Al Mart di Rovereto la più grande mostra di sempre su Alceo Dossena, più di un falsario


Il Mart di Rovereto ospita la più grande mostra di sempre su Alceo Dossena, il grande falsario che negli anni Venti ingannò musei e collezionisti di tutto il mondo. Esposte anche le finte teste di Modigliani della famosa beffa del 1984.

La più grande mostra di sempre su Alceo Dossena (Cremona, 1878 - Roma, 1937): è Il falso nell’arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento, rassegna in programma al Mart di Rovereto dal 3 ottobre 2021 al 9 gennaio 2022, nata da un’idea del presidente del Mart, Vittorio Sgarbi, e curata da Dario Del Bufalo e Marco Horak. Nelle sale del museo trentino, è possibile ammirare il più vasto nucleo di opere del grande falsario cremonese che sia mai stata finora proposta al pubblico. Dossena, noto per le sue opere in grado di imitare alla perfezione i capolavori di artisti del Medioevo e del Rinascimento, come Donatello, Nino Pisano, Giovanni Pisano, Andrea del Verrocchio e altri, riuscì col suo talento a ingannare molti esperti, e diverse sue opere furono acquistate negli anni Venti del Novecento per prestigiose raccolte private e rilevanti musei pubblici americani.

Per la prima volta, la mostra, attraverso una selezione di opere in arrivo da istituti pubblici e collezioni private (in particolare la collezione privata di Dario Del Bufalo e quella della Fondazione Cavallini Sgarbi), ripercorre la carriera di Alceo Dossena esponendo opere (ritratti, Madonne, figure di santi, ma anche due statue che imitavano la scultura dell’antica Grecia) attribuite di volta in volta a Giovanni e Nino Pisano, a Simone Martini, al Vecchietta, all’Amadeo, a Donatello, a Mino da Fiesole, a Desiderio da Settignano, ad Andrea del Verrocchio, ad Antonio Rossellino e ad altri celebri maestri del passato. Dossena era in grado di produrre falsi che spaziavano dall’arte etrusca a quella contemporanea, e a ingannare gli acquirenti era soprattutto l’originalità delle sue invenzioni: Dossena, infatti, non si limitava a copiare, ma inventava composizioni che riuscivano però a essere credibili, perché realizzate secondo lo stile dei diversi artisti che Dossena imitava. Il falsario riusciva infatti a entrare nel corpo e nello spirito delle forme, mescolando suggestioni della scultura italiana più alta alla sua personale sensibilità.

Le opere di Dossena poterono essere spacciate per originali grazie a due trafficanti (Alfredo Fasoli e Alfredo Pallesi) che lo ingaggiarono, dandogli uno stipendio mensile, e cominciarono a diffondere i suoi falsi, spargendo la notizia che una così grande immissione di opere del Medioevo e del Rinascimento sul mercato si doveva al ritrovamento dei resti di una fantomatica antica abbazia toscana distrutta durante un terremoto, e dalle cui rovine erano emersi notevoli tesori. Uscito allo scoperto, Dossena cercò di presentarsi come artista autonomo e riuscì anche a esporre: sue mostre si tennero alla Galleria Micheli di Milano, del 1929, nella storica Sala Mostre di Fiamma a Roma nel 1931. Per Dossena anche una retrospettiva postuma, nel 1956, nelle sale dell’Associazione della Stampa. L’obiettivo della mostra di Rovereto è quello di “lasciare un segno profondo nell’ambito degli studi sulla complessa, enigmatica e affascinante figura dello scultore cremonese”, come si legge nella presentazione, ma anche di contribuire “al dibattito sul senso dell’arte stesso e sui suoi significati, oltreché sul ruolo dei musei, suggerendo questioni di ambito squisitamente museologico”. In mostra si trovano infatti altri falsi recenti, oltre a quelli di Dossena: ci sono le tre teste “di Modigliani” protagoniste della famosissima beffa del 1984 (quando tre giovani livornesi gettarono nel Fosso Reale di Livorno tre teste realizzate da loro e credute però di Modigliani da buona parte della critica), e alcune opere del pittore Lino Frongia, pittore che di recente è stato accusato di aver realizzato e contribuito alla vendita di alcuni falsi acquistati da musei francesi (il processo è tutt’ora in corso). La mostra è accompagnata da un catalogo pubblicato da L’Erma di Bretschneider con i saggi dei curatori Dario Del Bufalo e Marco Horak e di Vittorio Sgarbi, e testi critici di Rodolfo Bona, Roberta Ferrazza, Andrea Baldinotti, Marco Tanzi, Emanuele Pellegrini, Romolo Magnani.

