Un incredibile maestro del ritratto. Com'è la mostra su Giovan Battista Moroni a Milano


Recensione della mostra “Moroni. Il ritratto del suo tempo”, a cura di Simone Facchinetti e Arturo Galansino (Milano, Gallerie d’Italia, dal 6 dicembre al 1° aprile 2024).

Anche un acclamato artista contemporaneo come David Hockney forse si può includere nel novero degli ammiratori di Giovanni Battista Moroni. Ma anche qualora si ritenesse eccessivo affibbiargli l’etichetta di appassionato, è comunque sicuro che Hockney figura tra quanti, nei secoli, hanno apprezzato le doti straordinarie del pittore bergamasco: “verso il 1553”, ha scritto Hockney nel suo libro Secret Knowledge dedicato alle tecniche degli artisti del passato, “Moroni dipingeva il più elaborato dei vestiti, con un disegno audace che è sempre credibile sulla sua superficie, che segue le pieghe e con sottili luci e ombre tutte raffigurate”. In effetti, il visitatore che entra in un museo e vede per la prima volta un quadro di Moroni, magari senza conoscere l’artista e senz’aspettarselo, rimane colpito da quegli abiti che restituiscono sensazioni tattili così concrete, così intense, così incredibilmente vere ché sembra quasi che le stoffe si siano materializzate lì, dentro alla stanza, davanti agli occhi di chi le guarda e vorrebbe allungare una mano per sincerarsi che siano soltanto dipinte. Non ci sono trucchi: è il talento di uno dei più grandi ritrattisti della storia. Uno specialista tanto legato al suo genere da rivelarsi invece pittore ordinario, nella media se non addirittura mediocre, quando s’occupava di cose che non gli erano proprio congeniali (le pale d’altare, per esempio). Quando però si trovava davanti un modello che posava per lui, Moroni si rivelava un artista dotato d’una sensibilità fuori dal comune e di prodigiose capacità mimetiche, attento al vero come quasi nessun altro dei suoi colleghi, e dunque artista compiutamente moderno. Ed è a lui che le Gallerie d’Italia di piazza Scala dedicano la mostra invernale di quest’anno, Moroni. Il ritratto del suo tempo, a cura di Simone Facchinetti e Arturo Galansino che già hanno lavorato assieme su altre rassegne centrate sul pittore di Albino. A Milano però è diverso: mai una mostra su Moroni aveva raggiunto un’estensione e una completezza paragonabili.

Una parte significativa della produzione nota di Moroni è stata radunata qui, nelle sale di quella che un tempo fu la sede della Banca Commerciale Italiana. Sono per lo più ritratti, com’è lecito attendersi. Eppure è una mostra movimentata. In parte perché Moroni è un pittore sorprendente. I suoi ritratti non hanno il registro ufficiale e grave dei ritratti di Tiziano, né i sussulti corsivi dei ritratti del Tintoretto, e neppure l’intimità quasi informale dei ritratti di Lorenzo Lotto, il pittore a cui Moroni più somiglia. I ritratti di Moroni sorprendono per il loro realismo sbalorditivo, capace di superare persino quello di Lorenzo Lotto, per l’acume dell’indagine psicologica, per la credibilità con cui l’artista restituisce ogni singolo elemento all’osservatore: frammenti di pelle, brani di seta accarezzata dalla luce, barbe di due giorni, gioielli, peli, pizzi, rughe, labbra, riflessi. Longhi aveva inserito Moroni lungo una tradizione che partiva da Donato de’ Bardi e Vincenzo Foppa e arrivava fino a Caravaggio. Mina Gregori parlava invece di “occhio lombardo” e gli attribuiva la capacità d’aver sviluppato una cultura figurativa particolare, settentrionale, in grado d’operare una mediazione tra i bresciani (Moretto, che fu maestro di Moroni, e poi ovviamente Savoldo e Romanino) e Lorenzo Lotto, la seconda stella polare di Moroni. Una cultura figurativa che attribuiva sommo valore alla capacità di percepire in maniera spontanea i fenomeni ottici senza passare per il tramite astraente del disegno, ma cercando di scoprirli, semmai, per mezzo della luce. Ecco perché non è azzardato considerarlo un precursore di Caravaggio. Moroni era un artista che osservava la realtà per quello che è, e metteva il suo acutissimo spirito d’osservazione a disposizione dei suoi committenti.

