Arte e sport. La scherma secondo Arturo Rietti


Arturo Rietti, pittore che operò tra fine Ottocento e inizio Novecento, fu un valente schermitore oltre che un ottimo artista. Vediamo alcuni delle sue opere sul tema della scherma.

Lungo è l’elenco degli artisti che, tra fine Ottocento e inizi Novecento, agli albori dello sport moderno, iniziano a interessarsi alle più svariate pratiche sportive, tanto da diventare loro stessi atleti: Gustave Caillebotte nel tempo libero si dedica al canottaggio e alla vela, a quest’ultima attività si concede anche Paul Signac, che viaggia nel Mediterraneo con la sua imbarcazione, Maurice de Vlaminck da giovane è un buon ciclista, e in certi casi gli artisti praticano contemporaneamente l’attività creativa e quella di sportivo professionista (è il caso, per esempio, del portoghese Francisco dos Santos, che fa lo scultore ma è anche centrocampista dello Sporting Lisbona). C’è però una differenza sostanziale che separa sport che cominciano a diffondersi in quegli anni, come il calcio e il ciclismo, e che riescono a ottenere una popolarità trasversale, da una pratica come quella della scherma. La scherma è inevitabilmente legata al suo passato di arte militare e cavalleresca, e vive un presente in cui si muove sul labile confine tra attività sportiva e metodo per risolvere le contese: passata la prima guerra mondiale, i duelli d’onore continuano ostinatamente a sopravvivere, ma è possibile affermare che, dal 1918 in avanti, la scherma diventa, come afferma il maestro Davide Lazzaroni, “sempre più una pratica sportiva, formativa a livello psicofisico e svincolata da obiettivi cruenti”, e che i giovani schermitori si fanno “sempre più degli sportivi addestrati all’obiettivo del conseguimento della medaglia e sempre meno al doversi salvare la pelle in duello”. È in questo contesto che si svolge la vicenda di Arturo Rietti (Trieste, 1863 - Fontaniva, 1943), pittore legato al realismo di Nikolaos Gysis e in parte alla pittura dei macchiaioli ma anche alla scapigliatura lombarda, eccellente ritrattista, e valente schermitore.

Rietti inizia a tirar di scherma fin da giovane. Sappiamo che si diletta con le armi anche a Monaco di Baviera, dove è studente della locale Accademia di Belle Arti (è in tale frangente che conosce Gysis, il quale diventa suo maestro): da triestino di famiglia agiata e cittadino dell’impero asburgico, sebbene fiero irredentista, l’artista conosce bene il tedesco ed è partecipe di quel clima multiculturale che si respira nella Trieste di fine secolo. Terminati gli studi accademici, Rietti non abbandona l’ambiente schermistico, e nella città in cui si trasferisce nel 1886, ovvero a Milano, inizia a frequentare la Società del Giardino, un esclusivo circolo fondato nel 1783, che nel 1882 ha aperto la propria sala di scherma (attiva ancora oggi: è una delle società più titolate d’Italia e ogni anno organizza un torneo nella sontuosa sede del club). Anzi: potremmo dire che la scherma facilita all’artista l’ottenimento degli incarichi che inizierà di lì a poco a ricevere dall’alta società. Milano garantisce buone entrate economiche al giovane pittore (benché diverranno stabili solo agli inizi del Novecento), che non rinuncia però a fare frequenti visite alla sua città natale: è proprio a Trieste che conosce il conte Francesco Sordina del quale esegue, nel 1896, un “Ritratto in assetto da scherma”, che espone al Circolo Artistico della città giuliana e del quale non conosciamo l’attuale ubicazione. Sappiamo però che i concittadini gradiscono l’opera di Rietti (che oltre al ritratto del conte espone altri sei dipinti), e dato il successo riscontrato nel mondo della scherma, è possibile stabilire proprio all’anno 1896 l’inizio della produzione di un buon numero di ritratti di maestri di scherma, di atleti e, più in generale, di opere sul tema della scherma. Un tema presente comunque negli appunti dell’artista fin dagli anni giovanili: nella recente monografia curata da Maurizio Lorber sono stati pubblicati alcuni fogli che testimoniano come l’interesse per la scherma sia una costante nell’arte di Rietti. Il pittore aveva elaborato una particolare tecnica grafica, che consisteva nel riempire i fogli di fitti segni curvi dall’aspetto tremolante, quasi un groviglio di apparenti scarabocchi che in realtà rivelano l’attenzione per il movimento, le posture, le espressioni. Lo vediamo bene in un paio di questi fogli, dove osserviamo quello che appare come un maestro, in posa, con l’arma puntata verso terra, mentre apparentemente spiega la lezione agli allievi. Oltre alla sua figura ne vediamo un’altra, appena abbozzata, del tronco e della gamba posteriore di un atleta, e una terza: uno schermidore in guardia, col braccio armato disteso e con quello non armato piegato verso l’alto, come usava all’epoca.

