L’unico fotoreporter italiano ad aver vinto il Premio Pulitzer, ovvero Lorenzo Tugnoli (Lugo di Romagna, 1979), espone i suoi lavori a Bagnacavallo in una mostra, fa’ che sia un racconto, tesa a dimostrare che, in questo nostro tempo in cui le immagini si consumano velocemente e le narrazioni pubbliche tendono a normalizzare la violenza, è ancora possibile fermarsi, guardare, riflettere. Aperta dal 24 aprile al 2 giugno 2025 negli spazi dell’Ex Convento di San Francesco a Bagnacavallo, in provincia di Ravenna, l’esposizione si configura come un progetto espositivo e culturale che intreccia fotografia, geopolitica, memoria e resistenza. Un invito al pensiero critico e alla partecipazione civile, che attraverso il lavoro di Lorenzo Tugnoli pone lo spettatore davanti alla crudezza e alle contraddizioni della più recente escalation militare in Medio Oriente.
Il cuore pulsante della mostra è costituito da 40 fotografie in grande formato, realizzate da Tugnoli tra ottobre 2023 e l’inizio del 2025, prevalentemente in Palestina e Libano. Sono immagini in bianco e nero, senza filtri né artifici, che documentano le conseguenze della guerra, catturando paesaggi devastati, sguardi infantili e attimi sospesi, lontani dalla spettacolarizzazione del dolore. Tugnoli, che lavora da oltre dieci anni in Palestina per testate internazionali come il Washington Post, affronta la materia della guerra con uno sguardo ravvicinato ma rispettoso, lontano dall’estetica del sensazionalismo e vicino invece alla dignità dei soggetti ritratti.
Curata dalla ricercatrice e scrittrice Francesca Recchia – già coautrice con Tugnoli di The Little Book of Kabul – la mostra è pensata come un’esperienza interdisciplinare e partecipativa. Il percorso espositivo, articolato in episodi, affronta alcuni temi cardine della narrazione contemporanea dei conflitti: documentazione, evidenza, testimonianza, resistenza. E intende farlo con rigore, ma anche con una forte componente simbolica ed esperienziale. L’allestimento, firmato da Diego Segatto, trasforma gli ambienti dell’ex convento in un luogo sospeso, dove la narrazione si costruisce senza didascalie, in assenza di commenti didattici. Le immagini e i testi, anche questi in bianco e nero, parlano da sé: l’obiettivo è sottrarsi alla musealizzazione del conflitto e lasciare spazio all’identificazione dello spettatore.
Dice Francesca Recchia: “Se il registro primario di fa’ che sia un racconto è quello della fattualità documentaria, il sottotesto è poetico e riflessivo: un’occasione per soffermarsi e mettere a fuoco i valori della solidarietà, della resistenza e del diritto all’autodeterminazione. Da una parte siamo testimoni – a volte passivi, complici o indignati – di una brutalità senza precedenti; dall’altra assistiamo sia al rischio di assuefazione sia di una presa di coscienza delle numerose omissioni da parte dei mezzi di comunicazione di massa. Giri di parole, disumanizzazione, eufemismi e censure offrono degli scorci ideologici e parziali che mettono in discussione le radici stesse del diritto fondamentale di conoscere i fatti”.
Il titolo della mostra si ispira a un verso del poeta palestinese Refaat Alareer, ucciso a Gaza durante un raid israeliano nella notte tra il 6 e il 7 dicembre 2023: “Se dovessi morire, fa’ che sia un racconto”. Una frase che campeggia, stampata per esteso, su un grande lenzuolo bianco all’ingresso del percorso. È insieme monito e invito: a non dimenticare, a trasformare la perdita in testimonianza, la morte in memoria attiva.
Il percorso si apre con un’installazione interattiva: dadi di carta che i visitatori possono lanciare per comporre narrazioni differenti del conflitto, con esiti contraddittori. Ogni faccia del dado contiene parole significative, tratte dal lessico bellico e mediatico – “genocidio”, “autodifesa”, “cecchino”, “sasso”, “bombe”, “guerra” – che riflettono le diverse prospettive, spesso in contrasto tra loro, utilizzate per raccontare gli stessi eventi. È un dispositivo semplice ma efficace per evidenziare quanto le parole contino, e quanto la loro scelta sia spesso funzionale alla costruzione di un consenso. Segue la lista dei giornalisti uccisi dall’inizio dell’escalation militare – più di 200 nomi, ricavati dai dati condivisi dal Comitato per la Protezione dei Giornalisti – stampati su un lenzuolo lungo undici metri, a memoria del diritto negato all’informazione e del rischio estremo corso da chi ogni giorno tenta di raccontare la guerra.
