Luca Rossi è un collettivo artistico e critico che dal 2009 sferza il mondo dell’arte contemporanea, dal vivo e online, con azioni mirate, opere d’arte che si sono spesso concentrate su temi di stretta attualità (per esempio l’infodemia, il costante flusso d’immagini a cui siamo sottoposti e la conseguente saturazione, l’impegno politico degli artisti) oltre che scritti critici spesso polemici, molti dei quali ospitati anche da Finestre sull’Arte. In occasione della Quadriennale di Roma 2025, che aprirà l’11 ottobre, e della prossima edizione di Artissima, che comincerà a Torino il 31 ottobre, Luca Rossi proporrà un’azione da lui definita “immersiva”, finalizzata a evidenziare il meccanismo di speculazione che sta uccidendo l’arte contemporanea e quello che potrebbe essere l’antidoto: il senso critico che tutti possono sviluppare per fare la differenza e comprendere i valori dell’opera d’arte. Lo abbiamo raggiunto per farci dare qualche anticipazione. L’intervista è di Federico Giannini.
FG. A breve terrai due azioni particolarmente interessanti a Roma, per l’inaugurazione della Quadriennale, e a Torino, nei giorni di Artissima. Puoi anticipare qualcosa ai nostri lettori? Cosa stai preparando?
LR. Tutti i problemi del mondo fino ad arrivare alla nostra vita privata hanno oggi una radice culturale, e quindi a Roma e Torino dimostrerò come il vero valore culturale vada cercato in modi, atteggiamenti, visioni e attitudini e non in “oggetti d’arte” e “intrattenimento” che devono essere solo l’eventuale conseguenze di quella che ho chiamato “NUVOLA M.A.V.A” (modi, atteggiamenti, visioni e attitudini). Come funziona il sistema di speculazione nel mercato dell’arte? Quale antidoto ad esso? Come “allenare nuovi occhi” e vedere il valore dell’opera d’arte nella nostra vita? Non sarà una lezione ma un’esperienza che cambierà il nostro modo di “vedere”. Se l’opera d’arte non ha un valore per la nostra vita possiamo seppellirla.
Le tue azioni puntano da sempre, appunto, a far emergere quello che dovrebbe essere il valore dell’opera d’arte. “Valore” però è un’espressione quanto meno duplice: da una parte il valore materiale, il valore economico, il valore di mercato. E dall’altra il valore simbolico, il valore dell’opera d’arte per le nostre vite. Le tue azioni portano il pubblico a concentrarsi su entrambe le cose. Parliamo, intanto, di valore materiale. Tu ti sei spesso scagliato contro le quotazioni di tanta arte contemporanea e non di rado ti sei espresso su quanto, secondo te, dovrebbero davvero costare le opere, e ci sei andato giù anche piuttosto pesante, con prezzi a cinque zeri di artisti noti che secondo te sarebbero gonfiati anche dell’80-90%. E questo per rimanere su di una fascia medio-alta, quindi senza andare a toccare gli artisti dalle quotazioni più alte. Vuoi spiegarci perché secondo te gli artisti dovrebbero rivedere il valore delle loro opere, tenendo anche conto del fatto che il prezzo include anche tutto quello che non vediamo (l’intermediazione, i trasporti, i cataloghi, le mostre, il marketing e via dicendo)?
Se nel mercato ci sono prezzi diversi evidentemente ci sono valori artistici diversi. Il famoso decano dei galleristi italiani, Massimo Minini, una volta mi disse che il prezzo lo fa il mercato... io dico che il sistema gonfia il valore delle opere in modo arbitrario e questo influenza il prezzo. Quello che sostengo è che negli ultimi vent’anni la totale assenza di un confronto critico abbia ucciso la nostra capacità di fare le differenze e quindi abbia inaridito la formazione e la divulgazione che sono rispettivamente modalità per creare qualità e per riconoscere questa qualità. Qualche anno fa in modo provocatorio ho creato la “Guida Michelin-o” riferendomi alla Guida Michelin dei ristoranti ma anche a una delle uscite storiche di Arte Fiera, ossia l’uscita Michelino. In questa guida, fatto 100 il valore di un’opera, teorizzavo che l’80% dovesse provenire dal valore artistico e il 20% dalle pubbliche relazioni e dalla storicità dell’artista. Da questa percentuale di valore artistico, che a mio parere non può essere oggettivo ma è argomentabile, dipendeva il prezzo di un’opera 50 x 50 cm dell’artista in questione. Oggi nel mondo dell’arte moderna e contemporanea il prezzo viene determinato all’80% dalle pubbliche relazioni e dal curriculum dell’artista e solo al 20%, forse anche meno, dal valore artistico dell’opera. Nel 2018 stavo facendo una visita guidata alla Fiera Artissima e l’assistente dell’allora direttrice mi ha fermato dicendomi “tu qui non puoi parlare”. Proprio da questa frase nasce l’azione immersiva che farò a Roma davanti alla Quadriennale il 10-11 ottobre e dal 30 ottobre al 2 novembre a Torino davanti alla fiera d’arte moderna e contemporanea Artissima. Hanno paura che Luca Rossi possa parlare perché questo potrebbe mettere in discussione la trattativa, ossia la vendita, mentre non capiscono che parlare e argomentare può essere un modo per sostenere il valore e quindi la vendita stessa. “Parlare” non significa spiegare l’opera, quello sarebbe un errore madornale, ma argomentare il valore in relazione alla storia dell’arte e alla nostra vita presente.
