Parlare in Italia di beni culturali e tutela: è roba per vecchi?


Parlare di beni culturali e tutela in Italia è materia per vecchi? Riflessioni a margine di un articolo di Vittorio Emiliani.

In un intervento apparso il 30 novembre su Articolo 21, Vittorio Emiliani ha tratteggiato quello che, a suo sentire, parrebbe essere un desolante panorama dell’informazione sui beni culturali reperibile al giorno d’oggi sui media: si sarebbe, in altre parole, ridotta a uno sparuto insieme di voci flebili e sommesse, quando non “ridotte al silenzio” (come recita il titolo del pezzo firmato dall’esperto giornalista) a causa del loro disallineamento rispetto alla politica dell’attuale governo. Proposta al lettore tale constatazione, Emiliani seguita nel suo articolo con un lungo elenco, ammantato d’una malcelata vena nostalgica, del già scarso novero di giornalisti e specialisti che “si occupavano della materia sostenendo le ragioni della tutela” in tempi forse più felici, con l’aggiunta dei pochi avventurosi che continuano a occuparsene adesso. Un elenco costituito da giornalisti e specialisti in buon numero non più tra noi. E i restanti, tolto Tomaso Montanari, hanno tutti superato il mezzo secolo d’età.

Dunque, scorrendo riga per riga l’articolo di Vittorio Emiliani, non può che scaturire un dubbio: in Italia, la tutela dei beni culturali è davvero diventata materia in grado d’esser affrontata solo da specialisti attempati o tuttalpiù, eliminate alcune eccezioni, prossimi alla senescenza, oppure l’elenco proposto nell’intervento non è sufficientemente esaustivo? Per risolvere il dilemma, occorre ragionare sul fatto che i motivi dello scarso interesse per i media nei confronti di tutti gli argomenti che riguardano la tutela hanno origini piuttosto complesse, e credo che gli illustri specialisti che da decenni s’occupano (e continuano a occuparsi) del tema non siano del tutto esenti da colpe. O almeno, questa sensazione sorge in me più vivida che mai durante tutte le volte in cui mi capita di partecipare a un incontro o a una conferenza sul tema della tutela: trovare un mio coetaneo diventa spesso impresa ai limiti del possibile.

Anziani al museo

Le logiche della comunicazione hanno conosciuto dei radicali cambiamenti negli ultimi anni: è ormai giunta al termine l’epoca in cui, per informarci, ci limitavano a sfogliare uno dei principali quotidiani a larga tiratura, oppure accendevamo la televisione sulle poche reti a copertura nazionale. L’informazione, nella società contemporanea, viaggia su un numero molteplice di livelli ed è fruibile su diversi canali. Alla televisione, alla radio e ai quotidiani si è aggiunta la rete, ma sarebbe ancora riduttivo limitarsi a contare i meri mezzi di diffusione: è infatti aumentata l’offerta televisiva, che si è ampliata da alcuni anni con canali tematici accessibili adesso anche a chi non è dotato di televisione satellitare, e ai siti web di prima generazione (quelli che, in sostanza, ricalcavano il modo di comunicare tipico dei giornali, replicando la distanza e la poca comunicabilità tra chi scrive e chi legge) sono nati blog, social network, forum, community. E come se non bastasse, la sempre maggior facilità con cui è possibile produrre contenuti digitali ha portato alla creazione di un numero vastissimo di canali attraverso cui un lettore può informarsi. Di conseguenza, il lettore del 2015 tende a essere un lettore che ha sempre meno tempo per leggere, deve filtrare un numero sempre maggiore di contenuti, e soprattutto non è più un attore passivo della comunicazione. Chi legge un articolo ha, a propria disposizione, una vasta serie di strumenti che gli consentono di esprimere il suo pensiero e spesso di entrare in contatto diretto con l’autore: possibilità che, fino a qualche anno fa, non erano neppure immaginabili.

