Arriva in libreria il 18 luglio, pubblicato da Skira e curato da Valerio Terraroli, Il Vittoriale degli Italiani di Gabriele d’Annunzio nelle fotografie di Dante Bravo (1925–1931), un volume che raccoglie e presenta per la prima volta in forma integrale circa 180 stampe fotografiche d’epoca, realizzate tra la metà degli anni Venti e i primi anni Trenta. Si tratta di un ampio repertorio visivo che documenta le fasi di costruzione del complesso monumentale di Gardone Riviera, sul lago di Garda, voluto e abitato da Gabriele d’Annunzio.
Le immagini, realizzate da Dante Bravo, fotografo incaricato ufficialmente tra il 1925 e il 1931, restituiscono l’evoluzione del cantiere che trasformò una villa sulle colline gardesane in una vera e propria “Cittadella della memoria”. Il Vittoriale fu concepito dal poeta-soldato come un grande monumento dedicato non solo alle vittorie italiane nella Prima guerra mondiale, ma anche alle sue personali imprese belliche e alla celebrazione della propria esistenza. Bravo seguì e documentò i lavori per sei anni, lasciando un fondo fotografico che, nonostante le perdite e le dispersioni, permette ancora oggi di analizzare con chiarezza le fasi costruttive e gli ambienti interni più emblematici.
Le stampe presentate nel volume, superstiti di una produzione più ampia e oggi per la prima volta pubblicate nella loro interezza, sono organizzate in un percorso visivo pensato per guidare il lettore all’interno di un progetto artistico e simbolico complesso, che fonde architettura, letteratura, memoria e autobiografia. Il Vittoriale, più che un semplice luogo abitativo o celebrativo, si configura infatti come l’ultima opera d’arte totale realizzata da d’Annunzio, in cui ogni elemento, dagli arredi agli oggetti, dalle sculture ai giardini, è carico di riferimenti simbolici, mitologici e culturali.
Oltre alle fotografie dei lavori esterni e delle strutture architettoniche in fase di realizzazione, il volume include una selezione di scatti che ritraggono alcuni degli ambienti interni più importantis e meno noti al grande pubblico. Tra questi, la Camerata di Gasparo, la stanza di Leda, il Cenacolo (noto anche come stanza delle Reliquie) e la stanza di Cheli. Le immagini mostrano gli spazi mentre vengono allestiti, offrendo uno sguardo ravvicinato sulle scelte compositive e decorative che d’Annunzio supervisionò in ogni dettaglio. Ogni stanza si rivela così parte di un discorso narrativo e simbolico che l’autore orchestrò per costruire un’identità postuma, intrecciando memoria personale e ideologia patriottica.
L’introduzione al volume, redatta dallo stesso Valerio Terraroli, offre un’articolata analisi del complesso del Vittoriale, soffermandosi sia sugli aspetti architettonici sia sugli elementi decorativi e sugli allestimenti interni. Il saggio ricostruisce il contesto storico e culturale entro cui d’Annunzio ideò il Vittoriale, illustrando le fonti di ispirazione, i modelli estetici e simbolici adottati, nonché il modo in cui il poeta impose il proprio gusto su ogni singolo elemento del complesso. Il contributo di Terraroli si sofferma anche sulla relazione tra il Vittoriale e la figura pubblica e privata di d’Annunzio, ponendo l’accento sulla natura ambivalente della sua scelta di ritiro: un isolamento volontario che tuttavia mantenne una fortissima carica scenografica e politica.
Nel corso dei diciassette anni trascorsi al Vittoriale, d’Annunzio visse in quella che egli stesso definì “una solitudine selvaggia e raffinata, misera e opulenta, dove le passioni ardono s’inceneriscono riardono incessantemente”. Tale descrizione, che condensa la tensione tra fasto estetico e inquietudine esistenziale, trova riscontro anche nelle immagini scelte per il volume, in cui la monumentalità degli spazi e la cura dei dettagli convivono con un senso di sospensione e di isolamento. Le fotografie di Dante Bravo, lungi dal costituire una mera documentazione tecnica, assumono così un valore storico e narrativo, offrendo una testimonianza visiva della costruzione non solo di un edificio, ma di un mito personale.
Il progetto editoriale di Skira consente dunque di recuperare uno sguardo d’insieme su un periodo poco indagato della vita di d’Annunzio, restituendo al tempo stesso la complessità di un’opera architettonica che rappresenta un caso unico nella cultura italiana del Novecento. La raccolta fotografica non si limita a illustrare un momento della storia architettonica del Paese, ma si configura come uno strumento di riflessione sulla rappresentazione pubblica della memoria, sulla relazione tra estetica e ideologia e sul ruolo dell’artista come artefice del proprio destino postumo.