Concentriamoci invece sul valore simbolico. Penso siamo tutti d’accordo sul fatto che le arti visive, e in special modo l’arte contemporanea, sembra lontana dall’orizzonte di molte persone. Le arti visive non sono più l’arte dominante del nostro tempo, mi pare un punto incontestabile: le persone oggi percepiscono più vicinanza ad altre forme d’espressione (il cinema anzitutto, e poi la musica, in parte l’architettura, forse persino la danza oggi è più vicina alle persone delle arti visive). Intanto: l’arte contemporanea s’è condannata da sola all’irrilevanza? Qual è secondo te il valore che oggi ha l’arte per le persone, e quale il valore che dovrebbe avere?
A mio parere nel corso del secolo scorso e poi in modo più evidente durante gli anni novanta, l’arte contemporanea è uscita dai musei e vive in mezzo a noi. Se annusiamo i progetti di maggiore successo emersi nel mondo negli ultimi 24 anni vediamo che hanno tutti germi artistici e creativi. Per questo motivo, se non ci occupiamo di arte contemporanea, la peggiore arte contemporanea si occuperà delle nostre vite e sono guai... esattamente come sta succedendo. L’arte contemporanea oggi è in tutto, nel cinema, nella danza, nella musica ma anche nella politica fino ad arrivare alla nostra vita privata. Già negli anni Cinquanta del secolo scorso artisti come Yves Klein dicevano “la vita stessa e l’arte assoluta”. Nelle azioni che farò a Roma e Torino vedremo concretamente cosa significa che la vita stessa è l’arte assoluta e come trovare, concretamente, nella nostra vita il valore dell’arte moderna e contemporanea. È condannata all’irrilevanza certa arte contemporanea che troviamo sempre di più là dove pensiamo ci sia mentre non la vediamo quando è sotto i nostri occhi là dove pensiamo non ci sia.
Viviamo in una sostanziale assenza di critica. Anche questo è incontrovertibile. Non ti chiedo se la critica serve a qualcosa, perché penso siamo tutti d’accordo su questo punto (altrimenti neppure io farei critica). Ti chiedo però se secondo te può esserci ancora uno spazio per la critica, o se siamo destinati a soccombere alle logiche del marketing, dell’arte in formato reel, della divulgazione carina che soffoca il pensiero critico, della risciacquatura dei comunicati stampa...
Servono nuove modalità di fare critica che siano persistenti nel tempo ed incidenti. Bisogna creare diversi livelli di lettura, tutti di qualità, per coinvolgere una comunità di riferimento. E soprattutto bisogna collaborare tra persone che la pensano e la vedono nello stesso modo perché gli altri, quelli del solo marketing e dello storytelling da reel, collaborano eccome... !
Dici che oggi nel contemporaneo non c’è mai semina e c’è sempre raccolta. Che semina si dovrebbe fare allora?
Sono gli artisti che dovrebbero creare spazi e tempi di semina, prima di tutto recuperando i mezzi di produzione ossia “luoghi” e “pubbliche relazioni”. Biennali, Quadriennali e mostre, per non parlare delle fiere, sono tutti i luoghi di raccolta o che ammiccano alla raccolta. Dopo tanti anni questa situazione è insostenibile perché non puoi pretendere la raccolta senza lavorare bene sulla “semina”. ecco spiegata la crisi del mercato contemporaneo mentre il moderno potendo contare su decine e decine di anni tende ad andare meglio. I progetti che ho fatto in questi anni hanno affrontato la semina e la raccolta, e anche quello che farò a Torino (“Tu qui non puoi parlare ”) avrà un momento di semina e un momento di raccolta, ma fuori dalle logiche e delle liturgie stanche del mondo dell’arte.
Qualche settimana fa ho intervistato Giordano Raffaelli, secondo lui oggi all’arte italiana manca un grande campione. Manca, per dire, un Jannik Sinner dell’arte. Ma lo stesso discorso si potrebbe fare anche per la musica, per il cinema, per tutti gli ambiti creativi: cosa sta accadendo secondo te? E da dove potrebbe nascere un Sinner dell’arte?
