La Fustigazione di Farfa: quando un vecchio futurista lotta con la materia


Il Museo della Ceramica di Savona conserva uno strano vaso, che racconta una storia singolare: si chiama “Fustigazione” e fu creato all’alba di un mattino di giugno del 1959 da Farfa, attempato futurista fuori tempo massimo. Che però aveva sempre voglia di creare.

Dietro i successi d’un grande artista esiste sempre il lavoro d’un nutrito gruppo di persone che li rendono possibili. È sempre stato così nella storia dell’arte: nel Rinascimento c’erano le botteghe, anche minuscole, che però contavano sempre su di una precisa organizzazione del lavoro. Chi preparava i supporti, chi i colori, chi s’occupava dell’amministrazione quotidiana. È così anche oggi: le opere delle stelle dell’arte contemporanea che s’ammirano alle mostre o ai grandi eventi, dalla Biennale di Venezia in giù, sono spesso prodotte dentro laboratorî grandi o piccoli che s’affidano al lavoro di artigiani, operai, artisti specializzati che affiancano il grande maestro il cui nome rimarrà impresso su pannelli e manifesti. L’opera è sua, ma non sarebbe mai esistita senza questo supporto. E bisogna ricordarselo. Lo ripete spesso il maestro vasaio Giovanni Poggi, che da più di mezzo secolo assiste gli artisti nel suo laboratorio, le ormai storiche Ceramiche San Giorgio di Albissola Marina.

Una vita spesa tra l’argilla, i forni, gli artisti. Prima da ragazzo, a imparare il mestiere in questo lembo di costa ligure che da secoli lavora la sua terra per trarne le celebratissime ceramiche. Poi da titolare del laboratorio aperto nel 1958, all’età di ventisei anni, assieme a Eliseo Salino e Mario Pastorino. L’avveramento d’un sogno agognato, cercato, inseguito da un giovane e determinato torniante che aveva seguito l’antica tradizione di famiglia. E dalla sua bottega, di fronte al mare, son passati tanti dei più grandi. Lucio Fontana, Pinot Gallizio, Asger Jorn, Wifredo Lam, Aligi Sassu, Agenore Fabbri. In tempi più recenti Ugo Nespolo e Alik Cavaliere, o un maestro della ceramica contemporanea quale Giorgio Laveri, passando dal poliedrico Vincenzo Marsiglia. Giovanni Poggi ha passato i novant’anni d’età ma ricorda ancora con freschezza quello che accadeva nel suo laboratorio. Ancora oggi, quando si entra alle Ceramiche di San Giorgio, s’ammira un luogo ch’è rimasto pressoché identico a come doveva apparire quand’è stato aperto: lo dimostrano le fotografie appese qua e là, o raccolte negli album che lo “zione”, come lo chiamano gli amici di Albissola Marina, mostra a chi entra nella bottega e, avendo la fortuna d’incontrarlo, si ferma per chiedergli di raccontare qualche curiosità sulle tecniche di lavorazione sulla ceramica, qualche segreto, qualche aneddoto sugli artisti che hanno lavorato con lui.

A qualche chilometro di distanza da qui, al Museo della Ceramica di Savona, conservato sotto una teca c’è uno stranissimo vaso che, se gli fosse concessa la possibilità di parlare, avrebbe magari da protestare per il trattamento che gli venne riservato dentro alle Ceramiche San Giorgio all’alba d’un mattino di giugno del 1959. Ha una forma indecifrabile: si riconosce in basso, al centro, un corpo allungato, più in alto il collo che s’accartoccia su se stesso, al suo fianco sembra quasi avere dei gemelli anche loro piegati. Sembrano un gruppo d’ubriachi che si sostengono a vicenda dopo aver sdraiato due o tre casse di vino scadente. Qua e là tracce di smaltatura, più consistenti sul fondo, oppure qualche sgocciolatura insistente, sul collo di alcune delle imboccature. Tutto il resto si mostra con la pelle nuda dell’argilla cotta, la superficie è colma di rughe, strisciate, ditate, imperfezioni assortite, sembra uno scarto di produzione, un qualcosa venuto male per un problema tecnico. La didascalia recita Fustigazione – Vaso a cinque imboccature e reca il nome di Farfa, pseudonimo di Vittorio Osvaldo Tommasini: futurista irriducibile e fuori tempo massimo, poeta, cartellonista, pittore e nell’ultima parte della sua carriera anche bizzarro ceramista, “poeta record” come lo chiamava Marinetti, oppure “miliardario della fantasia” come sarebbe stato soprannominato dal nome della sua prima raccolta di poesie, pubblicata a Milano nel 1933.

