Negli ultimi quarant’anni, numerosi artisti internazionali hanno affrontato il temi della pace e della guerra nelle loro opere, spesso riflettendo sulla complessità dei conflitti contemporanei e le loro conseguenze. Alcuni esempi includono Ai Weiwei, con l’installazione Remembering, che affronta il tema dei desaparecidos, e Banksy, noto per il suo attivismo pacifista e opere come Girl with Balloon; JR rese celebre l’iconografia di una bambina, Valeriia, in Déplacé·e·s, Leopoli, Ucraina (2022), Shirin Neshat, nel suo straordinario capolavoro cinematografico Zanan-e Bedun-e Mardan/Donne senza uomini (2009) ci mostrò una denuncia sulle violenze e le condizioni di vita della donna in Iran. Messaggi potenti sono stati divulgati con le loro opere da Michael Rakowitz, Jenny Holzer, Marina Abramović, Keith Haring, Boris Mikhailov, Helen Marshal, fino all’intramontabile Pace Preventiva di Michelangelo Pistoletto.
In passato artisti come Pablo Picasso, con opere come Guernica, e Bertolt Brecht, con poesie e opere teatrali, hanno espresso il loro impegno per la pace attraverso le loro creazioni. È risaputo che due anni prima del secondo conflitto mondiale, nel 1937, si svolse in Germania la più terribile censura degli artisti. Le opere esposte alla mostra della Entartete Kunst (Arte degenerata), molte delle quali destinate alla distruzione, e parzialmente salvate e rivenute in anni recenti.
È trascorso quasi un secolo dal tragico Novecento: in questo particolare e complesso momento storico nel quale viviamo vediamo sovraesposti il Medio Oriente e l’Ucraina. Incuriosito dalla mostra mostra Diagrams a Cà Corner della Regina, e curata dallo Studio AMO/OMA, ho notato due progetti sperimentali del cartografo Philippe Rekacewicz (Francia, 1960). Di queste elaborazioni grafiche una è dedicata all’Iran, mentre l’altra alla Polonia. Trattassi di due mappe eseguite nel 2009 ed intitolate Il mondo visto da Teheran e Il mondo visto da Varsavia. Introduce l’esperienza ai conflitti bellici dell’umanità moderna la sala N7 della mostra, collocata al primo piano ospitando le ricostruzioni dell’analisi spaziale, le rappresentazioni cartografiche interattive, il telerilevamento e la modellazione in 3D, strumenti per mappare gli scenari di guerra in diverse aree del pianeta attraverso l’uso delle nuove tecnologie.
Certi paesi europei, come la Francia, per tradizione culturale tutelano le memorie storiche, adeguando e proponendo mostre d’arte contemporanea dedicate, nate da concept scientifici in grado di definire specifiche desinenze filologiche. Può essere considerato a pieno titolo un esempio di filologia concettuale il lavoro site specific svolto da Anselm Kiefer all’interno del Panthéon di Parigi, intitolato Des coquelicots et une nuée de plomb (“Papaveri e una nuvola di piombo”). Questa installazione nasce da una riflessione dell’artista sulle crudeltà inferte durante il primo conflitto mondiale e per questo Kiefer trae spunto dal memoriale del 1948 dello scrittore francese Maurice Genevoix, Ceux de 14 (“Quelli del ’14”).
Reputo sostanziale ricordare alla generazione Alpha, per una corretta partecipazione a riflessioni sociali estese curatoriali e artistiche in Italia, il modello espositivo voluto a Venezia nel 1974 da Carlo Ripa di Meana alla Biennale Internazionale d’Arte. Questo modello così rivoluzionario fu appositamente pensato per dare rilievo e voce all’America latina e al dramma geopolitico e sociale che attraversò il Cile. Tra tutti gli artisti ed intellettuali che si impegnarono in quella edizione ricordiamo la presenza di Roberto Matta.