Sala della mostra Il falso nell'arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento
Sala della mostra Il falso nell’arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento
Sala della mostra Il falso nell'arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento
Sala della mostra Il falso nell’arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento
Sala della mostra Il falso nell'arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento
Sala della mostra Il falso nell’arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento
Sala della mostra Il falso nell'arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento
Sala della mostra Il falso nell’arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento
Sala della mostra Il falso nell'arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento
Sala della mostra Il falso nell’arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento
Sala della mostra Il falso nell'arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento
Sala della mostra Il falso nell’arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento
Sala della mostra Il falso nell'arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento
Sala della mostra Il falso nell’arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento

Il percorso espositivo

La mostra comincia con una riproduzione dell’atelier dell’artista, idealmente rievocato in apertura di percorso: l’itinerario prosegue poi con una sezione dedicata al falso nell’arte tra Otto e Novecento. Tra la fine del XIX e i primi decenni del XX secolo si assiste infatti, da un lato, alla nascita delle grandi collezioni internazionali (soprattutto inglesi e americane) e, dall’altro, a un profondo interesse per l’arte medioevale e rinascimentale, in particolare da quella italiana. La richiesta di opere antiche, favorita dagli ingenti patrimoni degli acquirenti americani, è tale da favorire l’immissione sul mercato antiquario di numerosi falsi realizzati da abili artigiani, eredi della tradizione italiana delle botteghe storiche. Il percorso si apre quindi con le opere di tre falsari che operarono al tempo: Giovanni Bastianini (Camerata, Fiesole, 1830 – Firenze, 1868), autore di creazioni in stile rinascimentale come il ritratto dell’amico pittore e restauratore Gaetano Bianchi in abiti quattrocenteschi, il miglior allievo di Dossena, Gildo Pedrazzoni (Parma, 1902 – Roma, 1974) e l’eclettico ed eccentrico Icilio Federico Joni (Siena, 1866 – 1946) che nella sua autobiografia del 1932 si definì “pittore di quadri antichi”, specializzato in tavole dal fondo oro che ricalcano lo stile dei Primitivi senesi.

La seconda sezione della mostra introduce al pubblico la figura di Alceo Dossena: l’artista inizia a lavorare giovanissimo nella bottega di un marmista della sua città natale, Cremona, dopo essere stato espulso dalla Scuola d’arte a causa di uno scherzo che già lasciava presagire quale sarebbe stato il prosieguo della sua carriera: durante alcuni lavori di sterro per un’opera di ingegneria pubblica l’artista aveva sotterrato una piccola Venere scolpita da lui al fine di far credere all’opinione pubblica che fosse stata rinvenuta un’importante opera antica, e solo un momento successivo avrebbe rivelato di esserne l’autore (ovvero dopo che il suo professore aveva dichiarato l’autenticità del manufatto). Nel 1908 Dossena si trasferisce a Parma per lavorare presso Umberto Rossi, uno scalpellino che aveva acquisito una certa fama come restauratore e copista di marmi antichi. Nel 1912 i due fondano la ditta “Dossena e Rossi” e a quel periodo risalgono alcune opere scolpite nello stile gotico di Benedetto Antelami. Durante gli anni della guerra, a Roma, Alceo conosce gli antiquari Alfredo Fasoli e Alfredo Pallesi che gli commissionano decine di sculture in stile antico, riconducendole poi, come detto sopra, al finto ritrovamento di un’antica cattedrale. Molte di queste opere vengono vendute negli Stati Uniti ma intorno al 1926 cominciano a circolare i primi sospetti circa l’esistenza di un artista italiano autore di falsi greci, etruschi, gotici e rinascimentali. Lo scandalo scoppia nel 1928, quando Dossena interrompe ogni rapporto con gli antiquari e apre le porte del suo studio romano al giovane storico dell’arte H.W. Parsons, consulente di numerosi musei americani, mostrandogli le fotografie che documentavano tutta la sua produzione. Da questo momento, l’artista comincia a firmare e datare i suoi lavori, alternando la creazione di opere in stile antico e altre di gusto contemporaneo. La notorietà raggiunta grazie allo scandalo gli consente di affermarsi come uno dei maggiori virtuosi della scultura ma si tratta di una fama di breve durata e, nel 1937, l’artista muore povero e dimenticato.

