La Fenice Schifanoia: torna in luce il genio di Francesco del Cossa e di Ercole de’ Roberti nel palazzo di Borso d’Este


Il Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia a Ferrara è uno dei massimi capolavori della pittura rinascimentale. E adesso risorge in nuova luce.

È una storia di ascese folgoranti e di cadute rovinose quella di Palazzo Schifanoia. Nel corso della sua storia, infatti, l’antica delizia estense ha subito ferite di ogni genere causate da usi “civili” impropri non meno che da catastrofi naturali. Questa azione combinata ha determinato amputazioni, occultamenti e fragilità strutturali che ne hanno spesso messo in discussione l’esistenza stessa.

Da tali crisi il Palazzo, uno dei simboli di Ferrara, ne è sempre uscito risorgendo come una Fenice dalle sue ceneri: è accaduto col terremoto del 1570, ad esempio, o con il riscatto tardo ottocentesco che lo ha reso il Museo Civico della città. E accade di nuovo ora, a coronamento di un attento restauro strutturale curato dal Servizio Beni Monumentali del Comune di Ferrara dopo il sisma del 2012, con la restituzione ai visitatori del cuore dell’edificio.

Dal 2 giugno, infatti, è possibile tornare a visitare il Salone dei Mesi, la Sala delle Virtù e quella delle Imprese con gli ambienti illuminati come mai prima d’ora arricchiti da un breve ma serrato percorso espositivo dal titolo Francesco del Cossa e Schifanoia. L’oro degli Estensi(fino al 14 settembre 2020, organizzata dai Musei di Arte Antica e dalla Fondazione Ferrara Arte, con il patrocinio dell’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale): una selezione di opere di pertinenza dei Musei di Arte Antica più strettamente connesse alla figura di Borso d’Este e un significativo gruppo di “ospiti” legati all’Officina ferrarese. Un racconto a tappe che incrocia la magnificenza dell’arte di corte estense con quella sacra e ricostruisce il dialogo tra le tecniche artistiche che fece di Ferrara uno scenario privilegiato di sperimentazione seminale anche per altri centri (non a caso l’esposizione termina al cospetto dell’affascinante Pala Grossi di Giovanni Antonio Bazzi, sorta di regolarizzazione cossesca eseguita per Reggio Emilia circa vent’anni dopo Schifanoia). Un percorso che non vuole essere solo una mostra, ma una concreta anticipazione delle scelte museografiche che caratterizzeranno il nuovo Museo Schifanoia, la cui apertura definitiva è prevista per i prossimi mesi.

Ma la novità più incisiva è il nuovo impianto di illuminazione del Salone dei Mesi. L’intera superficie parietale (dai lucidi intonaci di Cossa a quelli distaccati e trasportati su altro supporto della parete nord, fino a quelli frastagliati e frammentari decorati a secco) si svela in una luce nuova e quasi miracolosa grazie al genio visionario eppure profondamente rigoroso di Alberto Pasetti Bombardella, progettista di un sistema d’illuminazione che ridefinisce la percezione di questo capolavoro straordinario. Rispettoso al contempo degli standard conservativi e delle esigenze della percezione, esso consente di abbracciare con gli occhi un Salone senza più zone d’ombra, perfettamente bilanciato nelle sue cromie e nelle sue forme. Una luce museale tutta nuova che si accompagna, in determinate ore del giorno, ad una sequenza dinamica che immerge il Salone nell’ombra per poi svelarlo forma dopo forma, invitando il visitatore ad una fruizione attiva ed emozionale che non ha eguali in Italia in questo momento.

Palazzo Schifanoia, Salone dei Mesi: veduta delle pareti nord ed est, con la nuova illuminazione progettata dallo Studio Pasetti Lightining. Ph. Credit Henrik Blomqvist
Palazzo Schifanoia, Salone dei Mesi: veduta delle pareti nord ed est, con la nuova illuminazione progettata dallo Studio Pasetti Lightining. Ph. Credit Henrik Blomqvist


Palazzo Schifanoia, Salone dei Mesi: parete est, mesi di Marzo, Aprile e Maggio (Francesco del Cossa, 1469-70). Ph. Credit Henrik Blomqvist
Palazzo Schifanoia, Salone dei Mesi: parete est, mesi di Marzo, Aprile e Maggio (Francesco del Cossa, 1469-70). Ph. Credit Henrik Blomqvist

L’astrologo, il marchese, quasi duca, e i suoi pittori

Tra il 1466 ed il 1470 il marchese Borso d’Este (Ferrara, 1413 - 1471) investe su Schifanoia attenzioni pari a quelle profuse per la realizzazione della celeberrima Bibbia che porta il suo nome (ora a Modena, alla Biblioteca Estense), incaricando l’architetto Pietro Benvenuto dagli Ordini di ampliare la delizia preesistente. Il risultato è un magniloquente e moderno palazzo di governo dotato di un imponente scalone monumentale esterno (ora distrutto), di un portale monumentale e di una facciata spettacolare decorata da motivi geometrici dipinti (purtroppo perduti) che simulavano la presenza di rilievi marmorei policromi.

