dalle sessantanove riproduzioni e repliche in miniatura, ciascuna con la propria etichetta stampata su carta, alle cartelline di cartoncino nero su cui erano fissate con colla e nastro adesivo quasi tutte le stampe a collotipia (alcune come detto erano incorniciate), oltre ai supporti di legno e cartone e ai dettagli in metallo. Un vero lavoro certosino.

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da o di Marcel Duchamp o Rrose Sélavy, Scatola in una valigia (1935-1941; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim), (Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York) © Association Marcel Duchamp, by SIAE 2023

La prima ad acquistare una Scatola in una valigia fu proprio Peggy Guggenheim, che prenotò il n. I/XX dell’edizione deluxe. È proprio attorno a questo esemplare che ruota l’attuale mostra Marcel Duchamp e la seduzione della copia, a cura di Paul B. Franklin, in corso fino al 18 marzo 2024 alla Collezione Peggy Guggenheim. La prima grande retrospettiva che la sede museale veneziana dedica a uno degli artisti più innovativi del Novecento, che fu anche storico amico e consigliere della stessa Peggy. Duchamp gliel’assemblò, con una dedica: “Per Peggy Guggenheim questa n. I / di venti scatole in una valigia / che contengono ognuna 69 pezzi e un originale / di Marcel Duchamp / Parigi gennaio 1941”. Fece imprimere il nome della collezionista e il numero dell’edizione sul cuoio (dalle recenti indagini sembra si tratti di pelle di vitello) e la completò con una serratura Louis Vuitton. E dato che l’edizione deluxe era sempre accompagnata da un’opera originale, Duchamp scelse per la sua prima acquirente il coloriage original che fa da prototipo per la riproduzione in collotipia colorata a pochoir de Il re e la regina circondati da nudi veloci (il dipinto originale è del maggio 1912 ed è conservato al Philadelphia Museum of Art), dove un re e una regina degli scacchi si fronteggiano circondati da uno sciame di nudi femminili. All’interno della valigia, nella metà interna dell’ala sinistra scorrevole, collocò inoltre la riproduzione in collotipia del dipinto incorniciata, verniciata e colorata a pochoir, in modo tale da far dialogare tra loro, una volta aperta la valigia, il coloriage original non verniciato de Il re e la regina circondati da nudi veloci con il suo doppio. La valigia di Guggenheim contiene inoltre una miniatura di Fontana, l’orinatoio rovesciato noto come uno dei più famosi ready-made di Duchamp, e una cartolina stampata raffigurante la famosa L.H.O.O.Q., la Gioconda di Leonardo da Vinci a cui l’artista aggiunse barba e baffi completata dal gioco di parole dato dalla sequenza di lettere pronunciate in francese “elle a chaud au cul”.

Marcel Duchamp e Peggy Guggenheim furono legati da una lunga amicizia, come viene raccontato alla mostra veneziana attraverso documenti d’archivio, fotografie, pubblicazioni. I due si conobbero a Parigi intorno al 1923, ma è dall’autunno del 1937 che Duchamp divenne tra i consiglieri più fidati della mecenate, a partire dall’imminente apertura della sua prima galleria d’arte a Londra, la Guggenheim Jeune, e dalla formazione della sua collezione d’arte. Peggy Guggenheim, nella sua autobiografia Confessions of an Art Addict pubblicata nel 1960, scrisse: “Avevo veramente bisogno di aiuto. Mi venne in soccorso un vecchio amico, Marcel Duchamp [...] Non so cosa avrei fatto senza di lui. [...] Devo ringraziarlo per avermi introdotto nel mondo dell’arte moderna”. Con l’acquisto del primo esemplare dell’edizione deluxe di Scatola in una valigia, divenne poi una delle prime sostenitrici dell’artista. Peggy la espose nell’allestimento della sua nuova galleria di New York, inaugurata nell’ottobre 1942: Art of This Century.

