Domenico Piola a Genova, una mostra coinvolgente per un protagonista del barocco


Recensione della mostra Domenico Piola 1628-1703. Percorsi di pittura barocca, a Genova, Palazzo Nicolosio Lomellino, dal 13 ottobre 2017 al 7 gennaio 2018.

Nell’ampio contesto d’un panorama espositivo nazionale che lascia sovente a desiderare, preso com’è dal seguire più spesso le ragioni del marketing che quelle del rigore scientifico, e sempre più avvezzo a tagliar fuori dai grandi circuiti ogni proposta che si discosti da schemi ormai consolidati, una mostra come Domenico Piola 1628-1703. Percorsi di pittura barocca, in corso a Genova, pare quasi un atto di coraggio, che andrebbe premiato a prescindere. Stretti come siamo tra le maglie d’un sistema in gran parte piatto e omologato, questa monografica su di un pittore d’ambito locale quale fu Domenico Piola (Genova, 1628 - 1703), la cui produzione è quasi interamente conservata in Liguria, è degna d’interesse non solo per ragioni intrinseche, quali l’estrema coerenza del percorso ideato dal curatore Daniele Sanguineti per la sede di Palazzo Nicolosio Lomellino, i puntuali confronti con i pittori che suggerirono a Piola la “strada” da intraprendere, e la rilevanza delle intelligenti (e, volendo, anche coinvolgenti) chiavi di lettura fornite per una produzione vastissima e difficile da riassumere con una cinquantina di dipinti (in tal senso, Daniele Sanguineti ha svolto un’opera egregia), ma anche perché la rassegna su Piola è una mostra totale, che coinvolge l’intera città.

I “percorsi” ai quali il titolo allude si dipanano infatti attraverso tutta Genova, ragion per cui luoghi come Palazzo Rosso (dove, oltre alle sale affrescate da Piola, il visitatore troverà un’esposizione di un gruppo di circa cinquanta suoi disegni: se ne darà brevemente conto in conclusione), Palazzo Bianco, o le chiese della Santissima Annunziata del Vastato, di Santa Maria di Castello e di Santa Maria delle Vigne, e tutti i siti che il materiale informativo elenca e descrive con precisione, sono da considerare parte integrante del percorso principale, quello di Palazzo Nicolosio Lomellino: lo storico palazzo di Strada Nuova, con i suoi ambienti raccolti e affrescati poco prima che Piola nascesse, si pone come luogo più d’ogni altro adatto non solo ad accogliere una rassegna di pittura genovese del Seicento, ma anche e soprattutto a consentire lo sviluppo delle interessanti riflessioni del curatore, che cercano d’offrire al visitatore una sorta d’eccellente itinerario guidato, attraverso la carriera, la produzione e i temi della pittura di Domenico Piola. E per tracciare questo viaggio lungo mezzo secolo, Daniele Sanguineti s’è avvalso dell’ideale collaborazione di Carlo Giuseppe Ratti (Savona, 1737 - Genova, 1795), il pittore e scrittore d’arte che, con le sue Vite de’ pittori, scultori ed architetti genovesi date alle stampe nel 1769, accresceva l’omonima opera redatta da Raffaele Soprani un secolo prima, dando vita a un testo che è ancor oggi imprescindibile punto di riferimento per lo studio della pittura genovese del tempo: ogni sezione della mostra è dunque introdotta dalle citazioni ricavate dalle Vite di Ratti. È interessante rilevare che tali inserimenti non sono un semplice vezzo, come suole accadere in troppe esposizioni: le citazioni di Ratti costituiscono veramente una guida per il visitatore e sono davvero un modo per introdurlo ai temi della rassegna.

