La femminilità maledetta: la sirena di Elisabeth Jerichau-Baumann


La sirena fa parte dell’immaginario artistico da millenni e la sua è tra le figure mitologiche più antiche e conosciute. Ecco come la pittrice ottocentesca Elisabeth Jerichau-Baumann ha raffigurato la creatura nei suoi dipinti.

Quando il pensiero si sofferma sulla figura della sirena prende vita un’unica raffigurazione: ammaliante, lunghi capelli e una coda che assume forme di pesci diversi. La sirena fa parte dell’immaginario artistico da millenni e la sua è tra le figure mitologiche più antiche e conosciute. Nelle credenze popolari greche del VII-V secolo a.C., la rappresentazione della sirena era diversa da quella attuale. Era metà donna e metà uccello e attraverso il suo canto conduceva alla morte lo sventurato. Nell’Odissea, una delle prime opere a inserire l’immagine della creatura, Ulisse decide di otturare le orecchie ai suoi compagni facendosi legare all’albero della nave per ascoltarne le melodie senza farsi ingannare. L’episodio è rappresentato nel Vaso delle Sirene, uno stamnos a figure rosse del V secolo a.C. (età arcaica greca), dipinto dal Pittore delle Sirene e conservato al British Museum di Londra. Sebbene ancora oggi non si abbiano certezze sull’etimologia del nome delle sirene, sembrerebbe che esista un collegamento con la radice semitica “sir”, che significa “canto”. Altri studiosi hanno richiamato il termine greco “seiráo”, che significa “io incateno”, da cui “sirena” deriverebbe come “colei che incatena, che lega, che avvince”. Non è di certo strano per i greci raffigurare una donna nelle sembianze di un rapace: si pensi alle Erinni (o Furie), personificazioni della vendetta femminile, alle Arpie e alle Lamie, donne-rapace da cui derivano le streghe. Le figure infatti sembrano derivare da un unico ceppo: una femminilità di sventura e di morte, figlia di Ecate, divinità della stregoneria. Con l’avvento del Medioevo, le seguaci di Ecate furono associate poi a Lilith, la prima donna.

La sirena quindi nell’antichità aveva già una connotazione negativa; non era una donna, bensì una creatura femminile fatale. Con il passare del tempo, la sua simbologia negativa fu assimilata dalla cultura religiosa medievale che ne modificò i tratti. In quel contesto storico, già ricco di associazioni tra il femminile e il demoniaco, la sirena conseguì il titolo di donna fatale. La donna medievale, capace di incantare e ingannare attraverso la bellezza era considerata una divoratrice di uomini simile alla sirena marina, una creatura per metà pesce che si nascondeva negli abissi misteriosi dove né l’occhio umano né la ragione possono arrivare. Anche con l’avvento del Cristianesimo infatti, persisteva un’ideologia legata alle creature e alle divinità pagane della notte.

Pittore delle sirene, Stamnos (480-470 a.C.; ceramica a figure rosse, 34 x 38 x 29 cm; Londra, British Museum)
Pittore delle sirene, Vaso delle sirene (480-470 a.C.; ceramica a figure rosse, 34 x 38 x 29 cm; Londra, British Museum)
Maestro delle Metope, Sirena bicaudata (XII secolo; marmo; Modena, Museo del Duomo)
Maestro delle Metope, Sirena bicaudata (XII secolo; marmo; Modena, Museo del Duomo)
Léon Belly, Ulisse e le sirene (1867; olio su tela, 363 x 300 cm; Saint-Omer, Musée de l'hôtel Sandelin)
Léon Belly, Ulisse e le sirene (1867; olio su tela, 363 x 300 cm; Saint-Omer, Musée de l’hôtel Sandelin)
Wilhelm Kray, La canzone delle sirene (olio su tela, 75 x 111 cm; Collezione privata)
Wilhelm Kray, La canzone delle sirene (olio su tela, 75 x 111 cm; Collezione privata)
John William Waterhouse, Ulysses and the Sirens (1891; olio su tela, 100,6 x 202 cm; Melbourne, National Gallery of Victoria)
John William Waterhouse, Ulysses and the Sirens (1891; olio su tela, 100,6 x 202 cm; Melbourne, National Gallery of Victoria)
Herbert James Draper, Ulysses and the Sirens (1909; olio su tela, 177 x 213,5 cm; Kingston upon Hull, Ferens Art Gallery)
Herbert James Draper, Ulysses and the Sirens (1909; olio su tela, 177 x 213,5 cm; Kingston upon Hull, Ferens Art Gallery)