L’artista cileno collaborò per questo progetto comunicativo, visuale e ideologico con il collettivo BRP (Brigada Ramona Parra) dal 1970 al 1972, un gruppo selezionato di muralisti che vollero apertamente manifestare per celebrare la libertà del popolo cileno nell’acronimo da loro assunto “Brigada Salvador Allende”.
Da una prospettiva fenomenologica e da una indagine intuitiva sociologica potremmo riscontrare, ai giorni nostri, l’isolamento di pensiero in un elevato numero di artisti che progettano alienando o ibernando i loro contenuti in piattaforme digitali instabili, astratte come social media (Instagram, Facebook eccetera), poiché soprattutto i giovani artisti vengono preventivamente abituati a far tutto per settori filtrati istintivi direzionati al mero mercato, un taglio decisamente contrario all’idea che l’artista possa, per autodeterminarsi tale, essere un intellettuale completo a 360º, estraneo agli schemi del possibilismo antro-internauta, in una realtà concreta e razionale nella quale dialogare analogicamente, tra arte e scienza, filosofia e storia dell’arte, poesia e composizioni di immagini, in continuum spazio-tempo “aperto”, e possa autodeterminarsi da “garante” alla relazione colloquiale che ogni essere umano ha o dovrebbe assumere con il “prossimo”, nella misura di 1 a 1, attraverso esperienze, emozioni, riflessioni nate dalla società e analizzando visivamente la cronaca.
Sono molteplici le criticità nell’arte che riscontriamo nella diffusione mediatica dei linguaggi artistici, poiché spesso la tecnica viene messa in secondo piano insieme ad una carente riflessione sulla composizione. Osservando nello specifico il mood sociale nel comportamento degli operatori visuali, seguaci inconsapevoli del muskismo: potremmo scrollare i loro post sui social media e osservare repliche varianti di “immagini annichilite” che non sono associabili a citazioni, anche se in un primo momento potrebbero apparire tali. C’è poco giudizio autocritico da parte di un gran numero di neofiti all’arte e il risultato estetico dei loro prodotti è spesso privo o carente del messaggio corrispondente.
Tuttavia, credo che si possa fare lo sforzo (anzi: abbiamo il dovere di farlo) di educare le giovani generazioni di artisti ad assumere uno sguardo consapevole su come la bussola del tempo abbia determinato l’umanità tra evoluzioni e involuzioni. Personalmente credo che l’arte non possieda, purtroppo, il potere di portare la pace nel mondo, di far finire le guerre, ma deve continuare a proporsi in dialogo anche con temi politici per sensibilizzare l’opinione pubblica. A quanto premesso, un’artista molto emblematico al quale penso è Vito Acconci, ricordandolo con la sua installazione relazionale intitolata, Instant House (1980): un’altalena a bilancia, il fruitore si siede interagendo con l’opera e si alzano le pareti, una struttura che si trasforma in una casetta con le effigi delle bandiere USA e URSS. Esattamente nove anni dopo, nel novembre 1989 venne abbattuto il Muro di Berlino, un evento epocale, ricolmo di pace e speranza (avevo sei anni). La consapevolezza del tempo, di ciò che eravamo e come siamo diventati l’insegna, prima di tutto, una scienza umana che si chiama storia.
Questo contributo è stato pubblicato originariamente sul n. 27 della nostra rivista cartacea Finestre sull’Arte on paper, erroneamente in forma ridotta. Clicca qui per abbonarti.
L'autore di questo articolo: Gabriele Romeo
Gabriele Romeo (Palermo, 1983) è critico d'arte, curatore e docente. Membro di AICA International (International Association of Art Critics), è stato eletto Presidente della sezione nazionale di AICA Italia (Associazione Internazionale dei Critici d'Arte) nell'aprile del 2021, ed è membro del Board di AICA International (Parigi). Dal novembre 2024 è docente di ruolo per la cattedra di Fenomenologia delle arti contemporanee presso l'Accademia Albertina di Belle Arti di Torino ed è componente della Scuola di Nuove Tecnologie dell'Arte e afferente alla Scuola di Comunicazione e valorizzazione del patrimonio artistico contemporaneo.Per inviare il commento devi
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