Ho chiesto all’intelligenza artificiale come funziona il riciclaggio di denaro riferito al mercato dell’arte moderna e contemporanea. In altre parole, come può succedere che il denaro derivante da traffici illeciti di droga, armi o altro, o proveniente dalla malavita, possa essere “lavato” e reso perfettamente legale tramite il mercato dell’arte moderna e contemporanea. L’intelligenza artificiale mi ha risposto che questo mercato si presta particolarmente bene per il riciclaggio di denaro, essenzialmente per questi fattori: valutazione delle opere soggettive e soggette a rialzi totalmente manipolabili, mancanza di trasparenza, mobilità internazionale e uso limitato di controlli finanziari.
In particolare il valore dell’opera, come qualcosa che indica il suo prezzo, può essere sovrastimato per giustificare il trasferimento di grandi somme e sottostimato per far sembrare un acquisto legittimo. Una volta acquistata, l’opera può essere rivenduta a un prezzo artificiosamente elevato. In una performance che realizzo dal 2019 viene dimostrato come in una semplice pallina di carta possiamo “vedere” 100 anni di storia dell’arte, e allo stesso tempo come il sistema dell’arte possa stampare moneta e rendere quel foglio di carta come una banconota da 60.000 euro in modo del tutto legittimo. Io posso trasferire l’opera da una paese A ad una paese B senza subire controlli e dazi doganali, posso ricevere grandi somme di denaro in modo perfettamente lecito e se dono la pallina ad un museo posso ottenere facilmente sgravi fiscali.
Ho voluto poi chiedere all’intelligenza artificiale, in modo più preciso, come funziona il sistema di riciclaggio nell’arte. Questa ricerca è molto importante perché se il sistema di speculazione e di riciclaggio prende il sopravvento si può ben capire perché, come sta avvenendo da almeno 20-25 anni, il valore artistico dell’opera sia totalmente inutile e ininfluente. Nel 2016, un’inchiesta internazionale (Panama Papers e Swiss Leaks) ha fatto emergere l’uso del freeport (porto franco) di Ginevra, un deposito fiscale esentasse, come hub per nascondere opere d’arte e riciclare denaro. Un collezionista acquistava opere d’arte tramite società offshore con soldi sporchi provenienti dalla malavita e da traffici illeciti. Le opere, alcune di valore milionario, venivano immagazzinate nel freeport evitando di dichiararle ai fini fiscali e restando fuori dai radar delle autorità. A questo punto l’opera veniva rivenduta ad una società “pulita”, generando liquidità legale. Il denaro sporco era così lavato attraverso la rivendita dell’opera. L’arte viene così usata come bene di facile occultamento, con valore mobile e difficilmente tracciabile, perfetto per il riciclaggio.
Ancora meglio, come per la mia pallina di carta (primavera 2019), se le opere sono rappresentate solo da un certificato di autenticità che può passare liberamente le frontiere e non deve nemmeno essere immagazzinato in un freeport. Pensate quale cortocircuito concettuale se le opere oggetto e protagoniste di questo riciclaggio di denaro, che sono di fatto complici dei peggiori criminali al mondo, affrontano, come accade negli ultimi anni, i temi nobili del de-colonalismo, del post-specisimo, del femminismo e della fluidità di genere. Forse allora non ci deve sorprendere se queste opere vengono presentate con successo in mostre, fiere e biennali, anche se affrontano questi temi in modo prevedibile, semplicistico, banale e spesso “speculativo” rispetto all’importanza degli stessi temi trattati.
Nel mondo dell’arte italiano e internazionale nessuno sembra affrontare seriamente questi temi, come fossero un tabù indicibile, capace di far crollare tutto il sistema, quando invece sarebbe un modo per risanare un sistema di valori e di mercato che sta andando silenziosamente alla deriva.