Arturo Rietti, Schermitori
Arturo Rietti, Schermitori da un taccuino (1886-1887; disegno su carta; Trieste, Archivio eredi Rietti)

Uno dei primi ritratti che Rietti esegue è quello del maestro friulano Luigi Barbasetti (Cividale del Friuli, 1859 - Verona, 1948), oggi conservato presso il Museo Revoltella di Trieste, che accoglie peraltro un cospicuo nucleo di opere di Rietti, dedicate alla scherma e non solo. Barbasetti è uno dei maestri più eccelsi della sua epoca: nel periodo in cui Rietti lo ritrae insegna la sua arte a Trieste, ma già in quegli anni (per l’esattezza nel 1894) riceve la chiamata dell’arciduca d’Austria Francesco Salvatore d’Asburgo-Toscana, che lo vuole a Vienna per aggiornare la scuola locale. Barbasetti si trasferisce subito nella capitale dell’impero, dove fonda una scuola di scherma che avrà un enorme successo nel diffondere in tutta l’Austria e in tutta l’Ungheria il suo metodo. Il maestro friulano è specializzato nella sciabola: se la scuola schermistica ungherese diventerà ben presto una delle più forti del mondo (e la tradizione della scherma magiara continua ancora al giorno d’oggi), gran parte del merito va proprio a Barbasetti. Rietti lo raffigura in uno dei suoi ritratti più intensi. Il volto è leggermente abbassato, tipico dello schermitore che sta per indossare la maschera. Lo sguardo però è fieramente rivolto davanti a sé: non incrocia lo sguardo dell’osservatore, ma sembra quasi scrutare un avversario con aria di sfida e, allo stesso tempo, comunica grandissima sicurezza e consapevolezza dei propri mezzi. Rietti pensa che “se il ritratto non rivela una verità segreta, profonda, dell’anima del soggetto, non è poesia”. Pochi ritratti (e non soltanto nella sua produzione) sono poetici e forti come quello del maestro Luigi Barbasetti. La scelta cromatica (solo bianco e nero) e la tecnica utilizzata (il pastello, che suggerisce l’impressione che la figura del maestro si stagli su una cortina di fumo, e che contribuisce a rendere più viva la sua espressione) sono funzionali a ottenere al meglio il risultato finale: un espressivo ritratto che coglie nel profondo “l’anima del soggetto”.

Arturo Rietti, Ritratto del maestro Luigi Barbasetti
Arturo Rietti, Ritratto del maestro Luigi Barbasetti (1896; pastello su cartone, 51 x 42 cm; Trieste, Museo Revoltella)


I dipinti di Arturo Rietti sulla scherma al Museo Revoltella di Trieste
I dipinti di Arturo Rietti sulla scherma al Museo Revoltella di Trieste. Ph. Credit Finestre sull’Arte

