Dopo un 2024 un poco interlocutorio, con un’edizione non esattamente come quelle di qualche anno fa, ad Artissima si respira quest’anno un’aria diversa: più qualità, una fiera che non cerca di espandere all’eccesso la propria identità ma mira a confermarla, ad affinarla, a portarla a maturazione. La fiera di Torino, diretta per il quarto anno da Luigi Fassi, offre la percezione d’un organismo in movimento che è pienamente consapevole della propria storia (siamo alla trentaduesima edizione) e ha deciso d’accoglierla, di seguirla, di donarle una misura coerente. Si ha l’impressione che quest’anno Artissima non abbia avuto la necessità di voler ribadire la propria unicità: semplicemente, la esercita. Torino rimane il luogo dove la ricerca è ancora possibile, dove l’arte conserva un margine di rischio, d’apertura e di pensiero, ma dove si bada anche alla vendita e, sotto questo profilo, l’offerta è ricca, varia, articolata, adatta, forse quest’anno più che mai, a ogni tipo di visitatore. E “ogni tipo di visitatore” è da intendere nel senso più letterale del termine: c’è materiale per le disponibilità economiche di chiunque.
Non c’è spazio per gli autocompiacimenti. Il tema scelto per quest’anno (per chi guarda a queste sovrastrutture che poi, alla fine, interessano il giusto) è Manuale operativo per nave spaziale Terra, ispirato alla visione di Richard Buckminster Fuller: una riflessione collettiva sulla responsabilità, sulla sostenibilità e sul ruolo dell’arte come strumento di orientamento. Bene, ma a chi va in fiera interessa anche, e forse soprattutto, capire cos’appendersi in casa: e sotto questo profilo si registra un incremento forse anche esponenziale della gallerie che espongono i prezzi. In forma molto discreta, certo: i più prediligono il metodo del QR code da inquadrare che restituisce un PDF con le richieste. Questa crescente trasparenza è un segnale eloquente: un gesto semplice, di fiducia verso il pubblico, di rispetto per il collezionismo giovane, di adesione a una cultura del dialogo, e in generale di apertura, che ci aspettiamo raccolga sempre più proseliti in futuro.
Veniamo dunque alle proposte. Siamo a Torino, quindi cominciamo dall’Arte Povera, e naturalmente da Tucci Russo: lo stand della storica galleria piemontese è dominato da un grande Biliardo di Mario Merz (1981), tecnica mista su tela e neon, di due metri per sei (850mila euro) e da un bel lavoro di Giuseppe Penone, Pelle di marmo e spine d’acacia del 2009, un lavoro dalle due anime (una grande tela con le tipiche spine d’acacia e con inserti in vetro e una parte in marmo di Carrara, 420mila euro), che dialogano con una scultura in acciaio di Tony Cragg, Incident del 2023 (380mila euro), tra le migliori cose recenti dell’artista britannico. Arte povera anche da Biasutti&Biasutti che si presentano con una grande serie di Fibonacci di Mario Merz (siamo nell’ordine delle diverse decine di migliaia di euro), lavori di Giulio Paolini (dai 30 agli 80mila euro) e alcuni dei famosi tappeti-natura di Piero Gilardi (50-100 mila euro). Da Repetto Gallery, invece, per un lavoro di Pier Paolo Calzolari del 1943 la richiesta è di 450mila euro. E se parliamo di nomi storicizzati non può ovviamente mancare la Transavanguardia: interessanti i lavori di Enzo Cucchi allo stand di Colli, a cominciare dalla sculturina in bronzo Idolo della Quercia (25mila euro), ma notevoli anche i disegni e le opere su tela (12-24 mila euro), mentre Matteo Lampertico propone una rilevante selezione di opere di Nicola De Maria (prezzi non rivelati). Per quanto riguarda la grande fotografia, Vistamare propone due rilevanti pezzi di Mimmo Jodice, mentre da Viasaterna si può osservare una vasta selezione di lavori di Guido Guidi nella sezione Monologue (range dai 7 ai 30mila euro).
Magazzino propone un paio di lavori di Monica Bonvicini, Bitch e Wamp, spray su carta Fabriano (50 mila euro) che offrono una precisa rappresentazione della femminilità alla quale sembra rispondere, a poca distanza, lo stand di Rolando Anselmi che espone i bei dipinti su tela della polacca, classe 1981, Adéla Janská (8.500 euro i.e.) la cui opera è densa di ritratti di donne simili a bambole che si fanno simbolo di una femminilità intrigante e irraggiungibile. E sempre a proposito di arte al femminile, spicca tra i migliori stand quello di Studio Trisorio dove si possono vedere due piccoli lavori di Louise Bourgeois, un Self portrait del 2007 su carta (150mila euro t.e.), uno Small Eye del 1997, piccola scultura in alluminio lucidato e piombo alta 12 centimetri (52mila euro t.e.), oltre a due pezzi importanti di Jenny Holzer, ovvero Fuzzy del 2016 (215.300 euro t.e.) e la panca in marmo Dormo del 2019 con citazione della poetessa Patrizia Cavalli (“Mi scorge amore mi scorse quando dormo / Per questo io dormo”, 366mila euro t.e.). Da vedere anche le piccole sculture di Christiane Löhr: deliziosa la Small Dome, piccola cupola, fatta con le spighe di una graminacea, quella che in certe zone d’Italia sono i “forasacchi” (16.275 euro).
