Venezia, Pinault Collection annuncia le nuove mostre del 2026, tra Palazzo Grassi e Punta della Dogana


A partire dalla primavera 2026, negli spazi veneziani della Pinault Collection, saranno ospitate quattro importanti mostre personali dedicate ad artisti di primo piano della scena contemporanea, da Michael Armitage a Lorna Simpson. 

Negli spazi veneziani della Pinault Collection saranno ospitate, a partire dalla primavera 2026, quattro importanti mostre personali dedicate ad artisti di primo piano della scena contemporanea, allestite tra Palazzo Grassi e Punta della Dogana.

Dal 29 marzo 2026 al 10 gennaio 2027 Palazzo Grassi presenta Michael Armitage. The Promise of Change, una grande esposizione dedicata a una delle voci più riconoscibili e singolari della pittura contemporanea. La mostra, curata da Jean-Marie Gallais per la Pinault Collection, nasce in dialogo con Hans-Ulrich Obrist per il catalogo, con Caroline Bourgeois e con la storica dell’arte Michelle Mlati. Oscillando tra figurazione e astrazione, tra osservazione documentaria e visioni sospese, l’opera di Armitage intreccia memorie personali, riferimenti culturali e immaginari simbolici, dando forma a dipinti intensamente lirici che interrogano temi quali identità, memoria, spiritualità e le tensioni sociopolitiche del presente. L’artista keniota-britannico, nato nel 1984, presenta a Palazzo Grassi oltre centocinquanta opere, tra lavori storici e nuove produzioni, che rivelano un linguaggio pittorico complesso e sensibile, caratterizzato da una forte intensità cromatica e dall’incontro di canoni estetici differenti. La scelta dei soggetti e la ricchezza delle allusioni interpretative condividono la stessa forza espressiva, mentre l’artista affronta senza reticenze temi duri e spesso violenti, convinto che l’arte debba confrontarsi direttamente con la realtà. Guerre, corruzione, instabilità politica nelle regioni equatoriali, migrazioni, abusi di potere e il peso dello sguardo altrui costituiscono lo sfondo di molte opere particolarmente incisive. Dividendo la propria vita tra Kenya e Indonesia, Armitage attinge a una pluralità di fonti che spaziano dalla storia e dall’attualità alle manifestazioni politiche, dalla letteratura e dal cinema ai rituali locali, fino all’architettura e alla storia globale dell’arte. Al centro della sua iconografia si collocano l’Africa orientale e il Kenya, osservati con uno sguardo insieme critico, satirico e visionario. Se alcune scene sono strettamente legate a contesti storici precisi, altre restano volutamente ambigue e universali, aprendo la strada a territori fluttuanti dell’immaginazione. Il percorso espositivo accompagna progressivamente il visitatore attraverso questi paesaggi abitati, dove le immagini si addensano o si fanno opache, lasciando spazio a molteplici interpretazioni. Realtà e finzione, violenza e delicatezza, concretezza e allucinazione convivono in composizioni di grande potenza visiva. Figure reali e immaginarie, tratte dalla letteratura africana contemporanea o dalla mitologia classica, si alternano a personaggi anonimi, come nella serie dedicata alla migrazione, che racconta il viaggio pericoloso attraverso l’Africa e il mare fino all’Europa. Le influenze che vanno dal cinema di Sembène Ousmane alla narrativa di Ngũgĩ wa Thiong’o, fino alla pittura di Goya, Velázquez e di artisti modernisti africani, vengono assimilate e trasformate in un vocabolario pittorico del tutto personale. I dipinti, realizzati a olio su un supporto ricavato dalla corteccia d’albero secondo tradizioni ugandesi e indonesiane, si liberano della tela occidentale convenzionale; le irregolarità del materiale influenzano direttamente le composizioni, costruite attraverso un processo di stratificazione, raschiature e successive applicazioni di colore. Un’ampia sezione dedicata al disegno rivela infine l’attenzione dell’artista per la composizione, il dettaglio e la fase preparatoria.

Michael Armitage, Dandora (Xala, Musicians) (2022; Pinault Collection) © Michael Armitage. Photo © White Cube (David Westwood)
Michael Armitage, Dandora (Xala, Musicians) (2022; Pinault Collection) © Michael Armitage. Photo © White Cube (David Westwood)

Sempre a Palazzo Grassi, dal 29 marzo 2026 al 10 gennaio 2027, la Pinault Collection presenta Amar Kanwar. Co-travellers, una mostra curata da Jean-Marie Gallais che riunisce due importanti installazioni multimediali dell’artista indiano. Il lavoro di Kanwar si distingue per un approccio poetico e filosofico alle questioni individuali, sociali e politiche, creando uno spazio di intersezione tra arte, documentazione e attivismo. Attraverso dispositivi visivi e narrativi complessi, le sue installazioni invitano a un’esperienza meditativa che coniuga intensità visiva, impegno civile e profondità narrativa. Nato nel 1964, Kanwar si è affermato dagli anni Novanta per film e opere multimediali che indagano le dinamiche del potere, della violenza e della resistenza, con uno sguardo attento alla storia contemporanea dell’Asia meridionale. Servendosi di archivi, testimonianze reali e immagini poetiche, l’artista costruisce narrazioni stratificate che superano il giudizio immediato per aprirsi a riflessioni più ampie e universali. L’installazione The Torn First Pages (2004–2008), presentata al secondo piano di Palazzo Grassi, affronta la complessità della lotta per la democrazia in Birmania, rielaborando documenti e materiali d’archivio e rendendo omaggio a un gesto simbolico di resistenza contro la propaganda del regime militare. Accanto a questa opera, viene presentata The Peacock’s Graveyard (2023), una riflessione contemporanea sulla morte, sull’impermanenza e sul ciclo della vita. Immersa nell’oscurità, l’installazione utilizza una narrazione multifocale composta da immagini astratte, testi e musica per creare un’esperienza ipnotica e contemplativa. Attraverso cinque racconti brevi e metafisici, Kanwar affronta temi legati alla violenza, al potere, alla memoria e alla responsabilità morale, offrendo una meditazione profonda sul nostro tempo e sulle sue contraddizioni.