E l’obiettivo di fondo della mostra milanese è semplice: dar conto al pubblico di chi sia stato Moroni, di quale sia stato il contributo che questo artista ha dato alla cultura del proprio tempo e alla storia dell’arte. È necessario, dunque, che sia essenzialmente una mostra di ritratti. Il visitatore però non ne uscirà annoiato, e non solo, come s’è detto sopra, perché Moroni è un pittore sorprendente, ma anche perché i curatori hanno saputo costruire un percorso, compiuto e dinamico, in nove capitoli, senza seguire uno stretto ordine cronologico, ma radunando le opere per temi, utile per fornire al pubblico le coordinate per orientarsi nella produzione del pittore bergamasco. Ne risulta la figura d’un pittore talentuoso, sensibile, innovativo, apprezzato dalla committenza, eppure poi relegato, lungo i secoli, a un ruolo marginale, perché il ritratto è stato a lungo un genere considerato secondario. E il pieno riconoscimento, per un ritrattista puro, è traguardo difficile da raggiungere. Non lo hanno aiutato le sue pale d’altare, dipinte in stragrande maggioranza per minuscole parrocchie di provincia sparse nel bergamasco. Non lo ha aiutato una letteratura artistica coeva piuttosto avara nei suoi riguardi. La riscoperta di Moroni è un fatto prettamente novecentesco. E oggi siamo in grado d’apprezzarlo per esser stato uomo nuovo d’una stagione straordinariamente feconda.

Allestimenti della mostra Moroni. Il ritratto del suo tempo
Allestimenti della mostra Moroni. Il ritratto del suo tempo
Allestimenti della mostra Moroni. Il ritratto del suo tempo
Allestimenti della mostra Moroni. Il ritratto del suo tempo
Allestimenti della mostra Moroni. Il ritratto del suo tempo
Allestimenti della mostra Moroni. Il ritratto del suo tempo
Allestimenti della mostra Moroni. Il ritratto del suo tempo
Allestimenti della mostra Moroni. Il ritratto del suo tempo
Allestimenti della mostra Moroni. Il ritratto del suo tempo
Allestimenti della mostra Moroni. Il ritratto del suo tempo
Allestimenti della mostra Moroni. Il ritratto del suo tempo
Allestimenti della mostra Moroni. Il ritratto del suo tempo

La stagione personale di Moroni comincia invece negli anni Trenta del Cinquecento, quando la famiglia dell’artista si trasferisce nel bresciano e lui entra nella bottega di Alessandro Bonvicini, il Moretto: da qui prende avvio la mostra, dal grande salone centrale delle Gallerie d’Italia dove son state sistemate le pale d’altare del Moretto, a cominciare dallo Sposalizio di santa Caterina d’Alessandria della chiesa di San Clemente a Brescia e dalla Madonna col Bambino tra i santi Eusebia, Andrea, Domneone e Domno, entrambi testi fondamentali per il giovane Moroni che dà avvio al proprio percorso copiando le invenzioni del maestro. La rassegna ha radunato alcuni fogli che offrono una testimonianza di questa pratica, nella quale il pittore avrebbe continuato a esercitarsi per qualche tempo, un po’ per affinare la propria tecnica, e un po’ per allargare il proprio repertorio di modelli, che gli sarebbero tornati utili nel caso avesse ricevuto incarichi per qualche pala d’altare. Anche perché, in epoca di Concilio di Trento, agli artisti si chiedeva d’essere più pragmatici che originali: lo dimostra la pala che Moroni dipinge nel 1551 per la basilica di Santa Maria Maggiore a Trento, forse la migliore della sua carriera, anche perché vicinissima alle soluzioni compositive e alle trovate stilistiche del Moretto, tanto da esser stata a lungo equivocata per un’opera del maestro bresciano, e solo la recente scoperta di alcuni documenti incontestabili ha fatto luce sul nome di Moroni. A queste altezze cronologiche, Moroni è già però un ritrattista indipendente, e occorre dunque riavvolgere il nastro per tornare all’epoca in cui l’artista inizia a guardarsi attorno. Non sappiamo bene quando Moroni abbia cominciato a specializzarsi come ritrattista, ma sussistono alcuni punti fermi: intanto, i primi ritratti del bergamasco rimontano agli anni Quaranta del Cinquecento. E poi, queste prime prove appaiono rischiarate dai fari del Moretto e di Lorenzo Lotto, i due poli entro i quali si muove fin da subito la ritrattistica di Moroni: possiamo forse spingerci a ritenere che abbia conosciuto anche Lotto di persona, anche perché il veneziano era amico di Moretto. Su questi apporti si concentra la seconda sezione della mostra, senza naturalmente trascurarne altri (per esempio Andrea Solario o Dürer), nessuno dei quali però paragonabile, per importanza, ai due modelli supremi: estremizzando, potremmo dire Moretto per l’impaginazione e Lotto per l’atteggiamento. Il Ritratto di Giulio Gilardi, uno dei più interessanti prestiti della mostra (viene dal San Francisco Fine Arts Museum) rappresenta con somma efficacia il modo in cui Moroni dovette guardare a Moretto e Lotto: rimandano al primo la posa di tre quarti, l’idea di far poggiare lungo i fianchi la mano più vicina all’osservatore, lo spiccato naturalismo (la mostra produce qui un puntuale confronto con un’opera del Moretto di poco precedente, il Ritratto di Gerolamo Martinengo di Padernello), mentre l’ambientazione, un interno domestico descritto con precisione, serba un’eco dell’approccio lottesco, “in grado di stabilire un rapporto di speciale confidenza con l’effigiato e di sorprenderlo nella sua più segreta intimità” (così Francesco Frangi), e in questo caso torna comodissimo il raffronto col celeberrimo Ritratto di giovane di Lotto custodito alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. La vicinanza al Moretto in questa fase è comunque ancora evidente: il Ritratto di M.A. Savelli (finora infruttuosi i tentativi di dare una più precisa identità al personaggio indicato dall’iscrizione), proveniente dal Museo Gulbenkian di Lisbona, in passato è stato ritenuto opera del bresciano. E che ci si trovi davanti a un ritrattista ancora agli esordî appare ancor più evidente se si osservano i due piccoli ritratti della Pinacoteca Nazionale di Siena, veritieri nel loro naturalismo, ma ancora lontani da quella vivacità di cui Moroni darà prova negli anni a venire.