Com’era lecito attendersi, sono molto presenti gli artisti convocati per l’edizione 2025 della Quadriennale di Roma. Da SpazioA una tela recente di Luca Bertolo, The Tormentors 2, è in vendita a 9mila euro, e sempre per rimanere sui nomi di attualità, allo stand della galleria pistoiese è in vendita anche una scultura di Chiara Camoni, appena scelta come artista per il Padiglione Italia alla Biennale 2026: per la sua Odalisca, gres smaltato con cenere vegetale, terra, sabbia e minerali la richiesta è di 14mila euro. Richard Saltoun propone invece una ricca selezione di nuovi dipinti di Bea Scaccia, tra le artiste più interessanti in mostra alla Quadriennale: i prezzi vanno dai 1.800 ai 17mila euro. E ancora, Monitor ha in vendita pitture recenti di Matteo Fato, con prezzi che si aggirano attorno ai 6-7mila euro. Nella sezione Dialogue ecco invece le sculture di Lulù Nuti esposte da ADA (4,5-7mila euro) in dialogo coi dipinti della polacca Alicja Pakosz (1,5-6mila euro). Da Repetto Gallery si possono invece vedere due lavori di Arcangelo Sassolino, tutti e due che rinnovano la sfida dell’artista veneto alla resistenza della materia: Sospensione della scelta è un masso appoggiato a un bicchiere di vetro mentre Piegare il tempo è una lastra di vetro curvata e tenuta da una cinghia (30mila e 35mila euro). Sono entrambe opere del 2022: per vedere un lavoro di quest’anno, un senza titolo, di Sassolino occorre spostarsi allo stand di Galleria Continua (75 mila euro).
Interessanti da Galleria Continua, anche i lavori di Alicja Kwade, uno dei nomi importanti dell’arte europea: anche per la sua Adoption of specific properties il prezzo è di 75mila euro (i.e.). Per quanto riguarda gli artisti stranieri, interessante lo stand di Deborah Schamoni nella sezione Dialogue che propone una piccola mostra in cui sono messi a confronto i lavori di Judith Hopf con quelli di Nicole Wermers, entrambe artiste cresciute nella Germania dell’ovest degli anni Settanta, entrambe interessate a esaminare il linguaggio visivo della vita quotidiana, le strutture degli spazi urbani, i loro design, i meccanismi dell’organizzazione sociale: da qui discenda un vocabolario visuale che cerca di portare l’inquietante nel quotidiano. Ecco allora la sistola di Nicole Wermers che diventa una lunga coda da srotolare a piacimento (Domestic Tail, 2025) e lo pneumatico di cemento di Judith Hopf (niente di particolarmente originale, ma comunque coerente), i prezzi vanno dai 15 ai 30mila euro. Mor Charpentier porta ad Artissima una nuova serie della colombiana Nohemí Pérez che mescola i paesaggi naïf di Henri Rousseau con i paesaggi reali dell’Amazzonia devastati dalla deforestazione: ne è un esempio la tela El tigre de Rosseau del 2025 (range di 30-40 mila euro). E sempre parlando d’arte che guarda all’attualità, Layr propone alcuni lavori del 1985 dell’avanguardista slovacco Stano Filko (1937-2015) dedicati alla piaga dell’AIDS: i suoi AIDS Painting sono venduti a 18.000 euro (i.e.). Chi invece voglia portarsi a casa un pezzo d’Africa senza grossi esborsi trarrà grosso giovamento da una visita allo stand di First Floor Gallery, galleria di Harare, Zimbabwe: i Sanative Pains di Anne Zanele Mutema sono in vendita a 2.250 euro, mentre le miniature di Troy Makaza, che debuttano proprio a Torino, hanno prezzi che partono da 600 euro e arrivano a poco più di 1.000. Di grande impatto, nella sezione Monologue, i disegni a matita arancione del portoghese Pedro A.H. Paixão, portati ad Artissima da Galeria 111, in vendita a 9.000 euro. Non c’è invece molto da segnalare nella sezione delle New Entries, forse una delle più scarse delle ultime edizioni di Artissima: l’unica artista che è sembrata convincente è la lettone, classe 1996, Agate Tuna esposta allo stand di Asni, che propone una serie di dipinti e tecniche miste intitolata Voltentity, una sorta di diario visuale di sensazioni da lei definite “visibili e invisibili” che tracciano le capacità dell’energia, della memoria e dell’identità di trasformare gli elementi sotto l’influenza della tecnologia (prezzi tra i 2 e i 3mila euro).