L’esempio della prima sala può aiutare a chiarire. La sezione iniziale, dedicata alla partenza della carriera di Domenico Piola (Una maniera “di gran forza”: gli esordi), prende a prestito la definizione che Ratti diede di quella che possiamo identificare come la prima maniera dell’artista. La rassegna piolesca può dunque prendere le mosse dalla prima opera documentata che dell’artista ligure si conosca, un Martirio e gloria di san Giacomo che Domenico Piola, appena diciannovenne, dipinse nel 1647 per l’oratorio di San Giacomo alla Marina di Genova. “Manifesto d’intenti di un pittore moderno che cava abilmente una sintesi tra gli stimoli più in voga, tra Giulio Cesare Procaccini, Anton van Dyck e i rappresentanti del naturalismo locale” (citando dalla scheda in catalogo compilata dal curatore), il dipinto consente di far la conoscenza d’un pittore talentuoso che, seguendo il bozzetto (non in mostra) di Valerio Castello (Genova, 1624 - 1659), artista poco più anziano ma sua fondamentale guida nei primi anni di carriera, proponeva un’opera fresca e potente, spontanea ma fondata su un “solido impianto disegnativo”: caratteristica, quest’ultima, che distanziava nettamente la sua pittura da quella di Valerio. Il confronto tra l’enfant prodige del barocco genovese e il suo più giovane collaboratore giunge puntualissimo sulla parete di fronte: la mostra ci offre l’opportunità di vedere assieme tre Fughe in Egitto, tutte di collezione privata, una dipinta da Domenico e due da Valerio. Anche a un occhio non esperto risulterà palese la differenza che divide i due poco più che ventenni artisti: per quanto entrambi siano accomunati dalla pennellata leggera, dal dinamismo tutto barocco che anima le scene e dai guizzi di luce che le ravvivano, il fine modellato piolesco possibile grazie a un disegno meditato, l’impaginazione più ordinata e tutt’altro che vorticosa e il chiaroscuro più marcato denotano una già raggiunta autonomia da parte di Domenico Piola. L’Ultima cena di Pieve di Teco, oltre a essere sunto delle suggestioni di cui Piola poteva disporre all’epoca, è anche ripresa dell’omologo dipinto che Giulio Cesare Procaccini (Bologna, 1574 - Milano, 1625) eseguì nel 1618 per il refettorio della Santissima Annunziata del Vastato: il confronto tra i due artisti si fa però serrato nel momento in cui in mostra vediamo appaiati il Caino e Abele del pittore emiliano e quello del pittore genovese. La “gran forza”, appunto, con la quale Piola fa balzare in avanti la testa di Caino per rompere la bidimensionalità del supporto, deriva dalla composizione procaccinesca, che a sua volta guardava a modelli in scultura.

Domenico Piola, Martirio e gloria di san Giacomo
Domenico Piola, Martirio e gloria di san Giacomo (olio su tela, 313 x 320 cm; Genova, oratorio di San Giacomo alla Marina)


Confronto tra il Caino e Abele di Domenico Piola e quello di Giulio Cesare Procaccini
Confronto tra il Caino e Abele di Domenico Piola (olio su tela, 134 x 174,5 cm; Genova, Palazzo Bianco) e quello di Giulio Cesare Procaccini (olio su tela, 122 x 99,5 cm; Torino, Pinacoteca dell’Accademia Albertina)


Domenico Piola, Ultima cena
Domenico Piola, Ultima cena (olio su tela, 221 x 394 cm; Pieve di Teco, Museo Diocesano di Arte Sacra “Alta Valle Arroscia”)


Le fughe in Egitto di Valerio Castello e Domenico Piola
Le fughe in Egitto di Valerio Castello (al centro e a destra) e Domenico Piola (a sinistra

I confronti proseguono nelle sale successive: un “omaggio ai maestri” ci presenta una Madonna col Bambino di Domenico Piola, Madonna col Bambino e san Giovannino di Procaccini, una Sacra famiglia di Valerio Castello, e un dipinto d’analogo soggetto di Pellegro Piola (Genova, 1617 - 1640), il promettentissimo fratello di Domenico, assassinato a ventitré anni, a carriera già lanciata. È proprio Pellegro colui che indirizzerebbe Domenico verso preziosismi e delicatezze di matrice emiliana, segnatamente correggesca, che poi, superata la piccola sezione dei dipinti eseguiti da Domenico in collaborazione col cognato Stefano Camogli (Genova, 1610 circa - 1690), specialista di nature morte (nella prima sala, peraltro, si segnala un radioso inedito di Piola e Camogli, una Abigail che offre doni a David), ritroviamo puntualmente in uno splendido notturno: è un’Adorazione dei Pastori che si rifà scopertamente alla Notte del Correggio, modello probabilmente circolante a Genova a seguito di filtratura cambiasesca. Ambientata nella povera capanna, l’Adorazione è un delizioso racconto che vede al centro il Bambino, che brilla di luce propria secondo una consolidata tradizione, e illumina gli astanti, tutti partecipi d’una scena così toccante, decisamente natalizia, per dirla in termini moderni. Gli angeli nel registro superiore, le pose dei pastori, certi tipi facciali rimandano ai modi di Giovanni Benedetto Castiglione, meglio noto come il Grechetto (Genova, 1609 - Mantova, 1664), a cui guardarono tanto Domenico Piola quanto Valerio Castello. Anzi: Ezia Gavazza sottolineava che “capire Valerio Castello e Domenico Piola nei loro esiti senza il tramite castiglionesco significa deprivarli di una parte di quella carica culturale che è elemento fondamentale della loro innovazione”. Più nello specifico, Domenico Piola passò diverso tempo a copiare e imitare, come parte del proprio percorso formativo, le opere del Grechetto, e dagli spunti castiglioneschi trasse un repertorio figurativo che poi declinò in maniera del tutto autonoma. Il notturno di cui sopra è un esempio, ma il visitatore può giovarsi anche d’un confronto diretto, tra una Adorazione dei pastori del Grechetto, e l’omologo dipinto di Piola proveniente da Recco: basti notare gesti e connotati delle due Madonne.

