Dante a Forlì, una mostra che è come un'enciclopedia su Dante nella storia dell'arte


Recensione della mostra “Dante. La visione dell'arte”, a Forlì, Musei San Domenico, fino all'11 luglio 2021.

C’è un momento piuttosto preciso, nel corso della storia, in cui è possibile individuare i prodromi della costruzione dell’odierno mito di Dante. Il culto dantesco, in altri termini, ha un luogo e una data di nascita, ovvero l’Inghilterra della fine del Settecento, e un padre sicuramente inconsapevole, Joshua Reynolds, ma che fu tuttavia capace di recuperare per la prima volta i temi della Commedia senza tener conto delle implicazioni religiose, teologiche e morali del poema, preoccupandosi più di restituire la potenza visionaria dell’immaginario dantesco. A ravvivare l’interesse per Dante oltremanica era stato un rilievo di Pierino da Vinci (all’epoca si pensava fosse di Michelangelo) ch’era stato portato in Inghilterra verso il 1715 dal pittore Henry Trench, e che aveva catturato l’attenzione degli ambienti culturali inglesi attorno alla vicenda del conte Ugolino della Gherardesca: e non a caso, era dedicato a Ugolino il dipinto che Reynolds aveva presentato nel 1773 alla Royal Academy of Fine Arts. Per la dantista Lucia Battaglia Ricci, quel 1773 rappresentò un fondamentale punto di svolta nella storia della fortuna iconografica dantesca. I capitoli successivi, del resto, sono ben noti: gli esordî del Romanticismo con Füssli e Blake che riportano in auge i temi della Commedia garantendo al poema il suo successo tra gli artisti dell’epoca, le interpretazioni dei preraffaelliti, le letture risorgimentali dell’opera di Dante considerato come uno dei padri della nazione, e via dicendo.

Più che una mostra su Dante in sé, la rassegna che i Musei San Domenico di Forlì dedicano al Sommo Poeta, ovvero l’immensa Dante. La visione dell’arte (un famelico monstre da circa trecento opere e da visitare con tutta calma), è una mostra che racconta la storia della fortuna di Dante nei secoli: l’evento forlivese interviene pertanto su di un argomento sconfinato, dal quale è pressoché impossibile attendersi una mostra completa, ma non è questa la chiave con cui l’esposizione dev’esser valutata. Dante. La visione dell’arte è un grande quadro d’insieme che punta a offrire al pubblico un percorso che punta su divulgazione e allestimenti spettacolari al fine di ricostruire, per sommi capi, la genesi del culto di Dante, con un’introduzione suddivisa in due momenti (una sul Giudizio Universale, inteso come la categoria teologica senza la quale è impossibile comprendere la Divina Commedia, e una sulle illustrazioni antiche del poema, orientativamente dal Trecento al Cinquecento), e una narrazione divisa in due parti, corrispondenti ai due piani dell’ex convento domenicano: la prima è centrata sulla figura di Dante, la seconda sui modi nei quali gli artisti di tutte le epoche hanno letto le tre cantiche della Commedia sulla base della loro sensibilità. Si distacca, poco prima della metà del percorso, un’intera sezione dedicata alle edizioni a stampa tra Settecento e Novecento, una vera mostra nella mostra che rappresenta la sezione meglio riuscita e più originale: un affondo che, per intelligenza espositiva, carattere organico della proposta e qualità degli oggetti esposti, da solo vale la visita.

Forlì, com’è noto, è città dantesca: in esilio da Firenze, Dante si fermò nel 1302 nel centro romagnolo che aveva dato buona accoglienza ai fuoriusciti guelfi, e fu ospite di Scarpetta Ordelaffi, signore ghibellino della città (un’iscrizione sulla facciata di Palazzo Albicini, sorto su un luogo dove un tempo sorgeva la residenza degli Ordelaffi, ricorda il soggiorno di Dante a Forlì). Dante, nel 1303, s’appoggiò a Scarpetta per organizzare un tentativo di rientro a Firenze, poi fallito per mano dei nemici degli Ordelaffi: Dante tuttavia sarebbe tornato in seguito altre volte a Forlì. È una storia che viene marginalmente lambita dalla mostra nella sezione dedicata al Dante civile, con un dipinto di Pompeo Randi intitolato Dante cerca di persuadere Scarpetta Ordelaffi a muovere contro Firenze, proveniente da una collezione privata forlivese: una concessione dovuta alla città che ospita la mostra (e comunque ben inserita nel contesto dell’itinerario espositivo), e che all’infuori di questo dipinto non approfondisce altrimenti il rapporto di Dante con Forlì: comprensibile, del resto, in una rassegna che offre poco spazio all’arte contemporanea o di poco successiva a Dante, oltre che alle vicende personali del Sommo Poeta.