È comunque pressoché certo che Moroni, malgrado l’aderenza ancora piuttosto stretta ai modi del maestro (per quanto, come s’è visto, venata d’accenti di spiccata originalità), si fosse già fatto un nome, se all’inizio degli anni Cinquanta era a Trento al servizio dei Madruzzo, famiglia tra le più potenti della città, e proprio nel periodo in cui il Concilio era nel vivo. Trento è uno snodo fondamentale per la carriera di Moroni, perché qui l’artista ha modo non soltanto di lavorare per un committente importante, e dunque di mettersi in mostra, ma anche di misurarsi coi grandi ritrattisti internazionali, a cominciare dall’olandese Anthonis Mor, di cui son presenti il Ritratto di Antoine Perrenot de Granvelle e il Ritratto di Giovanni Battista Castaldo, e da Tiziano, arrivato in mostra col Ritratto di Giulio Romano e con il Ritratto del principe vescovo Cristoforo Madruzzo (e, poco più avanti, con l’incredibile Ritratto di Filippo Archinto, oggetto misterioso per via del velo davanti al personaggio, di cui forse si sarà ricordato Francis Bacon secoli più tardi): due artisti che stavano fissando i canoni della ritrattistica ufficiale. Un po’ più paludato e sofisticato Mor, più spontaneo e movimentato Tiziano, che diventa evidentemente punto di riferimento di Moroni se si ammette che il probabile Ritratto di Michel de l’Hôspital della Pinacoteca Ambrosiana abbia qualche debito nei riguardi del monumentale ritratto del principe vescovo, che il pittore di Albino deve aver visto a Trento (Mina Gregori individuava invece un riferimento nel Ritratto virile del Moretto, dipinto nel 1526, oggi conservato a Londra: purtroppo non è presente in mostra). Forti anche le somiglianze tra il ritratto tizianesco di Giulio Romano e il Ritratto di Alessandro Vittoria di Moroni, straordinario capolavoro di vitalità, immediatezza e naturalismo, tra i vertici dell’intero catalogo moroniano: il personaggio, il più grande scultore veneziano del Cinquecento (e dunque un artista come Giulio Romano), è raffigurato nella stessa posa del collega, di tre quarti, con il volto rivolto verso la sinistra di chi osserva, e con l’oggetto della sua arte tra le mani. Se però il ritratto di Tiziano serba una qualche misura e si propone agli occhi del riguardante ammantato d’una certa formalità, quello di Moroni ci appare decisamente più movimentato: sembra che Alessandro Vittoria si sia appena voltato, rapidamente, lo sguardo dei suoi occhi, vivacissimo, trasuda fermezza e orgoglio per il proprio lavoro, un orgoglio ulteriormente sottolineato dal movimento saldo delle mani e delle braccia, coi muscoli in tensione per tenere salda la statua. Una lezione che Moroni aveva mutuato da Lorenzo Lotto: ogni movimento del corpo è riflesso d’uno stato d’animo, anche un gesto trasmette un’emozione.

