Se oggi possiamo vedere la Basilica della Natività di Betlemme risollevata dal degrado, dall’incuria e dalle offese del tempo, è grazie a un’azienda italiana che ha recuperato questo monumento, uno dei più importanti e più simbolici di tutta la cristianità: dal 2013 al 2020, infatti, la basilica è stata oggetto di un lungo e complesso intervento di restauro che ha interessato sia la parte esterna che quella interna. Un lavoro impegnativo, accurato e paziente che è stato compiuto dall’impresa italiana di restauro Piacenti SpA con sede a Prato e che è stato reso possibile grazie all’iniziativa dell’Autorità Nazionale della Palestina, la quale nel 2010 è riuscita ad accordarsi con le tre comunità cristiane che gestiscono la Basilica (ortodossa, cattolica e armena) per avviare l’iter che ha condotto all’avvio dei restauri tre anni dopo.
Nel corso dei secoli, già a partire dal Quattrocento, la Basilica costruita sul luogo dove si pensa sia nato Gesù ha subito varie vicissitudini sia per cause umane sia per cause naturali che l’hanno portata alla sua lenta decadenza: nel 1450 un forte terremoto colpì Betlemme; nel 1516 l’esercito di Solimano il Magnifico conquistò la Palestina e in questo contesto vennero rubate le lastre di marmo e la copertura in piombo del tetto dai soldati che con questi elementi costruivano le loro munizioni per gli archibugi (durante il recente restauro sono state rinvenute addirittura molte pallottole di piombo all’interno dei volti degli angeli e delle figure sacre raffigurati nella Basilica, presumibilmente sparate dagli archibugi dei soldati ottomani). Nell’Ottocento venne rubata anche la stella d’argento che nella grotta indica il luogo dove è nato il Bambino; poi ancora un terremoto nel 1834 che causò la caduta di mosaici e a distanza di un secolo, nel 1934, un altro terremoto scosse la Palestina; inoltre danni furono provocati dall’acqua piovana che scorreva lungo le pareti e dal fumo delle tante candele che sono state accese per anni e anni nell’edificio. L’ultimo colpo inferto al luogo sacro si verificò nel 2002, quando la Basilica vide per quaranta giorni lo scontro tra soldati israeliani e 240 palestinesi che cercavano rifugio al suo interno. A queste ferite si è cercato in parte di rimediare con alcuni restauri, tra cui quello compiuto nel quindicesimo secolo grazie al padre guardiano Giovanni Tomacelli, quello realizzato nel 1842 per iniziativa dei Greci Ortodossi, e quello a seguito del terremoto del 1934 che portò all’intervento dell’archeologo inglese William Harvey, durante il quale furono riportati alla luce i mosaici pavimentali della Basilica di Costantino. Tuttavia, spiega lo storico dell’arte Michele Bacci, “per secoli i lavori di restauro sono stati resi difficili dal fatto che la capacità di intervenire e di fare anche soltanto opere di manutenzione è stata tradizionalmente percepita come un mezzo di affermazione di egemonia da parte delle singole comunità, chi era in grado di restaurare una parte della basilica affermava in questo modo di esserne anche il proprietario. Per questo motivo il restauro si rivela essere un’occasione straordinaria nella quale si è operato in sostanza un vero miracolo: le tre comunità, per la prima volta nella storia, si sono trovate d’accordo sulla necessità e sull’urgenza d’intervenire con un restauro complessivo al di là delle differenze e dei dissapori tradizionali”. Si è dunque reso necessario un complessivo intervento per non fare cadere l’edificio per sempre in rovina: si pensi che era già stato inserito nella lista Unesco dei beni a rischio.
“Questa basilica”, sottolinea Giammarco Piacenti, amministratore delegato di Piacenti SpA, “è arrivata fino a noi nascendo 1700 anni fa, e negli ultimi 150 anni non ha avuto una corretta manutenzione, non ha avuto lavori che la potessero preservare da tutti questi degradi. Le condizioni erano disastrose da tanti i punti di vista, a cominciare dal danno diretto dell’acqua su tanti elementi (sul legno, sull’intonaco, sui mosaici)... nessuno fermava questo terribile degrado”.