S’è parlato poc’anzi di modelli in scultura, e qui occorre aprire una parentesi: una delle specifiche salienti dell’esposizione sono proprio i confronti tra pittura e scultura, mirati a suggerire in certa misura al pubblico quell’idea di arte totale che guidò le ricerche di molti artisti del XVII secolo. Non solo: sappiamo, da Ratti, che Piola era amico di due dei principali scultori attivi sulla scena genovese del tempo, ovvero Filippo Parodi (Genova, 1630 - 1702) e il francese Pierre Puget (Marsiglia, 1620 - 1694), ed era al corrente delle imprese che il suo conterraneo Giovan Battista Gaulli, meglio noto come il Baciccio (Genova, 1639 - Roma, 1709), stava compiendo a Roma assieme a Bernini. Difficile compendiare in breve i legami tra Piola e la scultura (un tema sul quale, peraltro, s’espresse anche Roberto Longhi): il pittore proseguiva in tal senso una sorta di “tradizione” genovese, dacché altri grandi che lo precedettero (Domenico Fiasella e Luca Cambiaso su tutti) ebbero anch’essi rapporti con la scultura. Rapporti che la mostra cerca di esplicitare esponendo, in uno spazio appositamente creato sfruttando la disposizione degli ambienti di Palazzo Nicolosio Lomellino, una marmorea Madre dolente (ma l’identificazione del soggetto non è del tutto sicura) di Filippo Parodi e un Progetto per un altare con baldacchino e statua della Madonna Immacolata di Pierre Puget, opera di Domenico Piola: la statua di Parodi è modellata sull’esempio della precedente Santa Susanna di François Duquesnoy in Santa Maria di Loreto a Roma (e la stessa produzione di Piola avrebbe avuto punti di contatto con quella di Duquesnoy) ma mostra anche un certo avvicinamento ai modi di Pierre Puget, la cui Immacolata campeggia al centro del baldacchino di Piola, elemento che dimostra come l’artista genovese abbia fatto propria “la permeabilità e l’integrazione delle arti” (così Valentina Fiore in catalogo), ispirandosi peraltro anche al berniniano baldacchino di San Pietro.

Un confronto tra scultura e pittura torna poi nel finale dell’esposizione: vengono appaiate, l’una di fronte all’altra, la Madonna della Misericordia dipinta da Piola e quella scolpita in legno da Anton Maria Maragliano (Genova, 1664 - 1739). L’opera di Piola ci presenta una Madonna vestita di bianco, che appare in un tripudio d’angeli e cherubini sopra una nuvola che si materializza dinnanzi al beato Antonio Botta e che riprende con tutta probabilità l’idea di Cosimo Fancelli per l’ancona marmorea della cappella Gavotti in San Nicola da Tolentino a Roma (a dimostrare ulteriormente quanto Piola fosse attento a ciò che accadeva attorno a lui, e non soltanto in pittura): scultoreo è l’effetto di tridimensionalità che la Vergine piolesca cerca di suscitare, ma scultoreo è anche il candore che sembra quasi richiamare il marmo, e proprî d’uno scultore paiono i panneggi così segnati. La tela di Piola costituì dunque un buon esempio per Maragliano che, legato in rapporto d’amicizia con l’ormai ultracinquantenne pittore (siamo, è necessario sottolinearlo, negli anni Ottanta del Seicento), riprese composizioni e fisionomie da Piola.