Sala della mostra Dante. La visione dell'arte
Sala della mostra Dante. La visione dell’arte


Sala della mostra Dante. La visione dell'arte
Sala della mostra Dante. La visione dell’arte


Sala della mostra Dante. La visione dell'arte
Sala della mostra Dante. La visione dell’arte


Sala della mostra Dante. La visione dell'arte
Sala della mostra Dante. La visione dell’arte


Pompeo Randi, Dante cerca di persuadere Scarpetta Ordelaffi a muovere contro Firenze (1854; olio su tela, 140 x 176 cm; Forlì, collezione privata)
Pompeo Randi, Dante cerca di persuadere Scarpetta Ordelaffi a muovere contro Firenze (1854; olio su tela, 140 x 176 cm; Forlì, collezione privata)

L’arte del tempo di Dante è concentrata per lo più nella prima sala, Il Giudizio e la Gloria, nella quale s’alternano immagini del Giudizio finale dal Duecento fino al Seicento inoltrato. Senza il concetto del Giudizio finale, scrive in catalogo Gianfranco Brunelli (uno dei quattro curatori della mostra, assieme a Fernando Mazzocca, Antonio Paolucci e Eike D. Schmidt), “l’intero poema non può operare, perché senza questo momento definitivo non ci sarà l’eterna salvezza che Dante-personaggio cerca sin dall’inizio del suo viaggio nell’aldilà e che Dante-narratore deve raccontare”. Un nucleo di opere, ristretto ma estremamente significativo, e preceduto da un maestoso Crocifisso d’uno scultore centro-settentrionale proveniente dalla collegiata di Santa Maria Annunziata a Poggio Mirteto, ha il compito d’introdurre il visitatore alla teologia dantesca: ecco dunque il Giudizio finale di Guido da Siena, fulgido esempio d’un’iconografia che Dante di sicuro avrà tenuto a mente per alcune delle immagini più vivide della sua Commedia (qui, un Cristo in trono, seduto sulla sommità della croce e affiancato da quattro angeli che fanno riecheggiare “il suon de l’angelica tromba” quando “ciascun ripiglierà sua carne e sua figura” e “udirà quel ch’in etterno rimbomba”, è colto nell’atto d’allargare le mani per separare gli eletti dai dannati, coi primi guidati verso il cielo da san Pietro e gli altri che invece stanno per esser scagliati tra i diavoli dell’inferno), ecco il Polittico Baroncelli che s’annovera tra i grandi capolavori di Giotto per rievocare i versi dell’XI canto del Purgatorio in cui il grande artista fiorentino è messo a paragone con Cimabue (“Credette Cimabue nella pittura tener lo campo... ”), ecco anche un’Allegoria della Redenzione, del 1338 circa, di Ambrogio Lorenzetti, funzionale a toccare il tema della salvezza, qui mediato attraverso la Lettera ai Romani di san Paolo di cui la tavola è una sorta di traduzione per immagini, fino ad arrivare a un capolavoro del primo Rinascimento, il Giudizio finale del Beato Angelico che mescola con sapienza spunti danteschi (il Lucifero con le tre bocche, per esempio) ad autori del Cristianesimo delle origini (la danza degli angeli, per esempio, che rimanda a Boezio, uno dei fondatori della Scolastica, ben noto a Dante). Non può mancare l’omaggio a Michelangelo, che può esser visto come una sorta di trait d’union tra l’introibo della mostra forlivese, legato all’arte del tempo di Dante e agli artisti che si cimentarono col tema del Giudizio finale, e le sezioni successive: la traduzione a olio su tela di Marcello Venusti del Giudizio della Cappella Sistina rammenta il fondamentale ruolo che l’artista di Caprese ebbe nel fornire un corrispettivo per figure dell’immaginario dantesco (“dopo l’esempio di Reynolds”, scrive Mazzocca in catalogo, “il modello privilegiato per rendere la terribile grandezza del mondo dantesco continuerà a essere identificato nella pittura di Michelangelo considerata come corrispettivo figurativo della Commedia”).

È forte la presenza degli Uffizi (che da soli hanno prestato circa un sesto delle opere presenti) nella sezione successiva, dedicata alle prime illustrazioni della Commedia: dopo la sequenza di manoscritti trecenteschi, che attestano la prima fortuna del poema dantesco a Firenze e dintorni (tema su cui è centrata gran parte della mostra su Dante al Museo del Bargello) e nella quale son sicuramente da segnalare i due manoscritti della Biblioteca Medicea Laurenziana, quello attribuito a Pacino da Buonaguida e quello di Niccolò di ser Sozzo (rispettivamente realizzati nel 1335 e prima del 1362), il pubblico ha la possibilità di trattenersi di fronte ai disegni che Federico Zuccari realizzò per la sua illustrazione della Commedia, impresa cui attesa in via del tutto autonoma sul finire del secolo, e dove per la prima volta le immagini avevano la priorità rispetto alle parole (il Dante historiato di Zuccari conteneva solo una selezione delle terzine del poema, “che porta a focalizzare l’attenzione sul raggiungimento della virtù spirituale di Dante nel suo difficoltoso viaggio ultramontano”, scrive Roberta Aliventi: un’operazione dall’“intento morale e pedagogico” esplicitata peraltro dallo stesso Zuccari nella prima tavola della serie, dove Dante che si perde nella selva diviene simbolo della “gioventù male incamminata”). Le illustrazioni delle opere dantesche sono accompagnate da una serie d’immagini del poeta: su tutte, svetta il Dante della serie degli Uomini illustri di Andrea del Castagno, esposto a Forlì dopo il restauro eseguito dall’Opificio delle Pietre Dure.