“Le sirene sono fanciulle marine che ingannano i navigatori con il loro bellissimo aspetto ed allettandoli col canto; e dal capo e fino all’ombelico hanno il corpo di fanciulla e sono in tutto simili alla specie umana; ma hanno squamose code di pesce che celano sempre nei gorghi”: così si legge nel Liber monstrorum de diversis generibus, un testo dell’VIII secolo che ha il compito di chiarire quanto possano essere vere o false le definizioni sui mostri dell’epoca. Raffigurata in queste nuove sembianze, la sirena è presente nelle miniature e nei capitelli medievali, spesso in forma bicaudata, con la doppia coda divaricata simmetricamente. Ne è un esempio la scultura in marmo della Sirena bicaudata, risalente al 1100-1149 circa, oggi custodita presso il Museo Lapidario del Duomo di Modena. Un’altra rappresentazione si trova invece nella miniatura su pergamena del Bestiario di Ugo di Fouilloy, del XIII secolo, raffigurante una Sirena e l’Onocentauro. A rimanere ammaliati dalla figura della sirena però non sono solo i marinai. Dalla fine dell’Ottocento, epoca Romantica dei sentimenti, della maestosità della natura e del sublime, fino ai primi del Novecento, la sirena torna a essere rappresentata con una nuova carica erotica da artisti inglesi e francesi. I lunghi capelli e le lunghe code si radicano così nell’immaginario collettivo. Léon Belly è tra i primi a riscoprirla con il suo Ulisse e le sirene del 1867. Il tedesco Wilhelm Kray ne rimane così affascinato da dedicarle diversi quadri, tutti dipinti in semioscurità: Il marinaio e le sirene, Pescatore addormentato con sirene del 1869, Le sirene del 1874 e La canzone delle sirene. Nel 1891, John William Waterhouse dipinge il suo Ulysses and the Sirens in cui riprende l’idea della donna-rapace. Nel 1900, lo stesso artista concepisce A Mermaid, che vede la creatura intenta a pettinare la sua chioma. Herbert James Draper la immortala in un Ulysses and the Sirens nel 1909, conferendole un fascino irresistibile.

In un mondo dominato dall’arte maschile, l’artista polacca naturalizzata danese Elisabeth Jerichau-Baumann (Varsavia, 1819 – Copenaghen, 1881) sapeva fin dall’inizio di dover competere con i suoi colleghi maschi in una professione dominata dagli uomini. Sebbene esistessero aspettative riguardo ai motivi che le donne avrebbero dovuto dipingere, basate sulla loro natura sensibile e femminile, Jerichau-Baumann non si è mai lasciata limitare dalle convenzioni del suo tempo. Nell’età dell’oro danese, che si sviluppa tra il 1800 e il 1850, al contrario dei temi prevalenti come la paesaggistica romantica, Jerichau-Baumann perseguiva un ampio repertorio di soggetti con un occhio di riguardo per le figure femminili.