L’idea tipicamente lottesca d’entrare nel privato del soggetto non viene abbandonata neppure nei ritratti degli uomini di potere, che anzi evidentemente dimostrarono d’apprezzare la spigliatezza di Moroni, se in questi dipinti è possibile apprezzare gli atteggiamenti più varî, come attesta la sequenza dei tre ritratti di podestà (gli amministratori della Repubblica di Venezia sul territorio), ovvero quello non identificato dell’Accademia Carrara di Bergamo, quello di Antonio Navagero e quello di Jacopo Foscarini: questi personaggi, “nonostante indossino gli abiti ufficiali che designano il loro rango”, scrivono i curatori, “sono ripresi in pose e atteggiamenti accostanti e feriali, qualche volta ci guardano addirittura con aria amichevole”. Pose e atteggiamenti forse poco indicati per un’esposizione presso uffici o spazî pubblici: non abbiamo idea di dove fossero esposti, ma è probabile che adornassero le residenze private di questi politici, tant’è che in molti casi la loro storia è proseguita nelle raccolte dei discendenti. La sezione successiva della mostra, la quinta, è dedicata al “ritratto naturale”, questione approfondita da Paolo Plebani nel suo saggio del catalogo, dacché oggetto d’intenso dibattito al tempo: il soggetto dev’essere ritratto nella maniera più fedele possibile al dato naturale, oppure nel ritratto occorre introdurre una qualche forma d’idealizzazione? La linea che avrebbe avuto maggior fortuna è quella idealizzante, e questo in certa misura spiega anche una parte dell’insuccesso critico della ritrattistica moroniana, malgrado il ritratto avesse conosciuto proprio durante il Rinascimento, e in particolare nel Cinquecento, una importanza sempre maggiore, legata, ricorda lo stesso Plebani, “a varî fattori, tra cui il culto per l’individuo, il tema della memoria e della celebrazione degli uomini illustri”. E questo spiega perché il genere del ritratto, al tempo di Moroni, ha successo non soltanto tra sovrani e alti prelati, ma anche presso personaggi meno altolocati, come attesta la lunga teoria di ritratti della quinta sezione della rassegna.

Sono dipinti che stupiscono per il loro naturalismo, cui Moroni si mantiene fedele per tutta la sua carriera, senza cercare alcun tipo di mediazione, e anzi rendendo sempre più acute le sue indagini sui soggetti: si raffronti, per esempio, il Ritratto di giovane di profilo dell’Accademia Carrara coi due ritratti di Siena, data l’identica impaginazione. Com’è cambiata però, nel giro d’una decina d’anni, la ricerca di Moroni sull’espressività del personaggio! E si potrebbe poi indugiare sulla “bonaria ironia” (così Facchinetti) con la quale Moroni cerca di trasmettere i caratteri dei suoi personaggi, una galleria d’individui che ci appaiono così vicini: l’occhio sornione del canonico lateranense Basilio Zanchi (e la sua tonsura, e la barba appena accennate dipinte con una precisione che diremmo fotografica), lo sguardo arcigno di Lucia Vertova Agosti (e l’accuratezza lenticolare con cui Moroni raffigura gioielli e pizzi), la seria fermezza del Ritratto di ventinovenne, l’atteggiamento un po’ tediato di Pietro Spino. Molti di loro sono colti nell’atto di tenere il segno con l’indice in un libro che stanno leggendo, un po’ perché il libro all’epoca era una sorta di status symbol, e farsi ritrarre nell’atto di leggere trasmetteva un’immagine di prestigio e rispettabilità, e un po’ perché questa posa suggeriva naturalezza e movimento. Particolarmente curioso il ritratto del condottiero Bartolomeo Colleoni, che Moroni dipinge a partire da un’immagine di fine Quattrocento, e poi a sua volta base per un’incisione successiva: curioso perché Moroni si cimenta con la raffigurazione d’un personaggio morto, cercando di sforzarsi per infondergli un soffio di vita, ma l’impresa è ardua e ne risulta non certo una delle cose meglio riuscite d’un artista che riusciva a dare il meglio di sé quando aveva davanti un modello in carne e ossa.

Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Madonna con il Bambino in trono tra i santi Eusebia, Andrea, Domneone e Domno (1536-1537; olio su tela, 224 x 174 cm; Bergamo, chiesa di Sant’Andrea Apostolo)
Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Madonna con il Bambino in trono tra i santi Eusebia, Andrea, Domneone e Domno (1536-1537; olio su tela, 224 x 174 cm; Bergamo, chiesa di Sant’Andrea Apostolo)
Giovanni Battista Moroni, Madonna con il Bambino in gloria e i santi Ambrogio, Gregorio, Gerolamo, Agostino e Giovanni evangelista (1551 circa; olio su tela, 330 x 164 cm; Trento, basilica di Santa Maria Maggiore)
Giovanni Battista Moroni, Madonna con il Bambino in gloria e i santi Ambrogio, Gregorio, Gerolamo, Agostino e Giovanni evangelista (1551 circa; olio su tela, 330 x 164 cm; Trento, basilica di Santa Maria Maggiore)
Lorenzo Lotto, Ritratto di giovane (1530 circa; olio su tela, 98 x 111 cm; Venezia, Gallerie dell’Accademia, inv. 912)
Lorenzo Lotto, Ritratto di giovane (1530 circa; olio su tela, 98 x 111 cm; Venezia, Gallerie dell’Accademia, inv. 912)
Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Ritratto di Gerolamo Martinengo di Padernello (1542-1543 circa; olio su tela, 83,8 x 67,8 cm; Montichiari, Museo Lechi, inv. M1.27)
Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Ritratto di Gerolamo Martinengo di Padernello (1542-1543 circa; olio su tela, 83,8 x 67,8 cm; Montichiari, Museo Lechi, inv. M1.27)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di Giulio Gilardi (1548 circa; olio su tela, 118,4 x 104,1 cm; San Francisco, San Francisco Fine Arts Museums, acquisto, collezione Mildred Anna Williams, inv. 1941.22)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di Giulio Gilardi (1548 circa; olio su tela, 118,4 x 104,1 cm; San Francisco, San Francisco Fine Arts Museums, acquisto, collezione Mildred Anna Williams, inv. 1941.22)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di giovane con la barba (1543-1545 circa; olio su tela, 44,2 x 37,6 cm; Siena, Pinacoteca Nazionale, inv. 467)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di giovane con la barba (1543-1545 circa; olio su tela, 44,2 x 37,6 cm; Siena, Pinacoteca Nazionale, inv. 467)
Anthonis Mor, Ritratto di Giovanni Battista Castaldo (1550 circa; olio su tavola, 107 x 82,20 cm; Madrid, Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, inv. 291 [1976.65])
Anthonis Mor, Ritratto di Giovanni Battista Castaldo (1550 circa; olio su tavola, 107 x 82,20 cm; Madrid, Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, inv. 291 [1976.65])
Tiziano Vecellio, Ritratto di Giulio Romano (1536-1538 circa; olio su tela, 101 x 86 cm; Mantova, Museo Civico di Palazzo Te, inv. Regione Lombardia 410601)
Tiziano Vecellio, Ritratto di Giulio Romano (1536-1538 circa; olio su tela, 101 x 86 cm; Mantova, Museo Civico di Palazzo Te, inv. Regione Lombardia 410601)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di Alessandro Vittoria (1551-1552 circa; olio su tela, 82,5 x 65 cm; Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie, inv. 78)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di Alessandro Vittoria (1551-1552 circa; olio su tela, 82,5 x 65 cm; Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie, inv. 78)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di Michel de l’Hôspital (?) (1554; olio su tela, 185 x 115 cm; Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Pinacoteca)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di Michel de l’Hôspital (?) (1554; olio su tela, 185 x 115 cm; Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Pinacoteca)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di podestà (1558-1562 circa; olio su tela, 86 x 71 cm; Bergamo, Accademia Carrara, inv. 58 ACDP 006, in deposito da Azienda Socio Sanitaria Territoriale Papa Giovanni XXIII, Bergamo)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di podestà (1558-1562 circa; olio su tela, 86 x 71 cm; Bergamo, Accademia Carrara, inv. 58 ACDP 006, in deposito da Azienda Socio Sanitaria Territoriale Papa Giovanni XXIII, Bergamo)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di Antonio Navagero (1565; olio su tela, 115 x 90 cm; Milano, Pinacoteca di Brera, inv. 334)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di Antonio Navagero (1565; olio su tela, 115 x 90 cm; Milano, Pinacoteca di Brera, inv. 334)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di giovane di profilo (1557-1559 circa; olio su tela, 34 x 28 cm; Bergamo, Accademia Carrara, inv. 58AC00329)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di giovane di profilo (1557-1559 circa; olio su tela, 34 x 28 cm; Bergamo, Accademia Carrara, inv. 58AC00329)
Giovan Battista Moroni, Ritratto di ventinovenne (1567; olio su tela, 57 x 45 cm; Bergamo, Accademia Carrara, inv. 81 LC 00174)
Giovan Battista Moroni, Ritratto di ventinovenne (1567; olio su tela, 57 x 45 cm; Bergamo, Accademia Carrara, inv. 81 LC 00174)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di vecchio seduto con un libro (Pietro Spino) (1576-1579 circa; olio su tela, 97,5 x 81,2 cm; Bergamo, Accademia Carrara, inv. 58 AC 0084)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di vecchio seduto con un libro (Pietro Spino) (1576-1579 circa; olio su tela, 97,5 x 81,2 cm; Bergamo, Accademia Carrara, inv. 58 AC 0084)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di vecchio seduto con un libro (Pietro Spino) (1576-1579 circa; olio su tela, 97,5 x 81,2 cm; Bergamo, Accademia Carrara, inv. 58 AC 0084)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di vecchio seduto con un libro (Pietro Spino) (1576-1579 circa; olio su tela, 97,5 x 81,2 cm; Bergamo, Accademia Carrara, inv. 58 AC 0084)