L’istituzione di un Comitato per il restauro della Basilica, avvenuta nel 2018, diede il via al progetto del restauro che proseguì l’anno successivo con un concorso internazionale volto alla definizione dei lavori, alla fine affidati a Piacenti SpA, che lungo i sette anni di lavori ha impiegato 170 persone che hanno operato a vario titolo sul monumento: i lavori iniziarono di fatto nel 2013 dalla parte che presentava un urgente bisogno di intervento, ovvero il tetto in piombo, attraverso il quale pioveva all’interno dell’edificio e di conseguenza sui mosaici a parete. Sotto la muratura era stata costruita una struttura in travi di legno innovativa per il periodo bizantino poiché anticipatrice delle moderne strutture antisismiche: il restauro di questa complessa struttura ha reso necessario l’utilizzo di specifiche travi trovate in Italia e il riutilizzo dei chiodi originali, mentre lo strato di paglia tra le travi lignee e le lastre di piombo è stato sostituito da lana di Prato per eliminare la condensa e isolare così termicamente la Basilica. I restauratori della Piacenti SpA hanno poi provveduto poi alla sostituzione delle finestre in cipresso toscano e doppi vetri con protezione contro i raggi ultravioletti e infrarossi per mantenere le pitture interne, e al consolidamento delle volte di copertura del nartece: quest’ultimo si è rivelato l’intervento più complesso della parte strutturale, che ha permesso di bloccare il movimento del muro di facciata e il collasso delle volte, e soprattutto di restaurare il portale armeno databile al 1227 posto nello spazio del nartece.
Dei circa 2000 metri quadrati di mosaici parietali che decoravano in origine i muri interni della Basilica, sono giunti fino a noi solo 130 metri quadrati, tra navata, transetti e abside, ma questi sono interamente originali: nonostante il fumo delle candele, i terremoti e persino atti vandalici (testimoniati, come detto sopra, da pallottole trovate all’interno delle superfici musive e sparate dai soldati ottomani), il restauro compiuto ha riportato a nuova leggibilità tutte le scene rimaste. Nel corso dell’intervento sui mosaici è stato inoltre compiuto uno straordinario ritrovamento: tra le finestre della navata nord erano raffigurati sei angeli che, uno dietro l’altro, accompagnavano il pellegrino alla santa grotta, ma in realtà, grazie alla termografia è emerso un settimo angelo, tra la quinta e la sesta finestra, interamente coperto dall’intonaco. Tolto quest’ultimo, è stato quindi rinvenuto un bellissimo angelo rovinato in parte dai colpi di archibugio, in particolare in corrispondenza del volto e delle gambe. Ed è stato un vero stupore questo inaspettato ritrovamento. Come gli altri sei, il settimo angelo è raffigurato mentre cammina verso il transetto per accompagnare i pellegrini verso la grotta, e il movimento delle gambe e delle ali dà l’impressione che gli angeli siano appena venuti sulla Terra.
Prima di arrivare alla santa grotta, i pellegrini erano accompagnati da colonne monolitiche in pietra slaieb: il fumo e il passaggio di milioni di persone hanno oscurato nei secoli pitture con figure di santi della tradizione orientale e occidentale realizzate nella prima metà del XII secolo; grazie al restauro sono riemersi così santi pilastri della chiesa, quali Olaf di Scandinavia, Canuto di Danimarca, San Cataldo e molti altri, dipinti su commissione di pellegrini devoti come ringraziamento ai santi protettori per averli accompagnati nel lungo viaggio intrapreso.
Infine, i restauratori di Piacenti SpA hanno provveduto al restauro dei mosaici pavimentali della Basilica fatta costruire dall’imperatore Costantino: si ha avuto quindi occasione di compiere una serie di sondaggi di scavo archeologico con l’obiettivo di scoprire le vicende legate al cantiere giustinianeo e le trasformazioni avvenute nel corso dei secoli. Sono stati inoltre rinvenuti in questa indagine frammenti di intonaco affrescato che decoravano le pareti della prima chiesa.
“170 persone che hanno collaborato insieme: tutta qeusta collaborazione è stata incredibile, era anche supportata dalle tre chiese e tutto questo lavoro coune ci ha veramente dato forza“, conclude Giammarco Piacenti. ”Betlemme è una città che ci ha accolto, ha accolto 170 italiani che sono venuti da lontano, ci ha cullato, ci ha dato veramente del calore, anche perché questa chiesa è il cuore di questa piccola città. È un lavoro che ti tocca: qui dentro si respira una grande spiritualità e credo che tutti noi ne siamo stati pervasi”.
“La peculiarità e anche la straordinarietà di questo complesso dal punto di vista storico-artistico”, spiega lo storico dell’arte Michele Bacci, “risiede nel fatto che non lo si può etichettare semplicemente come bizantino, occidentale, o islamico ma che contiene elementi delle di queste 3 diverse tradizioni usate spesso in modo selettivo”. La Basilica della Natività di Betlemme è infatti un monumento molto stratificato: la sua origine si deve alla volontà dell’imperatore Costantino di costruire maestosi edifici nei luoghi legati agli episodi salienti della vita di Gesù, in particolare nascita, morte e resurrezione, perché i pellegrini venissero in Terra Santa per visitarli. Il complesso del Santo Sepolcro riuniva i luoghi della Crocifissione e della Resurrezione, mentre a Betlemme fece costruire una grande basilica in corrispondenza della grotta della Natività. Quest’ultima è considerata il fulcro della Basilica: una galleria di circa dieci metri di lunghezza, nella cui estremità orientale si trova in una piccola nicchia una stella d’argento che indica il punto dove è nato Gesù, mentre in un angolo si trova il punto in cui il Bambino fu posto nella mangiatoia. Secondo un antico rituale, inoltre, sull’altare della grotta dove la Madonna diede alla luce Gesù Bambino le donne musulmane impastavano il pane da donare alle partorienti per alleviare loro i dolori del parto; Betlemme infatti significa “la casa del pane”.