Se Barbasetti è uno dei migliori maestri del nord Italia, uno dei più grandi interpreti della scherma di scuola napoletana dell’epoca è invece Carlo De Palma, che tra il 1906 e il 1910 insegna alla Società Ginnastica Triestina (il circolo schermistico in cui si allena Arturo Rietti), e che anni dopo formerà una delle più grandi campionesse della specialità, vincitrice di due medaglie olimpiche: Irene Camber. Il dipinto che raffigura il maestro originario di Napoli è un olio su tela, risalente al 1908, che ha presupposti diversi rispetto al ritratto di Luigi Barbasetti. Rietti riesce a dare un notevole rilievo plastico alla figura di Carlo De Palma grazie all’utilizzo di forti contrasti chiaroscurali, che esaltano anche la capacità dell’artista di sondare, attraverso il suo spiccato senso per l’introspezione psicologica, il carattere del soggetto. Il senso di sfida che si ricavava dal ritratto di Luigi Barbasetti (il suo atteggiamento sembrava quasi voler affermare il suo essere schermitore prima ancora che maestro) è qui sostituito dalla fierezza per il proprio ruolo che si esprime sotto forma di una posa altera: mani posate sui fianchi, divisa ben abbottonata, sguardo fisso e imperturbabile. La figura emerge da un fondo scuro: peculiarità diventata caratteristica dell’arte di Rietti, attraverso la quale pare riflettersi, come ha scritto il succitato Lorber, “il carattere dell’artista, introverso e ombroso, che anela a sublimarsi nella sua peculiare cifra stilistica”.

Arturo Rietti, Ritratto del maestro Carlo De Palma
Arturo Rietti, Ritratto del maestro Carlo De Palma (1908; olio su tela, 86 x 70 cm; Trieste, Museo Revoltella)

L’attività dell’artista triestino non è circoscritta, nell’ambito della scherma, ai ritratti dei maestri. Il pittore infatti si cimenta nella produzione di diplomi per società schermistiche. Uno di questi è conservato al Museo Revoltella: nell’opera, risalente probabilmente al 1909 (a quest’anno rimanda una lettera del conte Sordina, che richiede il diploma al pittore, e nella collezione del nobile rimarrà finché non sarà donato al museo triestino), uno schermitore dal fisico longilineo, elegante nella sua divisa bianca con pantaloni e guanto neri, sta per mettersi in posizione di guardia stagliandosi contro uno sfondo indefinito, sfumato a pastello, i cui colori riprendono quelli utilizzati per lo schermitore, con una gamma cromatica che, anche in questo caso, è particolarmente ridotta per ottenere un effetto di immediatezza oltre che di maggior raffinatezza. Abbiamo notizia del fatto che Rietti viene invitato spesso a Vienna e a Budapest, i due maggiori centri dell’impero, in occasione di importanti tornei di scherma per i quali l’artista è chiamato a realizzare, appunto, i diplomi d’onore.

Arturo Rietti, Diploma per società di scherma
Arturo Rietti, Diploma per società di scherma (1909 circa; pastello su cartone, 98 x 62 cm; Trieste, Museo Revoltella)

La scherma continuerà a essere, per quasi tutta la vita di Arturo Rietti, non solo un modo per creare una buona rete di contatti che gli consentono di lavorare (molti dei suoi incarichi, come anticipato, gli proverranno da personaggi conosciuti nell’ambiente schermistico), ma anche un’arte a cui l’artista sarà sempre intimamente legato e della quale continuerà a ricordarsi anche quando le forze cominceranno a venir meno. Nella sua monografia, Lorber riporta un passo degli appunti di Rietti, datato 20 gennaio 1943 (due settimane prima di morire). In un’Italia sconvolta dalla guerra e da vent’anni di fascismo (nei confronti del quale Rietti dichiarerà sempre, e pubblicamente, la sua più totale avversione, finendo col sottoporsi a enormi rischi), al pittore, ormai stanco e disilluso, sovviene, come in un sogno, la memoria di un duello, probabilmente per ragioni d’onore, contro un professore a Venezia, terminato con esito positivo per l’artista: “Quando la scena al Caffè Filodrammatico? I miei schiaffi al prof. Ara? Sfida. Gita a Venezia, cena con Pallich e Stuparich al Quadri, duello (nudo il torso, gran freddo nelle sala delle bombe, campo la Fenice) tagliato il naso ad Ara, mie piccole ferite, colazione al Cavalletto, mi pare”.

Bibliografia di riferimento

  • Luca Caburlotto, Enrico Lecchese (a cura di), Arturo Rietti (1863-1943) e il suo tempo, atti del convegno (Trieste, 17-18 ottobre 2013), Arte Ricerca & Circolo Artistico di Trieste , 2013
  • Davide Lazzaroni, Il maestro di scherma: l’evoluzione di una professione. Passato, presente e prospettive future, Tesi magistrale Accademia Nazionale di Scherma, 2013
  • Maurizio Lorber, Arturo Rietti, Fondazione CRTrieste, 2008


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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