Nella sezione successiva si abbandona per un momento la ritrattistica per un affondo sulle pale d’altare, e il confronto tra Giovanni Battista Moroni e i suoi due modelli è impietoso: le sue imprese religiose trattengono poco della felicità inventiva del Moretto o dell’eccentrica esuberanza di Lorenzo Lotto, qualità testimoniate in mostra dal San Nicola che presenta alla Vergine gli allievi di Galeazzo Rovellio del Moretto e dall’Elemosina di sant’Antonino del secondo. Dal San Nicola del Moretto dipende strettamente il Matrimonio mistico di santa Caterina che però appare indubitabilmente più piatto del suo modello (e la composizione meno riuscita), mentre certamente migliore è il polittico della chiesa di San Bernardo di Roncola, che segue lo schema del Polittico Averoldi di Tiziano, opera che Moroni doveva conoscere molto bene (e la figura del Cristo risorto del Polittico Averoldi viene ripresa anche nella Resurrezione presente in mostra). Moroni riesce però a versare anche sulle pale d’altare le sue qualità di ritrattista, laddove nella scena sacra occorre aggiungere l’immagine d’un committente: è quanto si vede in un paio di opere tutt’altro che perfette, ma comunque singolari, ovvero l’Ultima cena di Romano di Lombardia, dove osserviamo un uomo ritratto in piedi alle spalle di san Giovanni (l’identificazione non è semplice, ma è probabile si tratti del parroco Lattanzio da Lallio, che richiese il dipinto all’artista), e la tarda pala con Don Leone Cucchi in contemplazione di san Martino, il cui protagonista è il prevosto di Cenate San Martino nella cui parrocchiale è conservata la pala.

A metà del cammino tra il ritratto e la pala d’altare si collocano alcuni lavori che riflettono il clima del tempo e ai quali è dedicata la settima sezione della mostra: sono quadri destinati alla preghiera a mente, pratica che s’era diffusa in tutta Italia verso la metà del Cinquecento sulla scorta degli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, pubblicati per la prima volta nel 1548, in latino. Il libro conteneva una serie di metodi pratici di preghiera, tra cui l’orazione mentale: il fedele veniva spronato a pregare in silenzio, se necessario immaginando con la propria fantasia le scene dei testi sacri, e per questa pratica poteva esser d’aiuto un’immagine da contemplare. L’intenso Ritratto di devoto in contemplazione della Madonna col Bambino, per esempio, dev’esser letto in questo senso: l’immagine, puntualmente caratterizzata, di un fedele che sta pregando e ha una visione della Vergine col bimbo Gesù tra le sue braccia. La struttura del dipinto poteva essere comunque più complessa, come quella del Devoto in contemplazione del battesimo di Cristo della Collezione Etro, dove la scena immaginata è separata dal ritratto attraverso una sorta di balaustra, o come il quadro con i Due devoti in preghiera davanti alla Madonna col Bambino e san Michele Arcangelo, dipinto nel quale, scrive Facchinetti, “convivono due diversi atteggiamenti psicologici, di partecipazione immersiva e di contemplazione attiva della coppia di devoti”.