Di conseguenza, la fascia dei lettori più propensa al cambiamento si è spostata verso i nuovi mezzi di comunicazione. Le ultime rilevazioni Audipress dimostrano come, negli ultimi tre mesi, su circa quaranta milioni di italiani che hanno letto almeno una volta un quotidiano cartaceo, solo dieci milioni appartengano alle fasce d’età inferiori ai 35 anni: vale a dire il 25% del totale. Non abbiamo dati precisi relativi ai lettori interessati ai beni culturali (e alla storia dell’arte in generale), ma posso fornire come esempio il dato anagrafico dei lettori del nostro sito web, Finestre sull’Arte: su un campione di poco più di 32.000 visitatori entrati nel sito web dal 1° al 30 novembre (ovvero circa la metà del totale), quasi 13.000 avevano meno di 35 anni. Si tratta di una percentuale superiore al 40%. E i numeri sono simili sulla nostra pagina Facebook: in tal caso abbiamo a disposizione dati assoluti, che ci parlano di un 35% di pubblico sotto i 35 anni. Pur essendo vero che Finestre sull’Arte non ha mai adottato particolari strategie per attirare un pubblico di giovani e giovanissimi, è altrettanto vero che una non trascurabile parte del pubblico interessato ai temi della tutela s’informa attraverso mezzi non tradizionali: l’elenco fornito da Vittorio Emiliani è, pertanto, necessariamente incompleto. Chi vuol parlare a un pubblico più ampio non può più limitarsi ai lettori dei giornali o ai telespettatori di trasmissioni culturali, o anche ai siti web che favoriscono un approccio top-down, come quasi tutti quelli citati da Vittorio Emiliani nel suo articolo: è necessario immergersi più a fondo, confrontarsi con chi comunica attraverso il web di seconda generazione, capire il pubblico. Chi affronta la complessa materia della tutela dei beni culturali deve, in sostanza, comprendere che non è più possibile aspettare che il pubblico arrivi di sua spontanea volontà: dobbiamo essere noi a cambiare prospettiva e a crearci il nostro pubblico.

Mi pare inoltre molto forte, e forse anche esagerato, asserire che “chi non si allinea al governo viene ridotto al silenzio”. È ormai notorio il fatto che, come in molti rilevano (a cominciare da Tomaso Montanari nel suo A cosa serve Michelangelo?), i giornali si sono ridotti a informare in fatto di storia dell’arte e di beni culturali quasi esclusivamente in occasione di eventi di cui poter parlare con toni sensazionalistici (per esempio, altisonanti attribuzioni e sensazionali scoperte che si rivelano poi clamorose bufale) oppure per promuovere larvate réclame di mostre dettate per la più parte da logiche commerciali invece che da logiche culturali. Ma chi ha a cuore gli interessi della tutela ha a propria disposizione altri canali di comunicazione, capaci di instaurare un dialogo altrettanto proficuo con il pubblico: l’errore più marchiano che si possa fare al giorno d’oggi è quello di continuare a trincerarsi all’interno del proprio gruppo, rivolgendosi sempre alle stesse persone. Certo: ci sarà qualcuno che magari trarrà conforto dall’errata e narcisistica convinzione d’appartenere a un esiguo drappello di ultimi depositari, rari e stoici, della conoscenza su determinati argomenti. Tuttavia, occorre informare chi si crogiola in tale convinzione che la chiusura all’esterno, la scarsa propensione al confronto, l’incapacità di aggiornarsi e di guardare al di là della propria ristretta cerchia, giocano contro gli interessi della tutela.

Non credo, in sostanza, al fatto che i beni culturali siano materia per vecchi, né sono propenso a ritenere che chi non si adegua a certe linee si trovi costretto all’impossibilità di far conoscere il proprio pensiero. Credo sia invece necessario cambiare paradigma: si può cominciare pensando di costruire una comunità che non abbia timore del confronto con colleghi più giovani o che non consideri disonorevole aprirsi a nuovi canali di comunicazione. Una comunità più forte, più nutrita, più aggiornata e più volenterosa sarà in grado di crearsi un pubblico più grande e più diversificato di quello attuale: se ci mancherà la voglia (o l’interesse) di cambiare e di aprirci, saremo ancora per molto tempo costretti a rimpiangere il passato e a coricarci sull’idea secondo la quale l’unica alternativa al confronto e all’aggiornamento è il silenzio.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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