In mostra è possibile anche rendersi conto delle doti tecniche di Alceo Dossena: il falsario riusciva infatti a imitare uno stile piuttosto che un’opera in particolare, talvolta miscelando dettagli tratti da artisti diversi. Dossena era in grado di trattare la materia nelle fasi di finitura, conferendo alle sculture la “patina del tempo”. Nei suoi laboratori aveva ricavato delle vasche, dove immergeva in soluzioni a base di varie sostanze coloranti le sculture in marmo non ancora rifinite e lucidate. Per favorire la penetrazione in profondità dello sporco, Dossena scaldava le pietre prima di metterle a bagno. La successiva levigatura e lucidatura eliminava la maggior parte dell’imbratto, facendo emergere lo strato sottostante, caratterizzato da una colorazione che ricordava gli effetti di secoli di sporco e fumo di candele. Rotture e mancanze tipiche della scultura antica, inoltre, venivano create ad arte sfregiando parti del volto o ricomponendo parti precedentemente spezzate.

Nella penultima sala della mostra è possibile ammirare una selezione del nucleo di opere di Dossena appartenuto a Carlo Francesco Ansaldi, avvocato toscano e appassionato d’arte che raccoglie una gran quantità di opere del cremonese, tanto da far pensare a un rapporto privilegiato tra i due. Ansaldi acquista in particolare molte opere neo-quattrocentesche, come le Madonne col bambino il cui rilievo ricorda il tipico “stiacciato” di Donatello, ma anche una produzione in stile moderno, come il Ritratto di Omero dalle forme mosse e sfrangiate. La collezione Ansaldi ben documenta, infatti, quella vena creativa originale che Dossena sviluppa soprattutto negli anni Trenta, nei soggetti sacri di piccolo formato pensati per la devozione privata o nei ritratti di Giuseppe Verdi. Inoltre, grazie alla presenza di numerose opere in bronzo e terracotta, offre un ampio spettro di tecniche usate dall’artista. Offerta allo Stato italiano dal figlio dell’avvocato Ansaldi alla metà degli anni Settanta, questa raccolta non trova collocazione nei musei della capitale e viene destinata, invece, al Museo civico di Pescia, paese natale del collezionista, dove tuttora si trova.

La mostra si conclude con una sezione dedicata a due esempi di “falsi autentici” che appartengono a tempi più recenti: le tre “teste di Modì” create da tre studenti di Livorno che scolpiscono una testa alla maniera di Amedeo Modigliani e la gettano nel Fosso Reale della città, dove si diceva che l’artista avesse buttato quattro sculture che giudicava insoddisfacenti. In occasione di una mostra dedicata ad Amedeo Modigliani, infatti, i curatori avevano deciso di dragare il fosso alla ricerca delle leggendarie teste, per imbattersi nelle sculture della burla. Per molti giorni la critica si divide sull’autenticità delle sculture, fino a che gli studenti si rivelano con una dimostrazione pubblica di come gli avevano scolpito la pietra servendosi di un trapano elettrico. Infine, ultime opere in mostra sono quelle di Lino Frongia, per il quaale le copie dall’antico sono “un esercizio di stile”. Come Dossena, Frongia unisce una grande abilità tecnica e una sorprendente capacità di immedesimarsi nelle opere dei maestri. Lo si può vedere nelle tele in mostra, tratte da dipinti di Cagnacci, Piazzetta, Raffaello, Tiziano e del fiammingo Sustris. L’artista spiega così questa sua attività mimetica: “Sono appassionato della tecnica pittorica. E, indipendentemente dal mio lavoro di ricerca, eseguo copie dai dipinti dei maestri. È una pratica nella quale il mio stile scompare. Mi spersonalizzo completamente”.