La prima testimonianza della Basilica appena consacrata al culto è del cosiddetto Anonimo di Bordeaux e risale all’anno 333. Dell’antica chiesa costantiniana è il grande tappeto musivo nella navata centrale e nel transetto nord che presenta decorazioni a motivo vegetale, geometrico e animali, e al centro di una piccola porzione di mosaico rimasto si legge la parola greca ICHTYS, acronimo greco le cui iniziali indicavano la formula “Gesù Cristo, figlio di Dio, Salvatore” utilizzata dalle prime comunità cristiane.
Secondo la tradizione, la Basilica costantiniana venne distrutta in seguito alla rivolta di un gruppo di Samaritani che nel 529 incendiarono molte chiese in Palestina. La ricostruzione fu opera di re Giustiniano: doveva essere una chiesa splendida, grande e bella, da non averne simili neanche a Gerusalemme. In realtà, dalle recenti indagini archeologiche è emerso che la distruzione dell’antica chiesa sarebbe stata legata al progetto di Giustiniano di ricostruire la chiesa dalle fondamenta. La nuova Basilica presentava una monumentale facciata con tre portali decorati e all’interno era suddivisa in cinque navate a loro volta divise da quattro file di colonne monolitiche, sulle quali vi erano capitelli corinzi rivestiti d’oro. E per accedere alla grotta erano state costruite due nuove scalinate attraverso cui i pellegrini potevano entrare fisicamente nella grotta e inchinarsi di fronte alla stella d’argento e davanti alla mangiatoia.
In epoca crociata, nel XII secolo, la Basilica venne trasformata in fortezza con l’aggiunta di un monastero e ospizi per dare ospitalità a un crescente numero di pellegrini. Il cambiamento più significativo avvenne tuttavia all’interno, con il rinnovamento dell’apparato decorativo a mosaico: era l’anno 1169. Committenti furono l’imperatore di Bisanzio Manuele Comneno, il re di Gerusalemme Amalrico I e il vescovo Latino di Betlemme Raoul: questi si proclamarono eredi diretti di Costantino e Giustiniano. I mosaici riportano i nomi dei loro autori, Efrem e Basilius, i quali conoscevano molto bene l’arte bizantina, a cui si ispirarono per la resa dei volti e il volume dei panneggi, e l’arte islamica, testimoniata da frequenti richiami a motivi ornamentali della Cupola della Roccia di Gerusalemme e da un notevole uso della madreperla. Nella navata centrale erano raffigurati la genealogia di Cristo, i concili ecumenici e i sinodi provinciali e, tra le finestre, sette angeli che accompagnavano i pellegrini nel loro percorso mistico verso la santa grotta. Nell’abside si trovava la Madonna tra Abramo e David, mentre nei transetti scene della vita, della Passione e della Resurrezione di Cristo, quali l’Ingresso a Gerusalemme (con una folla festante che accoglie Gesù e i bambini che stendono in terra vesti e rami di palma), l’Incredulità di Tommaso (con il suggestivo particolare della mano di Cristo che accompagna il dito di Tommaso sulla ferita) e l’Ascensione con la Vergine al centro e gli angeli attorno. A partire dal 1130 poi, come già precedentemente citato, le colonne della navate vennero dipinte con santi e profeti su commissione di fedeli che devotamente erano giunti nella Basilica, così da raggiungere la grotta guidati dai loro santi protettori. “La singolarità di questo edificio”, spiega ancora Bacci, “è il fatto che costituisce una sorta di enorme cornice monumentale a quello che è il vero e proprio luogo santo. Nel suo periodo di maggior splendore, cioè attorno al 1169-1170, la chiesa era interamente rivestita di mosaici nella parte superiore delle pareti, ovvero dalla controfacciata lungo la navata centrale e ancora, senza soluzione di continuità, nei transetti e nella zona absidale”.
Tutte queste opere musive e pittoriche necessitavano di un complessivo restauro, grazie al quale oggi è ancora possibile ammirare queste meraviglie risalenti a molti secoli fa, e soprattutto grazie al quale le generazioni future potranno continuare a vedere il luogo dove nacque Gesù, cariche di emozione.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.