Farfa, Fustigazione - Vaso a cinque imboccature (1959; terracotta smaltata; Savona, Museo della Ceramica)
Farfa, Fustigazione - Vaso a cinque imboccature (1959; terracotta smaltata; Savona, Museo della Ceramica)

Negli anni Cinquanta, Farfa era ormai un ultrasettantenne sulla via del tramonto, ma riuscì a vivere un’effimera, seconda giovinezza grazie ad Asger Jorn. Il situazionista arrivato dalla Danimarca, il fondatore del gruppo CO.Br.A. che magnificava la spontaneità dell’espressione dell’artista e la libertà dal controllo della ragione, che vedeva il brutto come reazione all’accademismo e al razionalismo, che cercava continuamente di dipingere come fanno i bambini, libero da preconcetti e formalismi. Farfa e Jorn si conobbero proprio ad Albissola. “Il vichingo e il futurista”, come da titolo d’un saggio recente di Francesca Bergadano. Separati da trent’anni d’età ma accomunati da un’immaginazione sconfinata, e soprattutto dall’idea che l’arte dovesse essere il prodotto di quell’immaginazione, e non un calcolo. Lo sperimentatore danese incontrava l’attempato poeta che all’epoca cercava di creare opere d’arte usando le pedine della dama e le tessere del domino. Si capisce bene che da un incontro del genere non poteva che nascere qualcosa d’interessante. Jorn aveva riconosciuto nelle opere di Farfa “l’universalità di spirito di queste pitture, disegni e collage”, come lui stesso avrebbe affermato, e Farfa si sarebbe sempre riconosciuto debitore nei riguardi di Jorn, perché il danese gli permise di tornare a esporre in contesti significativi, gli garantì una certa notorietà, e gli fece guadagnare l’apprezzamento di diversi colleghi.

Dopo una nottata allegra però si tende a non ragionare in termini di programmi, mostre, riconoscimenti e cazzate simili. L’unica cosa che conta è dare sfogo alla creatività, all’impulso. È la mattina del 5 giugno del 1959 e i due amici, Farfa e Jorn, dopo aver trascorso le ore precedenti chissà dove, piombano nel laboratorio di Giovanni Poggi che ovviamente è già al lavoro, mette la terra toscana sul tornio e tira fuori alla veloce cinque vasi. Jorn, evidentemente ancora su di spirito per effetto degli alcolici, si mette vicino ai vasi e a Farfa, dice qualcosa all’amico e dà sottovoce ma in maniera esplicita l’“a voi”, il comando che sancisce l’avvio d’un incontro di scherma. Solo che qui non c’è pedana, non ci sono spade, maschere e divise candide, non ci sono contendenti. O meglio: ce n’è uno solo, e il suo avversario è un gruppo inerme di vasi appena modellati da Giovanni Poggi. Farfa comincia a prendere a schiaffi i vasi, li sbatte, li frusta, li piega, li sbatte uno contro l’altro finché da cinque vasi non ne esce uno solo, risultato della lotta che il futurista ha ingaggiato con la materia. Poggi guarda i due artisti e chiede se per caso non manchi ancora un vaso. Farfa e Jorn entusiasti rispondono affermativamente, l’ottantenne futurista prende il sesto vaso, lo mette di traverso, ci si butta sopra e ricomincia il suo duello. L’ovazione generale sancisce la fine dell’opera, pronta per il forno. A dar conto di tutto il processo è una lunga poesia di Farfa, scritta di getto: “Il cinque giugno del cinquantanove / alla San Giorgio di Albissolamare / Poggi schiaffeggia vigorosamente / le cinque bocce di toscana terra / e con svelta abilità di torneante / escono dalle sue gambe e le sue mani: / un vaso tondo / un vaso quadrato / un vaso triangolare / un vaso ovale / un vaso a zig-zag / e li colloco su un piatto di gesso / Asger Jorn strettamente li avvicina / ed egli testimone al gran duello / m’incita e dice sottovoce: ‘A voi’ / Eccoli pronti all’aggressione mia / Con impeto nervoso le mie dita / di tutte e due le mani fanno strage / torcono piegano urtano decise / stringono forte strongolantamente / in un impeto supremo di creazione / Sembran sacchetti vuoti di materia / ma colmi son di spirito tremendo / a sostenersi reciprocamente / per appagare la mia mente appieno / Non sono più cinque vasi distaccati, ma fusi insieme formano uno solo”.

Il risultato è il vaso che oggi è esposto nella sezione del secondo Novecento al Museo della Ceramica di Savona, assieme a opere più meditate ed elaborate. Ecco perché Fustigazione. Se parlasse, forse si lamenterebbe per tutti i pattoni che ha preso. Ma sarebbe orgoglioso di dire che è lì, esposto vicino alle opere di Arturo Marini e Agenore Fabbri, assieme alle creazioni di Jorn e di Enrico Baj, per ribadire che arte è anche creatività istantanea, sentimento puro, forza interiore incondizionata, libertà da vincoli e costrizioni. Certo, la Fustigazione di Farfa non sarà un capolavoro, ma è testimone delle ricerche d’un gruppo di colleghi che volevano riscrivere le regole della creazione artistica. E la sua storia ancora viene ricordata con piacere qui, dentro una bottega di Albissola Marina, dove il profumo salmastro del mare si mescola a quello acre della terra, dove ancora manca la separazione netta tra luogo della produzione e luogo della vendita e non esiste il concetto di showroom, dove s’entra per comperare un piattino o un vaso e capita di veder passare un artista sporco di terra che cerca uno strumento di lavoro. Come doveva essere più di cinquant’anni fa.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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