La sezione dell'omaggio ai maestri con le quattro opere a confronto
La sezione dell’omaggio ai maestri con le quattro opere a confronto. A sinistra: Giulio Cesare Procaccini, Madonna con Gesù Bambino, san Giovannino e due profeti (olio su tela, 132 x 81,5 cm; Genova, Palazzo Bianco). Al centro: Pellegro Piola, Sacra Famiglia con san Giovannino (olio su tela, 145,5 x 105,8 cm; Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola). A destra, in alto: Valerio Castello, Sacra Famiglia (olio su tela, 98 x 74 cm; Collezione privata). A destra, in basso: Domenico Piola, Madonna con Gesù Bambino e san Giovannino (olio su tela, 115 x 91 cm; Collezione privata)


Domenico Piola, Adorazione dei Pastori
Domenico Piola, Adorazione dei Pastori (olio su tela, 126 x 98,5 cm; Parigi, Galerie Canesso)


Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto, Adorazione dei Pastori
Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto, Adorazione dei Pastori (olio su rame, 65 x 56,5 cm; Palazzo Bianco)


Domenico Piola, Adorazione dei Pastori
Domenico Piola, Adorazione dei Pastori (olio su tela, 260 x 200 cm; Recco, San Francesco)


Domenico Piola, Progetto per un altare con baldacchino e statua della Madonna Immacolata di Pierre Puget
Domenico Piola, Progetto per un altare con baldacchino e statua della Madonna Immacolata di Pierre Puget (olio su tela, 171 x 122 cm; Collezione privata, courtesy Galleria Benappi, Torino)


Filippo Parodi, Madre dolente
Filippo Parodi, Madre dolente (marmo, 130 x 50 x 50 cm; Collezione privata)


Domenico Piola, Madonna della Misericordia
Domenico Piola, Madonna della Misericordia (olio su tela, 180 x 124 cm; Genova, collezione privata)


Anton Maria Maragliano, Madonna della Misericordia
Anton Maria Maragliano, Madonna della Misericordia (legno scolpito e dipinto, 133 x 103 x 37 cm; Genova, collezione privata)

Assonanze con la scultura di Puget ricorrono poi nei due capolavori della sezione sulle “tavole da altare lavorate per le chiese ed oratori”, ovvero la Santa Maria Maddalena in preghiera dell’oratorio di Santa Maria Maddalena a Laigueglia e la Madonna Assunta della chiesa di San Giovanni Battista di Chiavari, due grandi tele all’incirca delle stesse dimensioni (tre metri per due), in cui l’effetto plastico delle figure, in particolar modo quello che contraddistingue le due protagoniste, ha più d’un debito verso le Madonne di Puget. I due esempî, scelti da Davide Sanguineti per dar conto al pubblico d’un ambito oltremodo vasto della produzione piolesca quale fu quello delle pale d’altare, consentono, assieme a un buon numero di bozzetti collocati nella stessa sala, d’apprezzare le caratteristiche della pittura di Piola nei quadri di grande formato. Entrambe le pale esposte a Palazzo Nicolosio Lomellino sono opere cui l’artista attese a partire dal 1676, sono aggiornate su di un dinamismo che, tramite la compenetrazione di diversi piani prospettici scalati, rompe la verticalità della composizione, e soprattutto mirano al coinvolgimento diretto dell’osservatore, servendosi anche d’espedienti volti a sfruttare l’ambiente che avrebbe dovuto accoglierle. Ovviamente in mostra è difficile figurarsi le pale immerse nei luoghi per i quali furono ideate, ma non si potrà fare a meno di notare, osservando per esempio la Maddalena di Laigueglia, come la luce dorata proveniente dal cielo che si squarcia in modo spettacolare nell’angolo in alto a destra finisca con l’irradiare tutti i personaggi, investendo in pieno la raffinatissima figura della Maddalena (che non sembra minimamente toccata dai patimenti della sua penitenza): la luce dipinta, nelle intenzioni di Piola, vuol proseguire quella naturale che, nell’oratorio di Laigueglia, filtra da una finestra.

Similmente nell’Assunta di Chiavari, il punto di vista fortemente ribassato (ancor più che nella pala di Laigueglia), la disposizione degli apostoli collocati tutti attorno al sepolcro della Vergine (quasi che il posto centrale sia riservato a noi che ci avviciniamo alla scena), la gestualità dei santi volta a catturare chiunque rivolga lo sguardo a quanto sta avvenendo, gli angeli in alto che scostano le nuvole come fossero le due metà d’un sipario (particolare che accresce la teatralità della scena), sono tutti elementi che accentuano il carattere spiccatamente scenografico dell’opera, mirando a un coinvolgere in prima persona l’osservatore, chiamato a esser egli stesso protagonista dell’evento miracoloso al quale fa da testimone, secondo il topos tipico della retorica figurativa dell’età barocca. La pala chiavarese è inoltre firmata e datata 1676, con la notazione che appare sul libro riposto davanti al sepolcro.