Il fulcro di tutto è da subito il magico Salone dei Mesi: un capolavoro voluto dalla determinazione del principe, ideato dalla cultura del suo astrologo di corte, Pellegrino Prisciani (Ferrara, 1435 - 1518), e realizzato dall’abilità una manipolo di artisti chiamati a lavorarvi gomito a gomito e in tempi strettissimi, secondo un modello operativo sperimentato dallo stesso Borso qualche anno prima, quando impose a “tutti li pittori di Ferrara” di recarsi nel Palazzo di Corte in occasione della visita di Federico III. Il risultato è un ambiente decorato in origine da circa 525 metri quadri di pitture murali: uno dei cicli decorativi profani più ampi del Quattrocento (si pensi che la celebre Camera degli Sposi di Mantegna a Mantova ne misura circa 100), del quale oggi riusciamo ad apprezzare pienamente solo la porzione dipinta ad affresco tra Marzo e Settembre perché l’altra, realizzata a secco, è semi scomparsa.

Un’immensità di forme e colori, summa dello stile “profano e ornato” dell’Officina ferrarese, che rappresenta il coronamento di una vera e propria politica delle immagini che l’allora marchese andava elaborando in previsione dell’imminenza della concessione papale del titolo di duca di Ferrara. Così, mentre i Gonzaga celebrano a Mantova la casata nella Camera degli Sposi e gli Sforza si preparano a rinnovare le decorazioni dei castelli di Milano e di Pavia, fra le pareti del Salone Borso elabora un monumento a se stesso, al suo stile di governo, alla sua corte e alla sua abilità di amministrare la giustizia e il territorio. E lo fa miscelando mitologia di derivazione antica (i Trionfi degli Dei che sovrastano e proteggono ogni mese), l’astrologia di origine araba dei segni zodiacali e dei relativi decani che stregarono Aby Warburg nel 1912, con le esigenze della propaganda. Difficile non immaginare che Ludovico Ariosto avesse in mente proprio il Salone di Schifanoia quando descriverà Borso come colui che “chiuderà Marte ove non veggia luce, e stringerà al Furor le mani al dorso. Di questo signor splendido ogni intento sarà che il popul suo viva contento” (Orlando furioso, III/45).

Borso compare tre volte in ogni mese mentre svolge il ruolo di arbitro di pace, riceve ambasciatori, sfila in parata o si dedica ai piaceri della caccia, sempre attorniato dai fidi cortigiani: una vera e propria ossessione ritrattistica la cui genesi, come dimostra l’esposizione in corso, va rintracciata nella rinascita della medaglia all’antica, familiare a Ferrara grazie al soggiorno estense di Pisanello, ma che trova qui un’affermazione di stampo moderno, cerimoniale e propagandistico.

Palazzo Schifanoia, Salone dei Mesi: parete nord, mesi di Giugno, Luglio, Agosto, Settembre (Maestro dagli occhi spalancati, Maestro dell'Agosto, Ercole de'Roberti, 1469-70). Ph. Credit Henrik Blomqvist
Palazzo Schifanoia, Salone dei Mesi: parete nord, mesi di Giugno, Luglio, Agosto, Settembre (Maestro dagli occhi spalancati, Maestro dell’Agosto, Ercole de’Roberti, 1469-70). Ph. Credit Henrik Blomqvist


Palazzo Schifanoia, Salone dei Mesi, Marzo, dettaglio scene di vita alla corte di Borso d’Este (Francesco del Cossa, 1469-70) durante la sequenza luminosa. Ph. Credit Henrik Blomqvist
Palazzo Schifanoia, Salone dei Mesi, Marzo, dettaglio scene di vita alla corte di Borso d’Este (Francesco del Cossa, 1469-70) durante la sequenza luminosa. Ph. Credit Henrik Blomqvist


Palazzo Schifanoia, Salone dei Mesi, parete est, Aprile (Francesco del Cossa, 1469-70)  durante la sequenza luminosa. Ph. Credit Henrik Blomqvist
Palazzo Schifanoia, Salone dei Mesi, parete est, Aprile (Francesco del Cossa, 1469-70) durante la sequenza luminosa. Ph. Credit Henrik Blomqvist

Il capolavoro di Francesco del Cossa e gli esordi di Ercole de’ Roberti

Dà forma a tutto una pattuglia di artisti diretti da Prisciani e, probabilmente, da un regista artistico che in passato è stato identificato, senza successo né credibilità, in Cosmè Tura. La necessità di questa figura, perché a Schifanoia nulla è lasciato al caso, emerge quando si tratta di realizzare l’effige del marchese, ripetuta tramite l’uso di cartoni preparatori che vengono replicati indipendentemente dall’autore del mese: il ritratto a cavallo circondato dai dignitari, ad esempio, è riprodotto da artisti diversi e con sottili varianti nei mesi di Febbraio, Marzo, Giugno, Luglio e Agosto. Si tratta di una sorta di nuovo ritratto equestre che, secondo alcuni studiosi, Borso può aver elaborato assieme al fratellastro Baldassarre d’Este, suo ritrattista ufficiale a partire proprio da Schifanoia e che sarà chiamato, a lavori finiti, ad uniformare i volti del principe nel Salone: a riprova, forse, del suo ruolo di regista figurativo.