Informazioni

La mostra è visitabile negli orari d’apertura del Mart di Rovereto: dal martedì alla domenica dalle 10 alle 18 (il venerdì fino alle 21), chiuso il lunedì. Biglietti: intero 11 euro, ridotto 7 euro, gratis per bambini e ragazzi fino ai 14 anni e diversamente abili. Per informazioni, visitare il sito del Mart.

Gildo Pedrazzoni, Madonna con Bambino (metà XX secolo; Fondazione Cavallini Sgarbi)
Gildo Pedrazzoni, Madonna con Bambino (metà XX secolo; Fondazione Cavallini Sgarbi)
Icilio Federico Joni (alla maniera di), Madonna col Bambino (1930 circa; Piacenza, Ente Museo Palazzo Costa)
Icilio Federico Joni (alla maniera di), Madonna col Bambino (1930 circa; Piacenza, Ente Museo Palazzo Costa)
Alceo Dossena, Teseo e Antiope (1920 circa; Roma, Collezione Dario Del Bufalo)
Alceo Dossena, Teseo e Antiope (1920 circa; Roma, Collezione Dario Del Bufalo)
Angelo Dossena, Angelo portacero (anni Venti del XX secolo; Venezia, Fondazione Alberto e Mariele Tessiore)
Angelo Dossena, Angelo portacero (anni Venti del XX secolo; Venezia, Fondazione Alberto e Mariele Tessiore)
Alceo Dossena, Caterina Savelli (anni Venti del XX secolo; Fondazione Cavallini Sgarbi)
Alceo Dossena, Caterina Savelli (anni Venti del XX secolo; Fondazione Cavallini Sgarbi)
Alceo Dossena, San Giovannino (1931; Cremona, Museo Civico Ala Ponzone)
Alceo Dossena, San Giovannino (1931; Cremona, Museo Civico Ala Ponzone)
Alceo Dossena, Santa Caterina (1928-1937; Roma, Collezione Dario Del Bufalo)
Alceo Dossena, Santa Caterina (1928-1937; Roma, Collezione Dario Del Bufalo)
Alceo Dossena, Madonna col Bambino (1937; Fondazione Cavallini Sgarbi)
Alceo Dossena, Madonna col Bambino (anni Venti del XX secolo; Fondazione Cavallini Sgarbi)
Alceo Dossena, Madonna col Bambino (1932; Piacenza, Ente Museo Palazzo Costa)
Alceo Dossena, Madonna col Bambino (1932; Piacenza, Ente Museo Palazzo Costa)
Alceo Dossena, Mater Dei (anni Trenta del XX secolo; Collezione Cavallini Sgarbi)
Alceo Dossena, Mater Dei (anni Trenta del XX secolo; Collezione Cavallini Sgarbi)
Pietro Luridiana, NoMod (agosto 1984; Collezione privata)
Pietro Luridiana, NoMod (agosto 1984; Collezione privata)
Lino Frongia, Salomè con la testa del Battista, copia da Tiziano (2003; Fondazione Cavallini Sgarbi)
Lino Frongia, Salomè con la testa del Battista, copia da Tiziano (2003; Fondazione Cavallini Sgarbi)

Informazioni sulla mostra

Titolo mostraIl falso nell'arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento
CittàRovereto
SedeMart di Rovereto
DateDal 03/10/2021 al 09/01/2022
ArtistiAlceo Dossena
CuratoriDario Del Bufalo, Marco Horak
TemiNovecento, Alceo Dossena

Al Mart di Rovereto la più grande mostra di sempre su Alceo Dossena, più di un falsario
Al Mart di Rovereto la più grande mostra di sempre su Alceo Dossena, più di un falsario


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