Come diceva Sergio Romano, in Italia abbiamo un grosso problema: preferiamo il successo di un francese, di un inglese o di un americano rispetto al successo di un nostro connazionale. Nell’ambito dell’arte, dove apparentemente non ci sono criteri oggettivi, questa situazione (dopo molti anni) mantiene tutti ad un livello mediocre proprio perché qualsiasi energia che tenta di emergere viene subito riposizionata ad un livello medio che non possa mai mettere in discussione la presunta mediocrità di tutti gli altri. Lo stesso Maurizio Cattelan si è fatto all’estero e poi è tornato in Italia, stessa cosa di tutti gli artisti contemporanei italiani più apprezzati, da Francesco Vezzoli e Monica Bonvicini. Se Jannik Sinner non avesse avuto “il punteggio” non sarebbe mai emerso a livello internazionale e non sarebbe mai diventato il numero uno al mondo. Il punteggio è stato il criterio oggettivo per fare le differenze, quello che in Italia dovrebbe fare il senso critico rispetto al moderno e al contemporaneo. La qualità va sviluppata ma poi va anche riconosciuta e valorizzata. In Italia, e forse non solo, permane un certo analfabetismo rispetto al contemporaneo: questo facilita giovani artisti derivativi che non potranno diventare mai il Sinner dell’arte e disincentiva le menti più brillanti che preferiscono occuparsi di settori dove merito e valore sono maggiormente riconoscibili. Inoltre, abbiamo la presunzione di un grande passato artistico e questo penalizza le energie e le risorse che mettiamo sull’arte moderna e contemporanea, anche se sarebbe fondamentale vedere anche l’antico con modalità contemporanee aggiornate. Paradossalmente, negli ultimi trent’anni, questa situazione di sofferenza ha stimolato tantissime energie contemporanee interessanti che molti paesi non hanno mai avuto e per questo dico da tempo che l’Italia, sul contemporaneo, potrebbe agire da “late comers”, ossia avere attitudini di valore senza un sistema troppo strutturato che possa in qualche modo limitarle.
Tu cerchi da tempo di scuotere il sistema. Però c’è anche da dire che oggi il pubblico sembra anestetizzato. Manca la voglia di discutere. Manca la voglia di mettersi in discussione. Siamo schiavi del preconfezionato, del precotto, dello storytelling. E non sembrano esserci grossi segnali di risveglio, di novità. Ci sono però dei bagliori nel buio secondo te?
Io vedo un bagliore nel percorso complesso e difficile che ho sviluppato in questi sedici anni. Io credo molto nella necessità di portare fuori dal laboratorio alcune soluzioni che in questi anni ho sviluppato solo a livello di laboratorio. Mi riferisco alla necessità di un nuovo “corpo a corpo” con il pubblico che è esattamente quello che farò a Roma e a Torino. Ma per perfezionare queste modalità ci sono voluti anni in un sistema che ancora oggi mi ostracizza, mi rallenta, mi ostacola e mi toglie qualsiasi risorsa. A volte immagino quello che avrei potuto fare se avessi avuto i milioni di euro che sono stati spesi in tanti progetti di artisti contemporanei italiani negli ultimi anni. Penso, per esempio, ai 2,6 milioni di euro che è costato il Padiglione Italia 2022 e che non ha lasciato alcun segno.
Tu, comunque, continui imperterrito nonostante tutto: c’è qualcosa di nobile, di gentilmente ottocentesco in questa tua contestazione che va avanti, come ricordavi, ormai da sedici anni. Il tuo collega Giovanni Fattori, centoquarant’anni prima di te, grosso modo, scriveva a Diego Martelli che l’artista e il critico devono “rompere i coglioni a questo marciume che è la società”, l’artista con le sue opere, il critico con la sua penna. Tu sei un po’ tutte e due le cose. Usi sia l’opera che la penna. E non riesco a pensare a qualcuno che più di te abbia, come diceva Fattori, rotto i coglioni in tutti questi anni. E poi, sono sicuro che non ti stancherai. Ma la società è cambiata: secondo te la critica riesce davvero a dar fastidio?
Bellissimo questo tuo riferimento, davvero forte e commovente. Sì, non mi fermerò mai e vedo che ogni difficoltà e ogni anno, portano nuove energie e nuove opportunità. È come se stessi lentamente avvicinandomi al muro di “uno due tre stella”, quando la persona rivolta verso il muro si gira improvvisamente e può eliminare i concorrenti. Ecco io sto avanzando ogni anno di qualche passo e prima o poi arriverò al muro. “Luca Rossi” è un ruolo sclerotico che ha dovuto vestire tutti i ruoli del sistema, tanto che se fermano uno di questi ruoli c’è n’è subito un altro ruolo che può proseguire. Chiunque può essere “Luca Rossi” perché chiunque può fare proprio e sviluppare senso critico. A mio parere si tratta solo di trovare modalità aggiornate al nostro tempo e le risorse per portare questi progetti fuori dal laboratorio in cui ancora oggi si trovano.
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Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Al suo attivo anche docenze in materia di giornalismo culturale (presso Università di Genova e Ordine dei Giornalisti), inoltre partecipa regolarmente come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).
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