All’interno di una simile griglia di compiti e schemi svetta, per qualità e intensità, il genio di Francesco del Cossa (Ferrara, 1436 – Bologna, 1478), il pittore forse meno amato da Borso, che alla fine del lavoro, nel marzo del 1470, ebbe il coraggio di rivendicare un trattamento salariale all’altezza del capolavoro che aveva realizzato. Il rifiuto del marchese motivò l’allontanamento da Ferrara del pittore che tornato nella Bologna che aveva visitato poco prima, troverà la fama e il riconoscimento che meritava. La scintillante cromia dei suoi affreschi, l’abbagliante solarità delle figure che animano la parete est, quella con i mesi di Marzo, Aprile e Maggio (in quest’ultimo con aiuti), rappresentano la più matura e felice coniugazione tra la purezza di forme fiorentina e le bizzarrie cromatiche e lineari ferraresi. Nel Marzo brani come i sontuosi abiti di Borso o il falconiere che tiene a bada il cavallo imbizzarrito, o nell’Aprile la scena del Palio, il falconiere seduto sulla balaustra e l’intero splendente Trionfo di Venere, sono frammenti di pura ed elegante natura che dialogano con la serena opulenza del luogo esemplificando il miracolo artistico compiuto da Cossa a Schifanoia.

Sui muri della parete settentrionale si alternano invece artisti appartenenti ad almeno due botteghe (tre o più, secondo alcuni studi). La prima, capeggiata dal cosiddetto “Maestro dagli occhi spalancati”, ripropone nei mesi di Giugno e Luglio in una scala notevolmente più grande, le conquiste calligrafiche ed ornate dei miniatori estensi, con uno stile che trova in Cosmè Tura il suo punto di riferimento.

Più moderna appare la bottega attiva nell’Agosto e nel Settembre. Allo stato delle conoscenze, anche se parte del mondo degli studi anglosassone vi si oppone, la rabdomantica intuizione di Roberto Longhi resta validissima: è identificabile nel giovane Ercole de’ Roberti (Ferrara, 1455 circa - 1496) l’autore sorprendente, furioso e fantasioso oltre ogni limite del mese di Settembre, capace inventare scene di sconcertante espressività, come il Trionfo di Vulcano, dove ai fabbri rabbiosamente attivi nella fucina fanno da contraltare due figure, identificate con Marte e Venere, che amoreggiano in un letto di pieghe metalliche; o come gli eleganti “demoni” astrologici della fascia centrale. Nel mese di Agosto, invece, la critica ha recentemente proposto di riconoscere la mano del maestro di Ercole de’ Roberti, il documentatissimo Gherardo di Andrea Fiorini da Vicenza (documentato dal 1424 al 1485), citato dalle carte d’archivio come “depintore de corte” negli stessi anni di Tura. Infatti, ciò che nell’Agosto appare solo abbozzato, nel Settembre trova la più compiuta espressione: certa espressività nelle figure e certe danze quasi macabre che si ammirano nel Trionfo di Cerere dell’Agosto paiono le necessarie premesse figurative dell’esplosione vitalistica del Trionfo di Vulcano dipinto da Ercole.

Un elemento che rende ancor più particolare il Salone dei Mesi è l’aspetto tecnico: il ciclo fu realizzato infatti solo parzialmente ad affresco (le pareti est e nord con i mesi da Marzo a Settembre), mentre il resto dell’impresa, circa il 55 o 60%, a tempera (le pareti ovest e sud con i restanti mesi più le scene urbane), circostanza che ha portato al quasi totale deperimento di queste porzioni. Il perché di questa curiosa scelta ci sfugge, ma occorre ricordare che questa tecnica non era ai tempi inusuale: negli stessi mesi, infatti, Tura dipinge la cappella (oggi purtroppo scomparsa) della delizia di Belriguardo con il medesimo metodo a secco su muro. Dalle indagini condotte sulle decorazioni e da una lettura attenta della lettera di Cossa inviata a Borso a conclusione dei lavori, sembra di intendere che fu la “direzione lavori” a richiedere il passaggio della tempera all’affresco. I motivi di questa preferenza sono intuibili (l’affresco consente una conservazione più tenace delle decorazioni rispetto a un’applicazione di colore su un intonaco asciutto), ma non certo documentabili: un altro dei tanti misteri che ruotano attorno al Salone dei Mesi.

Misteri che la nuova illuminazione consentirà, questo è l’auspicio, di cominciare a svelare rimettendo al centro del dibattito storico artistico sulla seconda metà del Quattrocento la singolare commistione di cultura astrologica, umanistica e di tecnica pittorica di questa affascinantissima Fenice tornata a brillare più luminosa che mai.


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L'autore di questo articolo: Giovanni Sassu

Storico dell'arte, conservatore dei Musei Civici di Ferrara



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