Elisabeth Jerichau-Baumann, La sirena (1861; olio su tela, 98 x 129 cm; Collezione privata)
Elisabeth Jerichau-Baumann, La sirena (1861; olio su tela, 98 x 129 cm; Collezione privata)
Elisabeth Jerichau-Baumann, La sirena (1863; olio su tela, 98 x 129 cm; Collezione privata)
Elisabeth Jerichau-Baumann, La sirena (1863; olio su tela, 98 x 129 cm; Collezione privata)
Elisabeth Jerichau-Baumann, La sirena (1873; olio su tela, 96 x 126 cm; Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek)
Elisabeth Jerichau-Baumann, La sirena (1873; olio su tela, 96 x 126 cm; Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek). Foto: Villy Fink Isaksen

Nella prima parte del XIX secolo, la sirena era principalmente un motivo letterario basato sulle leggende nordiche, e gradualmente la creatura trovò spazio anche nella letteratura popolare e nei periodici dei quotidiani di Copenaghen negli anni Sessanta del secolo, anche grazie al classico La Sirenetta (Den lille Havfrue in lingua originale) del 1837 di Hans Christian Andersen, amico di Jerichau-Baumann. L’artista comprese il fascino delle sirene di quel periodo, al punto da interpretarlo e tradurlo in un nuovo immaginario visivo. La tematizzazione della creatura marina trovò quindi spazio nella comunità artistica, caratterizzando la produzione di Jerichau-Baumann dal 1850 al 1870. La sirena era la figura per eccellenza e Jerichau-Baumann non solo la dipinse, ma la caricò dello stesso erotismo utilizzato da artisti come Gustav Wertheimer e Knut Ekwall. La sua rappresentazione delle sirene non si limitava alla semplice estetica, ma esplorava la profondità e il fascino che questa figura mitologica esercitava sul pubblico del suo tempo. Negli anni, Jerichau-Baumann sperimentò due tipi correlati di sirene, ognuna con diversi volti, colori di capelli e intensità dello sguardo, spesso raffigurate in una posa di attesa vicino alla superficie del mare. Le sue sirene sono presenti in tre copie principali. La prima, intitolata A Mermaid (Havfrue in danese), risale al 1861, anno in cui fu esposta al Salon di Parigi, attirando l’attenzione di un critico d’arte francese. La seconda versione fu completata nel 1862 ed esposta alla Fiera Mondiale di Londra. La terza versione di A Mermaid, risalente al 1873, fu esposta a Vienna ed è probabilmente la più famosa delle tre.

Nel caso delle sirene di Jerichau-Baumann, le sue creature appaiono seducenti mentre giacciono dondolandosi vicino alla superficie del mare, nascondendo la barriera corallina che potrebbe far incagliare le navi. Nei dipinti del 1861 e del 1873, infatti, le creature appaiono come due seduttrici dai capelli scuri, con alghe tra i capelli e uno sguardo fisso verso lo spettatore, che non gli permette di scappare. Poco lontano, si scorge la coda mentre piccoli pesci le nuotano intorno. Le sirene dell’artista sono inoltre caratterizzate per di più da un’aura che richiama l’Orientalismo, un movimento artistico nato alla fine del Settecento e sviluppatosi poi nell’Ottocento. Lo scrittore Andersen, amico di Jerichau-Baumann, potrebbe infatti aver apprezzato la sua capacità di tradurre visivamente gli elementi orientalisti della sua Sirenetta, come il castello descritto nella sua fiaba. Ad oggi, due dei tre dipinti di sirene di Jerichau-Baumann si trovano nelle collezioni dei musei danesi. La versione del 1861 è conservata a Brandts a Odense, mentre la versione del 1873 è esposta alla New Carlsberg Glyptotek di Copenaghen. La figura della sirena, presenta perciò un’interpretazione complessa poichè combina elementi apparentemente contraddittori: da un lato, ha la coda pinnata di un pesce, un attributo che la collega al mondo delle profondità marina, dell’inconscio e alla sua natura misteriosa e inspiegabile; dall’altro, possiede attributi femminili e una psiche umana, che suggeriscono una forma di intelligenza, emozioni e desideri simili a quelli umani. La creatura, quindi, non è semplicemente un essere animale o una creatura mitologica comune, ma incarna una profonda dualità enigmatica.


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Noemi Capoccia

L'autrice di questo articolo: Noemi Capoccia

Originaria di Lecce, classe 1995, ha conseguito la laurea presso l'Accademia di Belle Arti di Carrara nel 2021. Le sue passioni sono l'arte antica e l'archeologia. Dal 2024 lavora in Finestre sull'Arte.



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