A Mendrisio una grande mostra su A.R. Penck, tra i maggiori artisti tedeschi del dopoguerra


Uno dei maggiori artisti tedeschi, A.R. Penck, è protagonista a Mendrisio, in Svizzera, della sua prima grande mostra in area italofona, fino al 13 febbraio 2022.

Fino al 13 febbraio 2022, il Museo d’Arte di Mendrisio ospita una importante mostra dedicata ad A.R. Penck (Ralf Winkler; Dresda, 1939 - Zurigo, 2017), uno dei più importanti artisti tedeschi della seconda metà del Novecento, colui che, insieme ad altri pittori e compagni (Baselitz, Lüpertz, Polke, Richter, Immendorff e Kiefer) ha saputo esprimere le contraddizioni della Germania post-nazista e del conflitto Est-Ovest mediante un linguaggio originalissimo seppur concepito nelle forme espressive tradizionali, come pittura, disegno e scultura. La retrospettiva di Mendrisio, intitolata semplicemente A.R. Penck, a cura di Simone Soldini, Ulf Jensen, e Barbara Paltenghi Malacrida, e comprensiva di oltre 40 dipinti di grande formato, 20 sculture in bronzo, cartone e feltro, oltre una settantina tra opere su carta e libri d’artista) intende ripercorrere le principali tappe di uno degli esponenti più significativi dell’arte internazionale degli anni Settanta e Ottanta. Le retrospettive degli ultimi due decenni (Francoforte, Parigi, Dresda, St. Paul-de-Vence, Oxford e L’Aja) hanno fornito un’ampia panoramica sulla più importante produzione penckiana. Con questo progetto il Museo d’arte di Mendrisio si pone l’obiettivo di presentare il percorso creativo di A.R. Penck (per la prima volta in ambito culturale italofono) attraverso le sue espressioni multiformi, cercando di fornire al pubblico gli strumenti per poter comprendere la struttura complessa e profonda di questo grande protagonista dell’arte contemporanea.

Nato a Dresda (il suo vero nome era Ralf Winkler), A.R. Penck per decenni è attivo nella Germania dell’Est con opere di chiara ispirazione socialista, riuscendo a far tesoro di condizioni allora apertamente ostili all’arte d’avanguardia: mentre il socialismo nega all’artista moderno qualsivoglia funzione, Penck sa trasformare col tempo la funzione della propria pittura in un elemento in dialogo col sistema sociale e politico. Fino alla fine degli anni Settanta, tuttavia, espone raramente nell’allora DDR. È soltanto dall’inizio degli anni Settanta che Penck riesce a partecipare a mostre; non in patria, ma in Svizzera, Paesi Bassi e Canada, riscuotendo ampi consensi. Nel 1972 espone a documenta 5 di Kassel chiamato da Harald Szeemann; all’inizio degli anni Ottanta è tra i protagonisti delle rassegne, fondamentali per la pittura moderna, A New Spirit in painting (Londra) e Zeitgeist (Berlino). Paradosso della Germania divisa è proprio il fatto che la sua opera, così fortemente legata all’analisi della situazione socio-politica, sia riconosciuta e apprezzata solo all’Ovest, e mai nella sua terra d’origine.

Poi, nel 1980, quando, dopo l’ennesimo contrasto con le autorità, l’artista emigra all’Ovest: A.R. Penck è ormai considerato uno dei protagonisti della scena pittorica mondiale e ha già suscitato grande interesse anche a New York. Jean-Michel Basquiat e Keith Haring lo ammirano per la sua vigorosa pittura monumentale, capace di delineare la complessità del mondo con la spontaneità e l’immediatezza di un graffitista. Nel 1984 viene celebrato con una personale alla Biennale di Venezia; nel 1988 la Neue Nationalgalerie di Berlino lo consacra definitivamente con una grande retrospettiva. Le fondamenta della sua pittura monumentale risalgono alla fine degli anni Sessanta, con la nascita del progetto Standart (tuttora inesplorato in tutta la sua complessità). Come una sorta di monumentale avatar, Standart simboleggia l’autocoscienza dell’artista, quella con cui A.R. Penck porta avanti il suo progetto solitario, in linea con le idee del Bauhaus: la trasformazione della società moderna secondo criteri estetici. È proprio la figura Standart, con cui si identifica tutto l’universo figurativo di A.R. Penck, a costituire il punto di partenza della mostra organizzata dal Museo d’arte Mendrisio, dove si potranno ammirare una folta serie di suoi capolavori. Oltre a presentare dipinti di grande formato, la mostra di Mendrisio mette in evidenza per la prima volta attraverso molti libri d’artista (esposti su appositi proiettori) la coerenza strutturale del lavoro penckiano, dallo schizzo all’opera monumentale: una mimesi della natura. La sua formazione scientifica (dalla filosofia alla cibernetica) lo porta a orientarsi al modello evolutivo ricercando nuove forme, nuovi segni, nuove tipologie figurative.