Scatola in una valigia è da considerarsi come il maggiore e più innovativo esempio dell’utilizzo della copia e del duplicato come modalità di espressione creativa di Duchamp. Nel corso della sua carriera l’artista riprodusse infatti ripetutamente le proprie opere variando tecniche e dimensioni, e diffuse il suo corpus di opere proprio grazie alle copie. Per lui l’originale e la sua riproduzione avevano uguale importanza estetica: “[La gente] dice che una cosa fatta a macchina non è un’opera d’arte. È ridicolo. […] Un duplicato o una ripetizione meccanica hanno lo stesso valore dell’originale”, dichiarava. E riguardo ai ready-made, costituiti da oggetti industriali fabbricati in serie, affermava che questi erano copie autentiche delle quali non esiste un originale. “Il ready-made non ha niente di unico”, affermava nel 1961. “La replica di un ready-made trasmette lo stesso messaggio”. Tanto che dalla metà degli anni Trenta iniziò a realizzare a scopi espositivi alcuni ready-made andati perduti, e nel 1964, il gallerista milanese Arturo Schwarz convinse Duchamp a commercializzare, data la loro popolarità, un’edizione di ready-made storici: l’artista limitò tuttavia l’edizione a otto copie firmate e numerate.

Marcel Duchamp, padre dell’arte concettuale, sovvertì le gerarchie culturali del modernismo che dava maggiore importanza all’innovazione artistica, all’originalità dell’autore, screditando conseguentemente la copia, la riproduzione. L’artista, da anticonformista quale era, rifiutò quindi di sostenere l’esaltazione degli originali artistici e di disprezzare le riproduzioni di qualsiasi tipo. In pittura “siamo rimasti al culto dell’originale”, ma “né in musica né in poesia”, sosteneva, esiste l’idea dell’originale.

Anche lo stesso titolo completo di Scatola in una valigia, “da o di Marcel Duchamp o Rrose Sélavy”, è significativo perché fa riferimento all’idea della copia, alla clonazione di se stesso: Duchamp creò infatti un suo alter ego, di sesso femminile, un suo doppio. Con Rrose Sélavy cedette autonomia autoriale e unicità artistica a favore della dualità creativa, come espresso dalla doppia “r” di Rrose. E dal 1921 decise anche di darle forma, indossando abiti femminili, truccandosi, ingioiellandosi, incarnando quindi la figura della bella borghese, sofisticata e seducente. Rrose Sélavy si fa fotografare da Man Ray, gira film, pubblica giochi di parole (il suo nome stesso si basa sul gioco di parole fonetico francese "éros, c’est la vie) e soprattutto realizza diverse opere d’arte insieme a Duchamp, come nel caso della Scatola in una valigia.

Nel corso della sua carriera Marcel Duchamp realizzò ben 312 esemplari in diverse edizioni di Scatola in una valigia.

L’originale di Peggy Guggenheim è composta da una grande varietà di materiali e vede l’utilizzo di varie tecniche: pelle di vitello, cartone, legno, tela rigida, tela cerata, velluto, ceramica, vetro, cellophane, gesso, elementi metallici, stampa tipografica, collotipia e litografia su carta, cartoncino, tela e acetato di cellulosa con tempera, acquerello, pochoir, inchiostro, grafite, resine vegetali e gomme naturali.

Questa è stata oggetto, in occasione della mostra Marcel Duchamp e la seduzione della copia, di una campagna di indagini e di un intervento di conservazione, condotto in due fasi nei laboratori di restauro dell’Opificio delle Pietre Dure e in parte sostenuto da EFG. I risultati sono presentati in Marcel Duchamp: un viaggio nella Scatola in una valigia, un approfondimento scientifico e didattico proposto dalla sede museale veneziana su questa originale opera d’arte. Obiettivi sono stati, tra gli altri, l’identificazione delle tecniche scelte dall’artista e la ricostruzione del metodo di assemblaggio dei pezzi, nonché la risoluzione delle problematiche legate alla conservazione di un oggetto così delicato.

Nell’ambito della mostra il museo organizza eventi correlati. Tutti i giorni alle ore 16 nel giardino del museo è prevista una presentazione gratuita della durata di circa 15 minuti sull’esposizione temporanea. Il 3 dicembre è previsto inoltre, nell’ambito dei Kids Day, il laboratorio I ready made di Marcel Duchamp!. Un laboratorio per i più piccoli, dai 4 ai 10 anni, per avvicinarli all’arte in modo accessibile e coinvolgente, sperimentando tecniche e tematiche diverse. La partecipazione è gratuita con prenotazione online obbligatoria (a partire dal 27 novembre).

Marcel Duchamp con un esempio incompleto della Scatola in una valigia nella residenza di Peggy Guggenheim, 440 East 51st Street, New York, agosto 1942. Pubblicato in
Marcel Duchamp con un esempio incompleto della Scatola in una valigia nella residenza di Peggy Guggenheim, 440 East 51st Street, New York, agosto 1942. Pubblicato in “Artist Descending to America”, Time, vol. 40, no. 10, 7 settembre 1942, p. 102

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