Il capitolo sull’immagine di Dante fa da raccordo con la prima sezione dedicata al mito moderno di Dante, quella che rende manifesto il percorso di scoperta del Sommo Poeta durante l’Ottocento. Uno dei momenti fondativi del mito è la vera devozione che verso il Sommo Poeta nutrirono i nazareni, su tutti il tirolese Joseph Anton Koch che già nel 1802 palesò l’intento di volersi cimentare con l’illustrazione della Divina Commedia: Koch non ebbe modo di completare il lavoro, fermandosi all’Inferno, ma l’entusiasmo che dimostrò per l’opera dantesca e l’eco suscitata dalla sua impresa, specialmente in Inghilterra, ricoprirono un ruolo non secondario nella diffusione della fortuna del poema. Koch, che continuò a misurarsi con le opere di Dante per tutta la sua carriera, era attratto non solo dalla potenza del linguaggio dantesco, ma anche da quella “compiuta sintesi tra dimensione ideale e reale che l’artista cerca di tradurre graficamente mediante un forte ’espressionismo’ dei sentimenti” (così Stefano Bosi): alcuni suoi disegni esposti in mostra testimoniano la sua profonda conoscenza dell’opera di Dante e la sua capacità d’interpretarlo secondo i modi della poetica del sublime, cogliendo spunti negli affreschi di Signorelli a Orvieto e di Michelangelo nella Cappella Sistina (come si può intuire, del resto, dallo straordinario Inferno ad acquerello, penna e matita in prestito dal Museum Boijmans van Beuningen). A raccogliere l’eredità di Koch sarà, in certa misura, il più giovane Carl Christian Vogel von Vogelstein, avviato agli studi di Dante grazie all’amicizia col tirolese: frutto delle sue meditazioni dantesche è un olio su carta in arrivo dagli Uffizi, un dipinto complesso e appassionato che illustra dieci episodî della Commedia in un’immagine che si fa anche carico di trasmettere al riguardante l’ideologia che animava il poema (“l’ortodossia di Dante nei confronti della religione cattolica”, spiega ancora Bosi, “è ribadita dalla croce posta sulla cuspide centrale, che rivendica a sua volta il ruolo unificante della fede sul potere spirituale e temporale, simboleggiato dalle statue del pontefice e dell’imperatore collocate sulle cuspidi laterali”).

Guido da Siena, Giudizio Finale (1280 circa; tempera su tavola, 141 x 99 cm; Grosseto, Museo Archeologico e d’Arte della Maremma - Museo d’Arte Sacra della Diocesi di Grosseto)
Guido da Siena, Giudizio Finale (1280 circa; tempera su tavola, 141 x 99 cm; Grosseto, Museo Archeologico e d’Arte della Maremma - Museo d’Arte Sacra della Diocesi di Grosseto)


Giotto di Bondone e Taddeo Gaddi, Incoronazione della Vergine tra angeli e santi (Polittico Baroncelli) (1328; circa tempera e oro su tavola, 184 x 321 cm; Firenze, basilica di Santa Croce, cappella Baroncelli - Museo dell’Opera di Santa Croce)
Giotto di Bondone e Taddeo Gaddi, Incoronazione della Vergine tra angeli e santi (Polittico Baroncelli) (1328 circa; tempera e oro su tavola, 184 x 321 cm; Firenze, basilica di Santa Croce, cappella Baroncelli - Museo dell’Opera di Santa Croce)


Ambrogio Lorenzetti, Allegoria della Redenzione (1338 circa; tempera e oro su tavola, 59,5 x 120 cm; Siena, Pinacoteca Nazionale)
Ambrogio Lorenzetti, Allegoria della Redenzione (1338 circa; tempera e oro su tavola, 59,5 x 120 cm; Siena, Pinacoteca Nazionale)


Beato Angelico, Giudizio Universale (1425-1428; tempera su tavola, 105 x 210 cm; Firenze, Museo di San Marco)
Beato Angelico, Giudizio Universale (1425-1428; tempera su tavola, 105 x 210 cm; Firenze, Museo di San Marco)


Federico Zuccari, Caronte. Terremoto e svenimento di Dante (Inf., III) (1585-1588 circa; pietra nera e rossa su carta bianca vergata, 448 x 615 mm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe)
Federico Zuccari, Caronte. Terremoto e svenimento di Dante (Inf., III) (1585-1588 circa; pietra nera e rossa su carta bianca vergata, 448 x 615 mm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe)


Andrea del Castagno, Dante Alighieri, dal ciclo degli Uomini e donne illustri (1450 circa; affresco staccato e trasportato su tela, 250 x 150 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gallerie delle Statue e delle Pitture)
Andrea del Castagno, Dante Alighieri, dal ciclo degli Uomini e donne illustri (1450 circa; affresco staccato e trasportato su tela, 250 x 150 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gallerie delle Statue e delle Pitture)


Joseph Anton Koch, L’Inferno (1825; acquerello, penna e inchiostro grigio e nero sopra a disegno tracciato a matita, 366 x 565 mm; Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen)
Joseph Anton Koch, L’Inferno (1825; acquerello, penna e inchiostro grigio e nero sopra a disegno tracciato a matita, 366 x 565 mm; Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen)


Carl Christian Vogel von Vogelstein, Dante e i dieci episodi della Divina Commedia (1842-1844; olio su carta, 2325 x 1765 mm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna)
Carl Christian Vogel von Vogelstein, Dante e i dieci episodi della Divina Commedia (1842-1844; olio su carta, 2325 x 1765 mm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna)