Amar Kanwar, The Peacock’s Graveyard (2023; still, Digital video installation, 7 screens, dimensions variable, 28 mins, 16 sec (sync, loop), edition of 6). ©Amar Kanwar. Su concessione di Marian Goodman Gallery
Amar Kanwar, The Peacock’s Graveyard (2023; still, Digital video installation, 7 screens, dimensions variable, 28 mins, 16 sec (sync, loop), edition of 6). ©Amar Kanwar. Su concessione di Marian Goodman Gallery

A Punta della Dogana, dal 29 marzo al 22 novembre 2026, sarà presentata Lorna Simpson. Third Person, la prima ampia retrospettiva europea dedicata a oltre un decennio della pratica pittorica dell’artista statunitense. Curata da Emma Lavigne in stretta collaborazione con Simpson e realizzata in partnership con il Metropolitan Museum of Art di New York, la mostra riunisce circa cinquanta opere tra dipinti, collage, sculture, installazioni e un film, provenienti da collezioni pubbliche e private e dallo studio dell’artista, oltre a lavori inediti realizzati appositamente per Punta della Dogana. Il percorso espositivo è pensato in dialogo con l’architettura dello spazio e costruisce una trama di narrazioni che danno forma agli universi immaginari evocati dall’opera di Simpson. Attiva fin dagli anni Ottanta nel campo della fotografia concettuale, l’artista ha progressivamente ampliato la propria ricerca verso la pittura, approfondendo temi ricorrenti come la memoria, le lacune della rappresentazione e l’instabilità dei racconti storici. La mostra attraversa oltre vent’anni di attività e si articola in tre nuclei principali: un primo gruppo di opere segnate da figure enigmatiche e tensioni politiche, una serie di paesaggi artici ispirati ad archivi di spedizioni, sospesi tra realtà e astrazione, e infine una galleria di ritratti e figure femminili monumentali che interrogano la complessità dell’identità e della sua rappresentazione. Un’ampia installazione dedicata al collage mette in luce il ruolo centrale di questa pratica nel processo creativo dell’artista, rivelando un linguaggio visivo stratificato e aperto all’intuizione, attraverso cui Simpson esplora stereotipi, cancellazioni e memoria collettiva.

Lorna Simpson, Three Figures (2014). Foto: James Wang
Lorna Simpson, Three Figures (2014). Foto: James Wang

Sempre a Punta della Dogana, dal 29 marzo al 22 novembre 2026, la Pinault Collection presenta Paulo Nazareth. Algebra, una grande mostra personale curata da Fernanda Brenner. Il progetto nasce dalla significativa presenza delle opere dell’artista brasiliano nella collezione e include una serie di lavori inediti, offrendo una visione d’insieme di oltre vent’anni di pratica artistica. Il titolo, Algebra, richiama l’etimologia araba del termine al-jabr, evocando l’idea di ricomporre ciò che è stato spezzato. Per Nazareth, questo concetto diventa una metodologia per affrontare le fratture irrisolte della storia attraverso camminate performative che attraversano le Americhe, i Caraibi e l’Africa, mettendo in luce le violenze strutturali di matrice razziale e coloniale. Una linea di sale attraversa gli spazi espositivi, segnando una soglia simbolica e rivelando progressivamente la forma di una nave negriera, presenza spettrale che attraversa l’intera mostra. L’esposizione non segue un ordine cronologico né tematico, ma si sviluppa come una successione di stazioni all’interno di un continuum, in cui opere, performance e documentazione si intrecciano. Al centro si colloca Notícias de América, che restituisce il lungo cammino dell’artista dal Brasile a New York, offrendo una testimonianza diretta della migrazione come esperienza vissuta. Attivando un dialogo tra Venezia e la sua omonima brasiliana, Nazareth mette in relazione geografie distanti e storie condivise, interrogando i sistemi di misurazione, classificazione e cancellazione che hanno accompagnato la storia coloniale. In questo spazio carico di memoria, Algebra propone una riflessione profonda su ciò che resiste oltre i documenti ufficiali e sulle equazioni irrisolte del nostro presente.

Paulo Nazareth, Senza titolo [Encruzihada] (2022; plastic and rubber from flipflop, 30 x 22 cm). Su concessione dell'artista e Mendes Wood DM, São Paulo, Brussels, Paris, New York. Foto: Gui Gomes
Paulo Nazareth, Senza titolo [Encruzihada] (2022; plastic and rubber from flipflop, 30 x 22 cm). Su concessione dell’artista e Mendes Wood DM, São Paulo, Brussels, Paris, New York. Foto: Gui Gomes

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