Le ultime due sezioni della mostra tornano sulla ritrattistica moroniana per focalizzarsi sui ritratti come strumento per conoscere più da vicino la società del tempo. Moroni, a partire dagli anni Cinquanta, diviene il ritrattista preferito dell’alta società bergamasca, e osservare i suoi ritratti è come entrare nei palazzi del tempo, è come volgere lo sguardo agli usi della nobiltà bergamasca di metà Cinquecento, è quasi come conoscere di persona i soggetti che il pittore, a partire da questo periodo, dipinge con una nuova verve, soprattutto coloristica, come dimostra il capolavoro degli ultimi anni, il Ritratto di Gian Gerolamo Grumelli, noto anche come Il cavaliere in rosa, sontuosa raffigurazione a figura intera d’un giovane nobile abbigliato con un ricco vestito alla spagnola, rosso corallo con decori in fili d’argento, e come si vede bene anche nel Ritratto del generale Mario Benvenuti, che indossa un’armatura scintillante su cui indugiano baluginanti riflessi di luce. Il Ritratto di Isotta Brembati dell’Accademia Carrara, osservano i curatori, è utile per toccare il tema dei giochi d’ombre nei riguardi dei quali Moroni ha “sempre avuto una spiccata sensibilità”, modificando col tempo il suo modo di restituire sulla tela le ombre: negli anni Cinquanta l’artista, suggeriscono Facchinetti e Galansino, “non definisce i limiti delle ombre ma li sfrangia, connotandoli con un segno irregolare, ottenuto con diverse intensità di toni scuri” e riuscendo così a ottenere una “vibrazione palpitante” quale è quella che anima il ritratto della poetessa. Più tardi, l’artista si sarebbe concesso anche deformazioni e distorsioni più insolite, come quelle dell’ombra, del tutto irrealistica, del grande Ritratto di Bernardo Spini (esposto a Milano assieme a quello della moglie Pace Rivola), quasi una seconda protagonista del dipinto, simile all’ombra del Ritratto di Pietro Secco Suardo che s’ammira nell’ultima sezione, tutta centrata sulla moda del nero nell’abbigliamento del tempo, e costruita comunque attorno all’unico personaggio vestito di bianco, il Sarto della National Gallery di Londra, una delle opere più famose della produzione moroniana, oltre che immagine genuina e vivida d’un professionista colto in un momento del suo lavoro (su di un panno nero, già segnato col gessetto per esser tagliato con le forbici che il sarto stringe con le mani), opera che, diceva Berenson, “quanto a forma e azione vince il Moretto ottimo”. È il suo sguardo a comunicare, con serena e pensosa compostezza, la propria tranquilllità, la piena coscienza di sé, la soddisfazione per il proprio mestiere e per lo status raggiunto: questo sarto non era un nobile, ma poteva comunque commissionare il suo ritratto a uno dei più richiesti specialisti del tempo.