Questo accenno a un Dante più eminentemente politico instrada il pubblico, anche per tramite d’una selezione di opere di Giuseppe Abbati che non arricchisce particolarmente il discorso ma catalizza l’attenzione sulla scena italiana, verso la sezione riservata al culto civile di Dante, in un percorso che parte dal Risorgimento e arriva sino alla prima guerra mondiale (a tale culto è peraltro dedicato un denso saggio di Francesco Leone in catalogo). La condizione di esule del Sommo Poeta è evocata da alcuni dipinti, tra i quali quello a tema “forlivese” di cui s’è detto in apertura (che non è solo un omaggio alla città ma è anche un’esaltazione degl’ideali civili risorgimentali d’unificazione per tramite della figura del poeta), o ancora il Dante che legge la Divina Commedia alla corte di Guido Novello di Andrea Pierini: i pittori del tempo, specialmente quelli che, come Pompeo Randi, s’erano spesi in prima persona per la causa dell’Italia unita, vedevano in Dante la prima figura ad aver elaborato l’idea d’una patria italiana, il “primo vate nelle aspriazioni civili e identitarie del Risorgimento italiano, esiliato e considerato un carbonaro ante litteram nella riforma del papato”, un “simbolo di liberalismo e anticlericalismo [...] da esaltare nelle ricostruzioni pittoriche medievaleggianti” (così Alessia Mistretta). L’opera che forse meglio trasmette quest’immagine d’un Dante civile è il Dante in esilio del veneto Domenico Petarlini che immagina un Dante cogitabondo e pensoso, colto a pensare alle ambasce dell’Italia (tutti i pittori del Risorgimento avevano ben presente l’invettiva del VI canto del Purgatorio: “Ahi serva Italia, di dolore ostello”). Dopo l’Unità abbonderanno i monumenti a Dante (alcuni bronzi e bozzetti affrontano rapidamente il tema), ma non verrà meno l’idea di vedere in Dante un simbolo di coesione nazionale: quest’idea è trasmessa dai due pannelli a tempera e a olio di Felice Casorati dipinti durante la prima guerra mondiale, e nei quali i versi di Dante fanno da conforto ai soldati delle terre irredente o a quelli caduti nelle mani del nemico.

Il refettorio dell’ex convento, dominato sulla parete di fondo dalla Morte di Giulio Aristide Sartorio, grande pannello eseguito per la Biennale di Venezia del 2017, accoglie la sezione migliore dell’esposizione, ovvero, come anticipato, quella sulla grafica. Quest’ampia porzione della rassegna si concentra, in particolare, sull’edizioni a stampa della Commedia pubblicate tra il Settecento e il Novecento, e di fatto riprende il filo che s’era interrotto nella sezione sulle illustrazioni tra Tre e Cinquecento, riavviandolo dal 1773, anno in cui, dopo quasi due secoli di sostanziale disinteresse per l’artista (benché di recente la fama del Seicento come “secolo senza Dante” sia stata ampiamente rivista), in Inghilterra l’editore John Boydell viene incaricato da Joshua Reynolds di stampare un’incisione a mezzatinta, materialmente eseguita da John Dixon, dell’Ugolino che il pittore inglese aveva presentato, come ricordato in apertura, alla Royal Academy of Fine Arts. Reynolds e Dixon, anche grazie alla traduzione a stampa del dipinto, contribuirono alla diffusione della conoscenza di Dante, rendendo popolari i protagonisti della sua opera: tra i primi a recepire quest’interesse s’annovera il grande William Blake, di cui sono esposte le tavole per la sua illustrazione della Commedia. Si tratta di opere nelle quali, scrive Francesco Parisi che ha curato la sezione, “l’artista dispiegò [...] alcuni spunti inediti, sia tecnici, la sola linea del bulino alternata alla puntasecca a definire i trapassi chiaroscurali, superando la tradizionale resa costituita da linee incrociate arricchite da puntini, sia concettuali, che gli consentirono una lettura meno allegorica del poema collocando le dantesche figurazioni della natura umana come ‘stazioni di un percorso di autoriforma’”. Alla tensione visionaria di Blake fanno da contraltare la pacatezza e la semplicità delle illustrazioni di John Flaxman, il grande artista neoclassico inglese che pure s’impegnò in un’illustrazione della Commedia che si distingue per la sua precisa linea di contorno, una sorta di marchio di fabbrica del pittore di York, ispirato dalla pittura vascolare greca e autore d’una Commedia illustrata di gran successo.

La ricezione sul continente dei temi danteschi è aperta da una tavola del tedesco d’origini italiane Bonaventura Genelli, amico di Koch e vicino agli ambienti dei nazareni, mentre il recupero di Dante in Italia è testimoniato dalle illustrazioni del fiorentino Luigi Sabatelli, che si concentrò sull’Inferno e in particolare sulle scene che più s’accordavano alla sua idea eroica e magniloquente del poema, declinabile secondo i dettami della teoria del Sublime settecentesco. Si collocano invece a metà tra classico e romantico le incisioni di Bartolomeo Pinelli, e sulla stessa linea s’ammira uno splendido disegno di Tommaso Minardi che raffigura la vicenda del conte Ugolino, per arrivare poi dritti alle celeberrime illustrazioni di Gustave Doré, la cui prima serie di tavole (L’enfer de Dante Alighieri avec le dessin de Gustave Doré) fu data alle stampe da Hachette a Parigi nel 1861: poché altre opere come le illustrazioni di Doré hanno contribuito a fissare nell’immaginario collettivo le vicende del poema dantesco. Di eccezionale interesse è il nucleo di illustrazioni novecentesche che il visitatore incontra subito a seguire: dal Dante con il giglio intriso di suggestioni simboliste del versatile livornese Alfredo Müller che lo immaginò per un’illustrazione della Vita Nova alle fantasie surreali e mostruose di Alberto Martini, dalla meravigliosa Ninfa elice cacciata da Diana con cui Plinio Nomellini partecipò al concorso lanciato nel 1900 da Alinari per l’illustrazione della Commedia, fino ad arrivare all’apice delle illustrazioni di Duilio Cambellotti che, scrive Parisi, “travalicò gli orizzonti dello stesso concetto di illustrazione interpretando i canti con composizioni dominate da quell’atmosfera notturna e sfocata che ne contraddistingueva la prduzione nel primo decenniod el Novecento e che rimandava alle coeve esperienze del cenacolo romano riunito attorno a Giacomo Balla e Giovanni Prini”.