Le immagini di Tugnoli fotoreporter del Washington Post, arrivano quindi come un colpo allo stomaco ma anche come spazio di riflessione. Lontano dalla retorica del reportage, il fotografo costruisce un discorso attorno al tema dell’evidenza: ciò che è davanti agli occhi eppure troppo spesso viene ignorato o distorto. Bambini che camminano tra le macerie, donne che cercano normalità in mezzo all’assedio, case ridotte a polvere. Ogni scatto è testimonianza, ogni inquadratura resiste all’oblio.
A sottolineare il ruolo attivo del pubblico nella costruzione del significato, la mostra include anche un videogioco satirico (l’unica concessione digitale della mostra), The New York Times Simulator, ideato da Molleindustria, avatar del game-designer Paolo Pedercini. Ispirato alle teorie di Noam Chomsky sulla manipolazione del consenso, il gioco mette il visitatore nei panni di un editor alle prese con la creazione di titoli mediaticamente accattivanti ma politicamente neutri. È un esperimento ludico che denuncia il conformismo dell’informazione e stimola la consapevolezza critica.
Lungo uno dei corridoi della mostra, i visitatori si trovano immersi in un labirinto di carta: 140 documenti, per un totale di 36.000 pagine tra trattati, convenzioni internazionali, rapporti delle Nazioni Unite, dichiarazioni di ONG come Amnesty International e Medici Senza Frontiere. Si tratta di testi fondamentali per comprendere le relazioni tra Israele e Palestina, la definizione giuridica dei crimini di guerra, i diritti umani calpestati. L’ambiente volutamente caotico e vincolante vuole trasmettere la complessità normativa e la frustrazione di fronte all’inefficacia delle istituzioni internazionali, con le regole che vengono continuamente violate in nome di una reale o presunta emergenza, in una situazione che Giorgio Agamben aveva teorizzato con la sua idea dello “stato d’eccezione”.
Il concetto di Sumud – la resilienza e la resistenza non violenta del popolo palestinese – trova spazio in una sezione dedicata, con particolare attenzione ai bambini. In una sala, il pavimento è ricoperto da 14.000 ciottoli di fiume, uno per ogni bambino ucciso nella recente guerra. È un tributo silenzioso e toccante, che parla di assenza, ma anche di cura e di memoria.
La mostra si chiude con una sala di lettura dove il pubblico può consultare una selezione di libri e saggi che hanno accompagnato la ricerca di Francesca Recchia. È disponibile anche una fanzine che raccoglie l’intento politico e culturale del progetto, insieme a una mappa inedita del territorio palestinese, disegnata da Diego Segatto, che rende visibile la frammentazione imposta dall’occupazione e dai confini mobili.
Lungo il percorso, alcuni QR code permettono di accedere a contenuti digitali supplementari: post verificati sui social media che si ricollegano ai temi affrontati nella mostra. Un modo per riconnettere l’esperienza della visita all’attualità del dibattito e alla rete globale dell’informazione.
Promossa dall’Unione dei Comuni della Bassa Romagna, in collaborazione con l’Istituto storico della Resistenza di Ravenna, il Comune di Bagnacavallo e con il contributo della Regione Emilia-Romagna, di Romagna Acque Società delle Fonti e BCC, “fa’ che sia un racconto” è l’evento principale per le celebrazioni dell’80° anniversario della Liberazione dal nazifascismo. Non una mostra tradizionale dunque, ma uno spazio vivo, dove le immagini e i testi non offrono risposte ma pongono domande, dove lo spettatore è chiamato a diventare testimone attivo, dove la narrazione si fa strumento di conoscenza e resistenza.
Titolo mostra | Lorenzo Tugnoli. Fa' che sia un racconto | Città | Bagnacavallo | Sede | Ex Convento di San Francesco | Date | Dal 24/04/2025 al 02/06/2025 | Artisti | Lorenzo Tugnoli | Curatori | Francesca Recchia | Temi | Fotografia |
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