Domenico Piola, Madonna Assunta
Domenico Piola, Madonna Assunta (olio su tela, 294 x 194 cm; Chiavari, San Giovanni Battista)


Domenico Piola, Santa Maria Maddalena in preghiera
Domenico Piola, Santa Maria Maddalena in preghiera (olio su tela, 300 x 198 cm; Laigueglia; Santa Maria Maddalena)

L’esposizione genovese alterna in continuazione un Piola dalla dimensione “pubblica” a un Piola “privato”, e giova evidenziare che il secentesco pittore seppe esprimersi con eccezionali acuti anche nelle opere destinate alla devozione privata. Appena si lascia la Maddalena “pubblica” di Laigueglia, la mostra presenta una meravigliosa Santa Maria Maddalena confortata dagli angeli destinata a un cliente privato del quale non abbiamo alcuna informazione: quanto era casta e spirituale la santa di Laigueglia, tanto è sensuale e terrena quella destinata all’intima fruizione del suo committente. Certo, Piola non raggiunge la carnalità e l’erotismo d’un Cagnacci o d’un Furini, ma comune a tanti altri artisti attivi al tempo è la rivisitazione in chiave profana del tema della penitenza di santa Maria Maddalena, restituita su questa tela come una ragazza dal seno florido colta in tutta la sua tangibile fisicità, per niente scalfita dalle privazioni alle quali la giovane si sarebbe sottoposta secondo le sue agiografie. Sanguineti, nel catalogo, evidenzia connessioni letterarie tra la santa di Piola e la Maria Maddalena peccatrice convertita, protagonista d’un romanzo così intitolato e scritto da Anton Giulio Brignole Sale (la pubblicazione risale al 1636). Nel testo incontriamo un passaggio, un’esclamazione della Maddalena pronta ad accogliere l’amore divino (tuttavia più simile allo struggimento di un’amante che a un’invocazione mistica), che Piola par quasi voler trasferire in immagine: “deh dolcezze, giubili, beatitudini: se voi forse non siete altro che l’Amor, ond’io amo, riempitemi pure, inondatemi, sommergetemi pure, habbiate il mio Gesù con esso voi, perch’io ’l baci tutto, perch’io lo stringa tutto, ch’io no lo ’l lascierò mai più partire dalle mie braccia, acciocché voi ne meno mai più partiate”.

Il visitatore non potrà fare a meno di notare come la maniera di Domenico Piola abbia subito dei considerevoli cambiamenti rispetto a quella “di gran forza” degli esordî. La guida è ancora una volta Ratti: “il suo figurare spirava grazia, specialmente ne’ volti delle femmine, e de’ fanciulli; e rappresentava al vivo gli affetti; nel che mostrò quanto studio avesse fatto sul naturale e su i modelli del Fiammingo [...]. Il colorito poi era delicato, sugoso, morbido, d’un soave impasto, e vero”. Al di là del probabile riferimento a Duquesnoy (potrebbe esser lui il “Fiammingo”), questa dolcezza di fondo che anima la seconda maniera di Piola è da ritrovar tutta nella Maddalena privata, nel suo volto dolce e delicato, aggraziato quanto quello della bellissima protagonista del Ratto d’Europa che in mostra è esposto sulla stessa parete, a pochi centimetri di distanza. Il dipinto, di proprietà della Carige, con i suoi cangiantismi, col colorito tenue che fa da contraltare al plasticismo scultoreo della figura d’Europa, con la teatralità della ragazza in certo modo tenuta a bada dall’eleganza dei gesti e dalla soavità del suo corpo (quest’Europa supera in femminilità la Maddalena che la fiancheggia), è particolarmente esemplificativo dei modi edulcorati cui l’artista giunse negli anni Sessanta (il Ratto è probabilmente opera dei primi anni Ottanta). La mostra termina dando conto del grande successo ottenuto dall’artista: un successo che nelle sale di Palazzo Nicolosio Lomellino si concretizza in una vera quadreria, ricreata così come poteva vederla di fronte a sé un collezionista del Seicento. L’ultima sala ci presenta dunque una serie di dipinti realizzati per abbellire le residenze di committenti privati, e tutti con impaginazione ideata tenendo bene a mente il luogo che doveva accoglierli. Sceglierne uno o due più rappresentativi d’altri è compito arduo, anche perché la produzione di Piola per le case genovesi fu così abbondante da stancare ogni penna, assicura Ratti, e la selezione operata da Davide Sanguineti è anch’essa piuttosto ricca: non rimane che osservare dal vivo. Anche perché ci troviamo dentro a un palazzo appartenuto a una famiglia del patriziato genovese, in una sala affrescata nel Seicento, con davanti a noi una quadreria secentesca, che ricostruisce doviziosamente financo il gusto con cui all’epoca si disponevano i dipinti in un ambiente privato: in definitiva, un’esperienza ben più immersiva di tante altre ufficialmente presentate come tali.