Andrea Pierini, Dante legge la Divina Commedia alla corte di Guido Novello (1850; olio su tela, 140 x 183 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna)
Andrea Pierini, Dante legge la Divina Commedia alla corte di Guido Novello (1850; olio su tela, 140 x 183 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna)


Domenico Petarlini, Dante in esilio (1860 circa; olio su tela, 76 x 96 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna)
Domenico Petarlini, Dante in esilio (1860 circa; olio su tela, 76 x 96 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna)


Felice Casorati, Fa come natura face in foco (Par., IV, 77) (1917; tempera su tela, 120 x 110 cm; Collezione privata, courtesy Galleria Narciso, Torino)
Felice Casorati, Fa come natura face in foco (Par., IV, 77) (1917; tempera su tela, 120 x 110 cm; Collezione privata, courtesy Galleria Narciso, Torino)


Giulio Aristide Sartorio, La Morte, dal ciclo Il Poema della Vita Umana (1907; olio ed encausto a freddo su tela, 513 × 712 cm; Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro)
Giulio Aristide Sartorio, La Morte, dal ciclo Il Poema della Vita Umana (1907; olio ed encausto a freddo su tela, 513 × 712 cm; Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro)


John Dixon (da Joshua Reynolds), Ugolino (1774; incisione a mezzotinto, 505 x 625 mm; Roma, Istituto centrale per la grafica, deposito Accademia Nazionale dei Lincei)
John Dixon (da Joshua Reynolds), Ugolino (1774; incisione a mezzotinto, 505 x 625 mm; Roma, Istituto centrale per la grafica, deposito Accademia Nazionale dei Lincei)


John Flaxman e Tommaso Piroli, La Divina Commedia di Dante Alighieri 1793 / cioè / L’Inferno, Il Purgatorio, Il Paradiso / Composto da Giovanni Flaxman, Scultore Inglese, ed inciso da Tommaso Piroli Romano 1793 / In Possesso di Tommaso Hope Scudiere Amsterdam / Optimo Principi Ferdinando Austr. A. D. Etrur. Mag. Duci icones delineatas ex Divina Comedia Dantis Aligherii vatis perinsignis Florentia civis D.D.D. Ioannes Flaxman (1793; album con 110 incisioni, 245 x 335 x 4 cm; esemplare con dedica a Ferdinando III granduca di Toscana; Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale - su concessione del Ministero della Cultura)
John Flaxman e Tommaso Piroli, La Divina Commedia di Dante Alighieri 1793 / cioè / L’Inferno, Il Purgatorio, Il Paradiso / Composto da Giovanni Flaxman, Scultore Inglese, ed inciso da Tommaso Piroli Romano 1793 / In Possesso di Tommaso Hope Scudiere Amsterdam / Optimo Principi Ferdinando Austr. A. D. Etrur. Mag. Duci icones delineatas ex Divina Comedia Dantis Aligherii vatis perinsignis Florentia civis D.D.D. Ioannes Flaxman (1793; album con 110 incisioni, 245 x 335 x 4 cm; esemplare con dedica a Ferdinando III granduca di Toscana; Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale - su concessione del Ministero della Cultura)


William Blake, Il girone dei barattieri, i diavoli tormentano Ciampolo (Inf., XXII) (1827; incisioni a bulino e puntasecca, 240 x 340 mm circa ciascuno; illustrazioni per la Divina Commedia di Dante Kerrison Preston Collection, Westminster Public Library)
William Blake, Il girone dei barattieri, i diavoli tormentano Ciampolo (Inf., XXII) (1827; incisioni a bulino e puntasecca, 240 x 340 mm circa ciascuno; illustrazioni per la Divina Commedia di Dante Kerrison Preston Collection, Westminster Public Library)


Luigi Sabatelli, Il conte Ugolino coi figli nella Torre della Fame (1794; acquaforte su carta bianca non vergata, 405 x 489 mm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe)
Luigi Sabatelli, Il conte Ugolino coi figli nella Torre della Fame (1794; acquaforte su carta bianca non vergata, 405 x 489 mm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe)


Bartolomeo Pinelli, Amor condusse noi ad una morte (1807; inchiostro e acquerello su carta, 605 x 798 mm; Forlì, Biblioteca Aurelio Saffi, Fondo Piancastelli)
Bartolomeo Pinelli, Amor condusse noi ad una morte (1807; inchiostro e acquerello su carta, 605 x 798 mm; Forlì, Biblioteca Aurelio Saffi, Fondo Piancastelli)


Tommaso Minardi,  Il conte Ugolino e l’orrenda morte di lui e dei suoi figli (1843; penna, inchiostro grigio e seppia acquerellato, biacca, tracce di matita su carta bianca, 185 x 240 mm; Forlì, Biblioteca Aurelio Saffi, Fondo Piancastelli)
Tommaso Minardi, Il conte Ugolino e l’orrenda morte di lui e dei suoi figli (1843; penna, inchiostro grigio e seppia acquerellato, biacca, tracce di matita su carta bianca, 185 x 240 mm; Forlì, Biblioteca Aurelio Saffi, Fondo Piancastelli)


Gustave Doré, Le Purgatoire et le Paradis de Dante Alighieri avec les dessins de Gustave Doré, Librairie Hachette et Cie., Paris (1868; collezione privata)
Gustave Doré, Le Purgatoire et le Paradis de Dante Alighieri avec les dessins de Gustave Doré, Librairie Hachette et Cie., Paris (1868; collezione privata)


