Il ritorno del superfluo: le pessime iniziative della Settimana michelangiolesca di Firenze


Ancora celebrazioni con la 'Settimana michelangiolesca' di Firenze: questa volta il pretesto sono le esequie di Michelangelo, e le iniziative sono... tutt'altro che di qualità.

Da qualche tempo vige in Italia la funesta usanza di celebrare le ricorrenze che riguardano celebri artisti (nascite, morti, realizzazioni di opere d’arte famose e quant’altro) con le trovate più atroci, che nell’intento di chi le organizza dovrebbero omaggiare l’illustre dedicatario, ma che poi nella realtà si rivelano per quello che sono, ovvero imbarazzanti cafonate che probabilmente getterebbero l’artista, se ancora vivo, nel più cupo sconforto. E fa specie il fatto che la città identificata dai più come la patria del bello, vale a dire Firenze, sia quella che forse più di ogni altra vede il fiorire di eventi ben lontani dai concetto di eleganza e di qualità.

Giusto a titolo di esempio, ci vuole del coraggio per guardare in modo positivo alla mostra su Michelangelo e Pollock organizzata lo scorso anno a Palazzo Vecchio (parliamo, ovviamente, di Firenze) in occasione dei 450 anni della scomparsa di Michelangelo Buonarroti. Il tutto mentre il Crocifisso di Santo Spirito, uno dei massimi capolavori michelangioleschi, prendeva la via di Roma per essere esposto in una mostra non proprio esaltante. E, sempre per rimanere in Toscana, come non provare un moto di disgusto pensando alla farsa delle ossa di Caravaggio ideata per i quattrocento anni dalla morte del pittore lombardo? E forse è il caso di fermarsi qui. Ma le leve del marketing celebrativo sono tornate in questi giorni a prendere di mira il povero Michelangelo, contro cui parrebbe essere in atto un certo accanimento commerciale. Ecco quindi che il Comune di Firenze, in collaborazione con il Mercato Centrale, ha ideato quest’anno la "Settimana michelangiolesca": una settimana di eventi dal 14 al 19 luglio per ricordare, per l’ennesima volta, la scomparsa di Michelangelo, nella ricorrenza delle esequie solenni dell’artista avvenute il 14 luglio del 1564. A cura di Sergio Risaliti: sì, lo stesso a cui era stata affidata la mostra su Michelangelo e Pollock.

Ora, possiamo passare sopra al fatto che, pur di sfruttare fino all’ultima briciola il nome di Michelangelo (il che dimostra peraltro una scarsissima inventiva da parte dell’amministrazione di Dario Nardella) si prendono come pretesto addirittura le esequie dell’artista. E possiamo anche passare sopra al fatto che tra gli eventi clou della “Settimana michelangiolesca” figura l’esposizione del David tatuato in stile Jersey Shore (ma con meno gusto) di Luciano Massari, che noi a Carrara abbiamo già dovuto subire in occasione della Marble Weeks del 2013: il dato positivo è che qua al mare ce ne siamo liberati, quindi ora è giusto che il David tamarro ve lo godiate un po’ voi, care amiche e cari amici fiorentini. Così, magari, proverete a spiegarci il senso di quest’opera, perché qui dopo due anni non l’abbiamo ancora trovato.

Il David tatuato quando è stato esposto a Carrara
Il David tatuato quando è stato esposto a Carrara.

Quello che però è intollerabile, è il tentativo di fare i rewind della storia dell’arte a piacimento, per piegare la materia ai fini della manifestazione: ieri infatti, in piazza della Signoria, è stato piazzato un enorme blocco di marmo (“delle stesse dimensioni di quello estratto dalle montagne di Carrara nel XV secolo”, assicura il Comune di Firenze) in cui si distingue il braccio destro, già finito, del David. Ora, noi di Finestre sull’Arte da tempo diciamo che, per rendere più saldo il rapporto tra gli italiani e il loro patrimonio storico-artistico, occorrono più educazione, più qualità, più cultura. Iniziative come quella del blocco di marmo si scontrano frontalmente con questi concetti. In questo caso, almeno per tre motivi.