Domenico Piola, Santa Maria Maddalena confortata dagli angeli
Domenico Piola, Santa Maria Maddalena confortata dagli angeli (olio su tela, 198 x 137 cm; Collezione privata, courtesy Galleria Benappi, Torino)


Domenico Piola, Ratto d'Europa
Domenico Piola, Ratto d’Europa (olio su tela, 167 x 132 cm; Genova, Collezioni d’arte Banca Carige)


La quadreria nell'ultima sala
La quadreria nell’ultima sala

Riguardo alla mostra di disegni allestita nel mezzanino di Palazzo Rosso, curata da Piero Boccardo, Margherita Priarone e Raffaella Besta, si può dire che occorrerà un approfondimento a sé stante per dare un’idea della complessità della produzione grafica di Domenico Piola, ottimamente riassunta in poco più di quaranta fogli volti, più che a fornire un panorama completo (operazione ardua: sono centinaia i disegni lasciati da Piola), a dimostrare la varietà dei temi affrontati dal pittore col mezzo del disegno. Sono per la più parte bozzetti per pale d’altare o per dipinti destinati alla devozione domestica: c’è da considerare che Piola fu per molto tempo a capo d’una fiorente bottega (ricordata peraltro con gli ultimi due dipinti di Palazzo Lomellino), che operò sostanzialmente senza concorrenza. Possiamo quindi immaginare quanti lavori ne sortissero, anche per il fatto che l’atelier di Piola lavorava anche con scultori e intagliatori, ai quali l’artista stesso forniva i disegni. Basterà qui citare due fogli interessanti per la loro particolarità: si tratta di disegni per poppe di navi, delle quali Piola in più di un’occasione si trovò a progettare gli apparati decorativi.

Uscendo da Palazzo Nicolosio Lomellino prima, e da Palazzo Rosso poi, e completato quindi il giro delle due sedi dell’esposizione, si potrà seguire l’opuscolo distribuito in mostra per andare alla scoperta dei percorsi pioleschi che completano la rassegna sul grande pittore barocco. Riassumendo in una riga: prima mostra monografica completa a lui dedicata, con diversi inediti di gran qualità, e fondata su un coinvolgente modello, in certo senso nuovo per Genova (le sinergie in passato non erano mancate, ma mai sono state così estese), e che potrebbe far scuola: l’attuale dibattito attorno alle mostre verte in larga misura su come legare le esposizioni al territorio. A Genova l’obiettivo è stato pienamente raggiunto, con un’esposizione intelligente, un’autentica perla da visitare senza esitazione per scoprire la produzione d’uno dei grandi protagonisti della Genova secentesca e per comprendere cosa sia veramente una mostra utile e animata da una ricerca originale. Merita un’ultima nota il catalogo, che si compone d’un unico saggio (una ricognizione del curatore che, seguendo le sezioni della mostra, offre una vivace panoramica sull’intero percorso artistico di Domenico Piola), e di ben centocinquanta dettagliate e impeccabili schede delle opere delle due sedi “principali” e dei lavori che il visitatore trova nelle tante “sedi satellite” che in città ospitano dipinti e affreschi di Domenico Piola.

Domenico Piola, Progetto per la poppa di una nave
Domenico Piola, Progetto per la poppa di una nave con l’arma della Repubblica di Genova (penna e inchiostro, pennello e inchiostro acquerellato, carta bianca, 37,4 x 29,1 cm; Genova, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe di Palazzo Rosso)


Ingresso della mostra di Domenico Piola a Genova
Ingresso della mostra di Domenico Piola a Genova


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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