Nel corso degli anni Settanta, A.R. Penck attinge all’eredità dell’avanguardia storica, da Malevič a Kandinskij, da Picasso a Duchamp, da Picabia a Dalí. Mentre in Occidente la pittura moderna viene ormai considerata un’esperienza storicamente conclusa, Penck continua a percepirla come il risultato di un’azione collettiva, innescando una prorompente evoluzione dell’immagine che, dopo il suo trasferimento nella Germania dell’Ovest, si trasforma in sintesi monumentale. Grazie alla sua celeberrima figura stilizzata, quella che lo porta a fama internazionale (spesso percepita unicamente come cifra stilistica, non come elemento di un elaborato sistema di comunicazione) A.R. Penck si rivela invece l’artista che, più e meglio di altri, ha saputo trasformare il campo figurativo in un megafono attraverso il quale diffondere le proprie convinzioni teoriche ed estetiche. La sua pittura monumentale si riallaccia sia al genere storico, specchio degli eventi contemporanei, sia alla pittura simbolica, a cui dà voce attraverso un intero bestiario di figure totemiche o animali arcaici. Il punto di forza dell’ultima fase della sua opera è però rappresentato da un terzo genere, il Weltbild, l’immagine universale. Fino alla sua produzione della maturità, A.R. Penck persegue l’idea di un’immagine visionaria capace di rappresentare in un’unica prospettiva la coralità del mondo. E lo fa privilegiando il medium pittorico, ideale per narrare l’epos della storia umana in vari formati. Penck figura anche tra i protagonisti della scultura dell’ultimo trentennio: si occupa di scultura fin dalla giovinezza, e il suo primo gruppo plastico è costituito dai modelli realizzati con materiali poveri nell’ambito del progetto Standart; a metà degli anni Settanta realizza a colpi d’ascia sculture in legno. A partire dal 1984 si concentra sulla tecnica di fusione in bronzo, lavorando a diversi formati fino a giungere alla dimensione monumentale, con un percorso analogo a quello già seguito in pittura.

“L’arte di Penck è analitica”, scrive Simone Soldini, "per niente primitivista, istintiva, selvaggia o infantile; le sue basi poggiano sulla razionalità. Ogni sua immagine è costruita per rappresentare un concetto e in pochi anni le sue immagini-informazione, o immagini-concetto, si affinano al massimo grado. Alla fine degli anni Sessanta prende forma teorica la Standart. Ma che cos’è la Standart? Proviamo a sintetizzarlo riprendendo dagli scritti-manifesto o dalle spiegazioni dell’artista. Il termine unisce due parole: Stand (presa di posizione) e Art, ma probabilmente si riferisce anche a ’stendardo’, cioè al vessillo militare. Si apre così il suo scritto-manifesto: ’Standart si riferisce a un metodo di fare prodotti di informazione [...]. In generale, ogni fenomeno esistenziale visivo, una volta che è stato percepito nella sua totalità, è uno standart’. Una situazione sperimentata e riportata in pittura tramite una teoria di segni e simboli. Ricrearla comporta una capacità (allenata) di percezione d’insieme, di memorizzazione e di immagazzinamento dei dati, di analisi e di ricostruzione: ’rendere visibile la logica delle interazioni umane’. Ma non solo. Standart è un sistema di segnali fatto in modo tale da non essere solo percepito e imitato, ma anche prodotto, moltiplicato e operativamente modificato’. Il che lo rende un sistema alla portata di tutti. Simbolo emblema della Standart è una figura d’uomo ridotta alla sua essenza (testa e sesso ben evidenziati) che un po’ ricorda il primitivo e un po’ l’automa del futuro, ma che in definitiva è presenza senza tempo. Nel suo scritto-manifesto Penck precisa anche che la sua Standart è un modello che evolve, come ad esempio è capitato a ogni genere di musica.

“A.R. Penck”, sottolinea Ulf Jensen, “aveva il dono di trarre dalle condizioni di oppressione una maggiore capacità produttiva e prende sul serio il monito che gli viene rivolto dalla voce del popolo. Decide di attenersi alla cosiddetta Via di Bitterfeld, un indirizzo programmatico rivolto agli artisti che, adottato nel 1959, mette in primo piano la necessità di dare voce e rappresentazione alla vita dei lavoratori. Dovere primario dell’artista è adottare un linguaggio vicino al popolo. In tutte le mostre dedicate all’arte tedesca, organizzate con regolarità a Dresda a partire dal 1946, vengono esposti l’uno accanto all’altro i tipici soggetti del realismo socialista. Trattoristi, macchinisti e ingegneri sono rappresentati nella loro realtà quotidiana, risultando quasi indistinguibili gli uni dagli altri. Qui A.R. Penck raggiunge una decisiva comprensione del meccanismo dell’arte moderna: ’Chi non si distingue, è identico’”.

Per informazioni è possibile visitare il sito del Museo d’Arte di Mendrisio.

Informazioni sulla mostra

Titolo mostraA.R. Penck
CittàMendrisio
SedeMuseo d'Arte
DateDal 24/10/2021 al 13/02/2022
ArtistiA.R. Penck
CuratoriSimone Soldini, Barbara Paltenghi Malacrida, Ulf Jensen
TemiNovecento, Espressionismo

A Mendrisio una grande mostra su A.R. Penck, tra i maggiori artisti tedeschi del dopoguerra
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