Duilio Cambellotti, I giganti (Inf., XXXI) (1901; carboncino con lumeggiature a pastello bianco su carta, 553 x 808 mm; illustrazione per La Divina Commedia nuovamente illustrata da artisti italiani, a cura di V. Alinari, Firenze 1902; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe)
Duilio Cambellotti, I giganti (Inf., XXXI) (1901; carboncino con lumeggiature a pastello bianco su carta, 553 x 808 mm; illustrazione per La Divina Commedia nuovamente illustrata da artisti italiani, a cura di V. Alinari, Firenze 1902; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe)


Plinio Nomellini, La Ninfa Elice viene cacciata da Diana, Purgatorio, Canto XXV (1900-1902; penna e tempera a colori su carta avorio, 800 x 600 mm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe)
Plinio Nomellini, La Ninfa Elice viene cacciata da Diana, Purgatorio, Canto XXV (1900-1902; penna e tempera a colori su carta avorio, 800 x 600 mm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe)

Alcune sezioni interlocutorie nelle celle del pianterreno (una dedicata all’“autorità degli antichi” che si risolve, piuttosto stancamente, in un’infilata di busti e ritratti antichi e moderni di poeti e filosofi classici, un capitolo che approfondisce le vicende politiche dell’epoca di Dante nella quale spiccano il Bonifacio VIII e il Carlo d’Angiò di Arnolfo di Cambio, e infine un nuovo intermezzo ottocentesco sulla figura di Beatrice, dove s’alternano le pulsioni preraffaellite di Dante Gabriel Rossetti ed Henry James Holiday) conducono allo scalone che porta al primo piano, interamente riservato alle cantiche della Commedia: un viaggio tra Inferno, Purgatorio e Paradiso attraverso quattro secoli d’arte. A una splendida tavola di Filippo Napoletano, in arrivo dagli Uffizi, il compito di trasportare il pubblico tra le fiamme dell’Ade: s’entra quindi nella prima delle tre grandi sale del primo piano che, con una scelta d’allestimento a effetto, si presentano cupe per evocare l’oscurità della cavità infernale. Il racconto dei principali episodî della prima cantica, nel contesto d’una mostra tanto vasta, non può ch’esser piuttosto didascalico, antologico e necessariamente non esaustivo, ma non mancano comunque fondamentali capisaldi della fortuna iconografica dei principali temi della Commedia (le vicende richiamate dalla mostra sono, com’è facile intuire, quelle di Paolo e Francesca, di Farinata degli Uberti e di Ugolino). Nelle sale dei Musei San Domenico il pubblico troverà dunque alcune opere imprescindibili, tra le quali val la pena citare il Paolo e Francesca di Ary Scheffer, una delle interpretazioni più felici e fortunate delle anime dei due innamorati tormentate dalla bufera, esposta vicino alla sua traduzione scultore di Frédéric-Auguste Bartholdi, e poi il neosettecentista acquerello di Mosè Bianchi in arrivo dalla GAM di Milano, e ancora Il sogno simbolista di Gaetano Previati che trasfigura le anime di due amanti in un vortice d’amore assoluto, e l’originale interpretazione di Umberto Boccioni che rilegge il mito dei due amanti romagnoli per darne una lettura personale. Spiccano poi, nelle sale successive, uno splendido marmo di Carlo Fontana che coglie Farinata degli Uberti nell’atto di levarsi dal suo sepolcro, l’irrinunciabile Ugolino di Giuseppe Diotti che diede una nota lettura in chiave eroica della vicenda del conte pisano, e, giungendo verso la fine del baratro infernale, l’inquietante Lucifero di Franz von Stuck, emblema del male assoluto.

Il lungo corridoio del primo piano è tutto per il Purgatorio: il percorso, com’è per l’Inferno, è anche qui costellato di dipinti e sculture che evocano gl’incontri di Dante, in particolare quello con Pia de’ Tolomei, su cui si sofferma il nucleo d’opere più corposo della sezione, ma non meno interessante è un Guido Guinizzelli di Adolfo de Carolis (Dante incontra il padre del Dolce Stil Novo nel canto XXVI). Il Santo Stefano di Giotto, in prestito dal Museo Horne di Firenze, richiama il concetto degli exempla del Purgatorio, gli esempî che vengono mostrati alle anime che espiano le loro colpe in attesa di salire al Paradiso: il santo protomartire, in particolare, è indicato nel canto XV come esempio di mansuetudine, per aver perdonato i suoi aguzzini mentre veniva lapidato a morte. L’incontro di Dante con Beatrice nel Purgatorio è richiamato dalla Matelda di Albert Maignan e, successivamente, dalla tela di Andrea Pierini che raffigura il poeta inginocchiato dinnanzi alla sua amata seduta in trono “come icona mariana assisa tra angeliche apparizioni”, in un’opera “intrisa di un didascalico allegorismo” (Sibilla Panerai). La Trasfigurazione di Lorenzo Lotto avvia il pubblico verso il Paradiso e dunque verso le ultime due sale della mostra di Forlì.