Tra i nomi italiani più noti, Studio Sales propone, per esempio, uno dei tipici “pongo” di Stefano Arienti che esplorano i grandi capolavori dell’arte impressionista con la plastilina che usavamo da bambini, in questo caso il celeberrimo ritratto di Berthe Morisot dipinto da Édouard Manet (18mila euro i.e.), e alcuni nuovi dipinti di Romina Bassu che si portano a casa con 2.800 euro (i.e.). E ancora, Cardelli&Fontana propone alcuni lavori di uno dei più interessanti giovani artisti italiani, Marco Salvetti, con prezzi che vanno dai 1.700 ai 2.600 euro, oltre a un paio di interessanti lavori di Fabrizio Prevedello, uno dei quali reintegra una scultura del 2000 (Biografia416, 8mila euro), e ai nuovi paesaggi di Mirko Baricchi (8.800 euro). Lo stand di Francesca Antonini propone alcuni bei dipinti di Alice Faloretti (dai 2 ai 12.000 euro), mentre da 1/9unosunove si può invece vedere un’enorme tela di Pietro Moretti, una delle opere più grandi di questa edizione di Artissima, due metri per quattro e mezzo (26.000 euro i.e.), assieme a opere più piccole, paesaggi su carta, vendute a 1.250 euro (i.e.). Sempre allo stesso stand, il revival surrealista ci porta le opere di Tura Oliveira, acquerelli su carta che tratteggiano paesaggi onirici (2.000 euro i.e.). Allo stand di Materia, Marta Mancini presenta una serie di dipinti di piccole dimensioni di nuova concezione che segnano un capitolo fondamentale nella sua ricerca pittorica e che incarnano il desiderio di riconfigurare i principi del suo approccio, aprendo nuovi registri visivi ed emotivi (vari prezzi dai 1.000 ai 3.000 euro).
Chiudiamo con le cose più interessanti dalle sezioni curate. Spiccano i ruvidi lavori del collettivo sloveno IRWIN, uno dei nomi di punta della NSK, movimento d’avanguardia sloveno degli anni Ottanta ancora poco noto in Italia ma che fu tra le sperimentazioni più importanti dell’Europa di quel tempo: i lavori portati da Gregor Podnar nella sezione Back to the future vanno dai 5 agli 82mila euro. E sempre nella stessa sezione, Gian Marco Casini riscopre un importante livornese dimenticato, Renato Spagnoli: impressionano i lavori nello stand con prezzi che vanno dai 2.800 euro per le opere più piccole fino ai 40.000 dell’opera più grande, Rapporto 4 del 1978. Per la sezione Present future da vedere i lavori del portoghese, classe 1992, João Gabriel (13mila euro), marcati da un forte erotismo, allo stand di Lehmann, e quelli del duo Mountaincutters allo stand di Meessen: materiali degradati, oggetti sporchi, polvere e ruggine che invadono le superfici (8.500 euro). Quanto invece alla sezione Disegni, spiccano i lavori della francese Orianne Castel alla galleria Analix Forever che omaggia le strutture architettoniche dei grandi della storia dell’arte antica, da Giotto al Beato Angelico, da Lippo Memmi ad Altichiero di Zevio (ma si spazia fino a Morandi), con prezzi che vanno dai 1.300 euro per il disegno singolo a 22mila per la serie da 20, e i deliziosi acquerelli di Karine Rougier allo stand di Les Filles du Calvaire (dai 2.500 ai 4.500 euro).
Artissima 2025 si chiude dunque con l’impressione netta di una fiera che ha raggiunto una nuova consapevolezza di sé. Dopo stagioni oscillanti, fra la ricerca di un’identità in trasformazione e la necessità di riaffermare la propria centralità nel panorama internazionale, la fiera torinese sembra aver trovato un punto d’equilibrio raro: un equilibrio tra spinta ideale e concretezza, tra tensione intellettuale e pragmatismo di mercato.
Ciò che colpisce, in questa edizione, è la misura. Una misura che non significa prudenza, ma consapevolezza. Quest’anno Artissima sembrerebbe aver scelto di parlare un linguaggio chiaro, rispettoso, aperto. La crescente trasparenza nei prezzi, la pluralità di proposte che riescono a convivere senza gerarchie né prevaricazioni, sono segnali di una maturazione culturale e di un cambio di passo. Si tratta, alla fine, di costruire fiducia.
Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
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