La posa del blocco di marmo in piazza della Signoria
La posa del blocco di marmo in piazza della Signoria. Foto di firenzepost rilasciata con licenza Creative Commons.

Intanto, presentare al pubblico un blocco di marmo con il braccio già finito, è completamente fuorviante: Michelangelo non lavorò direttamente sul blocco, ma su una scultura già abbozzata da Agostino di Duccio prima (nel 1464) e da Antonio Rossellino poi (nel 1476). I due artisti ricevettero ben prima di Michelangelo l’incarico di ricavare un colossale David dal blocco, ma si arresero di fronte alle difficoltà che il lavoro su una figura di così grandi dimensioni comportava. Michelangelo si trovò dunque a lavorare su una figura che ricordava già quella di un uomo. Anche perché, onde facilitare il trasporto da Carrara a Firenze, Agostino di Duccio, con ogni probabilità, aveva già grossolanamente scolpito una prima sagoma umana. Michelangelo fu quindi chiamato “ad faciendum et perficiendum et perfecte finiendum quendam hominem, vocatum gigante, abozatum, brachiorum nove ex marmore [...] olim abozatum per magistrum Augustinum”, ovvero “a creare, eseguire e a terminare completamente l’uomo, chiamato gigante, abbozzato, alto nove braccia, in marmo, un tempo abbozzato dal maestro Agostino (di Duccio, nda)”, come recita il contratto di allogazione tra l’artista, i consoli dell’Arte della Lana (che finanziarono l’impresa) e gli Operai del Duomo di Santa Maria del Fiore (la destinazione della scultura) siglato il 16 agosto del 1501. Il documento ci rende anche edotti circa il fatto che i fiorentini dell’epoca chiamavano “Gigante” la scultura che da decenni rimaneva incompiuta nel cantiere del Duomo: questo ci dà idea del fatto che dovesse già avere sembianze umane. E che nome hanno pensato di dare i creativi della “Settimana michelangiolesca” al blocco di marmo di piazza della Signoria? “Gigante”, in uno scontato slancio di originalità.

Il secondo motivo: abbiamo a lungo parlato, su questo sito, dei gravi problemi ambientali di Carrara, derivanti perlopiù dall’attività estrattiva delle cave di marmo, condotta a ritmi sempre più insostenibili. Questo blocco, che di sicuro avrebbe fatto più bella figura ancora attaccato ai monti dai quali è stato cavato, non è che un ulteriore simbolo del disfacimento delle Alpi Apuane: dentro a quel blocco, noi non ci vediamo il braccio del David. Ci vediamo il profilo delle nostre montagne che si abbassa di qualche centimetro giorno dopo giorno. Ci vediamo i cavatori che spesso sacrificano la loro vita a causa della brama di guadagno altrui. Ci vediamo i nostri corsi d’acqua e la nostra aria prede dell’inquinamento. E ci vediamo, appunto, un’attività che ha ritorni quasi nulli sulla città di Carrara, che è tra le più povere del nord Italia. Effetti che fanno ancor più male se pensiamo che questo blocco è stato destinato a un uso effimero, e che non ha niente a che vedere con l’arte di Michelangelo, di cui non riesce neppure a spiegare l’idea di fondo.

Sì, perché il terzo motivo è legato proprio alla concezione dell’arte secondo Michelangelo. Scrivendo all’uomo di lettere Benedetto Varchi, Michelangelo diceva che “intendo scultura quella che si fa per forza di levare”, riprendendo l’idea di Leon Battista Alberti secondo cui gli scultori sono quelli che lavorano “solo con il levar via, come che togliendo via quel che in detta materia è di superfluo, scolpiscono, et fanno apparir nel marmo una forma o figura di huomo, la quale vi era prima nascosa, et in potentia”. Per Michelangelo, quindi, scolpire significa eliminare il superfluo. Ci voleva l’amministrazione comunale della Firenze del 2015 per far tornare in città quel superfluo che invece Michelangelo toglieva. Non poteva esserci metafora più adatta per definire questa iniziativa: il ritorno del superfluo. Chissà cosa penserebbe Michelangelo se vedesse una cosa del genere.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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