La sezione sul Paradiso, la meno organica della rassegna, è sostanzialmente divisa in due parti: la salita di Dante tra i cieli è ripercorsa in mostra coi dipinti di William Dyce, Vlaho Bukovac e, più avanti, con il Paradiso di Tommaso De Vivo che segue idealmente l’Inferno dello stesso artista esposto nelle sale precedenti. Nel Paradiso, in particolare, De Vivo sintetizza la narrazione dal canto XXIV al XXVII, raffigurando Dante inginocchiato davanti ai santi Pietro, Giacomo e Giovanni Evangelista che lo interrogano sul significato della Fede, della Speranza e della Carità e, sotto a loro, Adamo è in attesa di rispondere alle domande che legge nella mente del Poeta e che riguardano il tempo trascorso dalla creazione dell’universo (tema, quest’ultimo, richiamato peraltro da due capolavori: la Creazione del Mondo di Antonio Canova e la Creazione della luce di Previati), quello vissuto dal primo uomo nel Paradiso Terrestre, le ragioni del peccato originale e la lingua che parlava in principio. Segue una teoria dei santi del Paradiso, per i quali i curatori han dato precedenza ai dipinti dell’epoca di Dante (ecco dunque il fondamentale e famosissimo San Francesco di Cimabue in arrivo dal Museo della Porziuncola di Assisi, e i due tondi della Fondazione CR Firenze di Giotto), sebbene non manchino interessanti dipinti di autori posteriori come Sandro Botticelli e Antoniazzo Romano: le due tavole di Guariento in arrivo dai Musei Civici di Padova introducono alle schiere angeliche, mentre per dar corpo alla preghiera alla Vergine di San Bernardo (“Vergine madre, figlia del tuo figlio / umile e alta più che creatura / termine fisso di etterno consiglio / tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ’l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura”) è stata scelta l’immagine michelangiolesca della Pietà per Vittoria Colonna tradotta in incisione a bulino da Giulio Bonasone e su tavola da Marcello Venusti. Il gran finale, nell’ultima sala, coincide con la gloria e all’intercessione della Vergine, affidata alla Madonna col Bambino e i santi Girolamo e Bernardo di Luca Signorelli, alla Vergine consolatrice di William-Adolphe Bouguereau e alla Madonna col Bambino e due angeli di Matteo di Giovanni, e con Dante che contempla il mistero della Trinità, richiamato dalla potente tela di Lorenzo Lotto in arrivo dalla chiesa di Sant’Alessandro della Croce a Bergamo.

Filippo Napoletano, Dante e Virgilio all’Inferno (ante 1618-1620; olio su tavola, 44 × 67 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gallerie delle Statue e delle Pitture)
Filippo Napoletano, Dante e Virgilio all’Inferno (1618-1620; olio su tavola, 44 × 67 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gallerie delle Statue e delle Pitture)


Ary Scheffer, Le ombre di Paolo e Francesca appaiono a Dante e Virgilio (1835; olio su tela, 24,5 x 32,5 cm; Clermont-Ferrand, Musée d’Art Roger Quilliot)
Ary Scheffer, Le ombre di Paolo e Francesca appaiono a Dante e Virgilio (1835; olio su tela, 24,5 x 32,5 cm; Clermont-Ferrand, Musée d’Art Roger Quilliot)


Frédéric-Auguste Bartholdi, da Ary Scheffer, Francesca da Rimini (1854; gesso, 53,3 x 67,5 cm; Colmar, Musée Bartholdi)
Frédéric-Auguste Bartholdi, da Ary Scheffer, Francesca da Rimini (1854; gesso, 53,3 x 67,5 cm; Colmar, Musée Bartholdi)


Mosè Bianchi, Paolo e Francesca (1888 circa; acquerello, tempera e foglia d’oro su carta, 533 x 746 mm; Milano, Galleria d’Arte Moderna)
Mosè Bianchi, Paolo e Francesca (1888 circa; acquerello, tempera e foglia d’oro su carta, 533 x 746 mm; Milano, Galleria d’Arte Moderna)


Gaetano Previati, Il sogno (1912; olio su tela, 225 x 165 cm; collezione privata)
Gaetano Previati, Il sogno (1912; olio su tela, 225 x 165 cm; collezione privata)


Umberto Boccioni, Il sogno (Paolo e Francesca) (1908-1909; olio su tela, 140 x 130 cm; collezione privata)
Umberto Boccioni, Il sogno (Paolo e Francesca) (1908-1909; olio su tela, 140 x 130 cm; collezione privata)


Carlo Fontana, Farinata degli Uberti (1901-1903; marmo, 185 x 105 x 92 cm; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea)
Carlo Fontana, Farinata degli Uberti (1901-1903; marmo, 185 x 105 x 92 cm; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea)


Giuseppe Diotti, Il conte Ugolino nella Torre (1831; circa olio su tela, 173,5 x 207,5 cm; Cremona, Museo Civico Ala Ponzone)
Giuseppe Diotti, Il conte Ugolino nella Torre (1831; circa olio su tela, 173,5 x 207,5 cm; Cremona, Museo Civico Ala Ponzone)


Franz von Stuck, Lucifero (1889-1890; olio su tela, 161 x 152,5 cm; Sofia, Galleria Nazionale)
Franz von Stuck, Lucifero (1889-1890; olio su tela, 161 x 152,5 cm; Sofia, Galleria Nazionale)


Adolfo De Carolis, Guido Guinizzelli (1914; bozzetto per la decorazione del Palazzo del Podestà, olio su tela, 143 x 152,5 cm; Montefiore dell’Aso, Polo Museale San Francesco)
Adolfo De Carolis, Guido Guinizzelli (1914; bozzetto per la decorazione del Palazzo del Podestà, olio su tela, 143 x 152,5 cm; Montefiore dell’Aso, Polo Museale San Francesco)


Giotto, Santo Stefano (1325-1330; tempera e oro su tavola, 83,5 x 54 cm; Firenze, Museo Horne)
Giotto, Santo Stefano (1325-1330; tempera e oro su tavola, 83,5 x 54 cm; Firenze, Museo Horne)


Andrea Pierini, Incontro di Dante con Beatrice nel Purgatorio (1853; olio su tela, 139 x 178 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna)
Andrea Pierini, Incontro di Dante con Beatrice nel Purgatorio (1853; olio su tela, 139 x 178 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna)


Lorenzo Lotto, Trasfigurazione (1511 circa; olio su tavola, 302 x 212 cm; Recanati, Museo Civico Villa Colloredo Mels)
Lorenzo Lotto, Trasfigurazione (1511 circa; olio su tavola, 302 x 212 cm; Recanati, Museo Civico Villa Colloredo Mels)


Tommaso De Vivo, Paradiso (1863; olio su tela, 161 x 240 cm; Napoli, Palazzo Reale, in comodato presso la Reggia di Caserta)
Tommaso De Vivo, Paradiso (1863; olio su tela, 161 x 240 cm; Napoli, Palazzo Reale, in comodato presso la Reggia di Caserta)


Antonio Canova, La Creazione del Mondo (1820-1822 circa; gesso, 104 x 116 cm; Possagno, Fondazione Canova onlus)
Antonio Canova, La Creazione del Mondo (1820-1822 circa; gesso, 104 x 116 cm; Possagno, Fondazione Canova onlus)


Guariento di Arpo, Angelo dei Principati (1351-1354; tempera su tavola, 90 × 58 cm; Padova, Museo d’Arte Medievale e Moderna)
Guariento di Arpo, Angelo dei Principati (1351-1354; tempera su tavola, 90 × 58 cm; Padova, Museo d’Arte Medievale e Moderna)


Luca Signorelli, Madonna con il Bambino e i santi Girolamo e Bernardo (1490-1496 circa; dipinto su tavola, diametro 114 cm; Fiesole, Museo Bandini, proprietà Fondazione Baduel Zamberletti)
Luca Signorelli, Madonna con il Bambino e i santi Girolamo e Bernardo (1490-1496 circa; dipinto su tavola, diametro 114 cm; Fiesole, Museo Bandini, proprietà Fondazione Baduel Zamberletti)


William-Adolphe Bouguereau, Vergine consolatrice (1877; olio su tela, 204 x 148 cm; Parigi, Musée d’Orsay, in deposito presso il Musée des Beaux-Arts, Strasburgo)
William-Adolphe Bouguereau, Vergine consolatrice (1877; olio su tela, 204 x 148 cm; Parigi, Musée d’Orsay, in deposito presso il Musée des Beaux-Arts, Strasburgo)


Lorenzo Lotto, Trinità (1519-1520; olio su tela, 175 x 124 cm; Bergamo, chiesa di Sant’Alessandro della Croce, in deposito presso il Museo Adriano Bernareggi)

Nel quadro delle mostre organizzate per il settecentenario dantesco, Dante. La visione dell’arte fa storia a sé: se altri musei hanno privilegiato rassegne verticali, la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì rilancia il modello già sperimentato con la mostra sull’Ottocento del 2019 e punta su di un’occasione divulgativa orizzontale e onnicomprensiva, calibrata sull’esigenza d’essere accattivante per un pubblico ampio. Un’operazione di così vasta scala su Dante e le arti, agevolata dalla disponibilità di spazi e risorse della Fondazione oltre che dalla decisiva collaborazione delle Gallerie degli Uffizi che hanno co-organizzato la rassegna, non era mai stata tentata in precedenza, e il tentativo vale pertanto una visita, senz’attendersi ovviamente una mostra di ricerca: il vero inedito (al di là dell’unica opera inedita in mostra, un ritratto ideale di Sei poeti toscani della bottega di Giorgio Vasari, e al di là della sezione sulle edizioni a stampa che presenta molte tavole che vengono esposte raramente), in questo caso, è la mole del materiale che i curatori sono stati capaci di radunare in una volta sola. Con anche diversi capolavori, e qui toccherà domandarsi, come sempre, se è opportuno che alcune opere che forse non erano così fondamentali nell’ottica del racconto della mostra, e che sono invece opere simbolo dei musei di provenienza (come il San Francesco di Cimabue, o il Santo Stefano di Giotto, o ancora la Trasfigurazione di Lorenzo Lotto), siano state convocate a Forlì per una mostra dove fanno da comprimarie (e dove dunque potevano essere sostituite da altre opere senza che il progetto perdesse forza). Una mostra dove, ad ogni modo, tutte le opere sono utili, ma poche sono veramente indispensabili.

La rassegna si configura dunque come un sunto e un compendio di una serie di temi non nuovi, ma esposti al pubblico con un buon taglio divulgativo e che per la prima volta sono organizzati assieme in un racconto ampio e a tratti anche avvincente, pur con qualche calo (le sezioni allestite nelle celle, per esempio: sono le più deboli) che si può tuttavia ben comprendere in una mostra che si dipana lungo diciotto sezioni, o con qualche forzatura (come l’Arlecchino di Picasso portato in mostra per illustrare l’idea della follia in Dante: c’è da leggere però la scheda sul catalogo per avere un’idea). La mostra di Forlì è un specie di piccola enciclopedia delle arti su Dante, e come un’enciclopedia dunque va considerata: un’opera in cui c’è un po’ di tutto, dove le occasioni d’approfondimento netto sono poche, ma che rappresenta la prima base per farsi un’idea larga su di un argomento. E tuttavia, occorre in ultimo sottolineare che la rassegna è ben arricchita da un ponderoso catalogo di oltre cinquecento pagine ch’è in grado d’espandere l’itinerario di Dante. La visione dell’arte ben al di là delle sale in San Domenico.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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