Lorenzo Lotto, Elemosina di sant’Antonino (1540-1542; olio su tela, 332 x 235 cm; Venezia, Basilica dei Santi Giovanni e Paolo)
Lorenzo Lotto, Elemosina di sant’Antonino (1540-1542; olio su tela, 332 x 235 cm; Venezia, Basilica dei Santi Giovanni e Paolo)
Alessandro Bonvicino detto il Moretto, San Nicola di Bari presenta alla Vergine gli allievi di Galeazzo Rovellio (Pala Rovellio) (1539; olio su tela, 245 x 192 cm; Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo, inv. 89)
Alessandro Bonvicino detto il Moretto, San Nicola di Bari presenta alla Vergine gli allievi di Galeazzo Rovellio (Pala Rovellio) (1539; olio su tela, 245 x 192 cm; Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo, inv. 89)
Giovanni Battista Moroni, Matrimonio mistico di santa Caterina (1568-1570 circa; olio su tela, 228 x 148 cm; Almenno San Bartolomeo, chiesa di San Bartolomeo)
Giovanni Battista Moroni, Matrimonio mistico di santa Caterina (1568-1570 circa; olio su tela, 228 x 148 cm; Almenno San Bartolomeo, chiesa di San Bartolomeo)
Giovanni Battista Moroni, Ultima cena (1566-1569; olio su tela, 295 x 195 cm; Romano di Lombardia, chiesa di Santa Maria Assunta e San Giacomo Maggiore Apostolo)
Giovanni Battista Moroni, Ultima cena (1566-1569; olio su tela, 295 x 195 cm; Romano di Lombardia, chiesa di Santa Maria Assunta e San Giacomo Maggiore Apostolo)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di devoto in contemplazione della Madonna con il Bambino (1555 circa; olio su tela, 59,7 x 64,8 cm; Washington, DC, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, inv. 1939.1.114)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di devoto in contemplazione della Madonna con il Bambino (1555 circa; olio su tela, 59,7 x 64,8 cm; Washington, DC, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, inv. 1939.1.114)
Giovanni Battista Moroni, Devoto in contemplazione del battesimo di Cristo (1555 circa; olio su tela, 104,5 x 112,5 cm; Collezione Gerolamo e Roberta Etro)
Giovanni Battista Moroni, Devoto in contemplazione del battesimo di Cristo (1555 circa; olio su tela, 104,5 x 112,5 cm; Collezione Gerolamo e Roberta Etro)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di Isotta Brembati (1554-1557 circa; olio su tela, 160 x 115 cm; Bergamo, Palazzo Moroni, collezione privata Lucretia Moroni)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di Isotta Brembati (1554-1557 circa; olio su tela, 160 x 115 cm; Bergamo, Palazzo Moroni, collezione privata Lucretia Moroni)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di Gian Gerolamo Grumelli (Il cavaliere in rosa) (1560; olio su tela, 216 x 123 cm; Bergamo, Palazzo Moroni, collezione privata Lucretia Moroni)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di Gian Gerolamo Grumelli (Il cavaliere in rosa) (1560; olio su tela, 216 x 123 cm; Bergamo, Palazzo Moroni, collezione privata Lucretia Moroni)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di sarto (Il tagliapanni) (1572-1575 circa; olio su tela, 99,5 x 77 cm; Londra, The National Gallery, acquisto 1862, inv. NG 697)
Giovanni Battista Moroni, Ritratto di sarto (Il tagliapanni) (1572-1575 circa; olio su tela, 99,5 x 77 cm; Londra, The National Gallery, acquisto 1862, inv. NG 697)

È conveniente sottolineare che i ritratti di Moroni offrono, ovviamente, la possibilità d’avere una sorta di racconto figurato della società bergamasca del tempo: attraverso i soggetti catturati da Moroni, gli oggetti che esibiscono e soprattutto i vestiti che indossano, è possibile conoscere le mode del tempo, le dinamiche economiche, e financo le leggi, dal momento che molte legislazioni a quei tempi prevedevano norme serrate sull’abbigliamento, che prescrivevano gli abiti da indossare e quelli invece da evitare per ragioni di decoro e per arginare l’ostentazione del lusso. Il nero con cui si chiude la mostra, per esempio, oltre a essere per un pittore colore difficile da riprodurre (le indiscutibili qualità di Moroni si apprezzano anche laddove l’artista bergamasco riesce, con somma maestria, a trasmettere tutte le declinazioni dei tessuti neri, coi suoi riflessi, i suoi cangiantismi, le pieghe, l’alternanza di brani brillanti e brani opachi, le modulazioni della luce che si sofferma su stoffe, sete, rasi e quant’altro), è anche una sorta di libro aperto sulle mode e sulla cultura del tempo, come ben illustra Roberta Orsi Landini nel suo saggio in catalogo, tutto dedicato all’abbigliamento dei personaggi di Moroni: s’apprende così, per esempio, che il nero, lungi dall’essere associato soltanto al lutto o comunque a sensazioni legate alla tristezza, indicava compostezza e gravità e alludeva dunque alle qualità morali di chi lo indossava, ma era anche considerato colore proprio della nobiltà e quindi era simbolo di onorabilità, e di conseguenza era anche accompagnato da una sorta di nobilitazione letteraria che pervade molti testi del tempo (a cominciare dal Cortegiano di Baldassarre Castiglione, dove si legge che gli abiti del perfetto cortigiano dovrebbero tendere “un poco più al grave e riposato che al vano” e che di conseguenza dovrebbero esser neri, in quanto colore associato a queste qualità).

Una mostra, dunque, che apre anche a interessanti letture trasversali. Non è, come ricordato in apertura, la prima mostra di sempre su Moroni, che comunque in passato ha goduto di una certa fortuna espositiva, almeno da quando, alla mostra sui Pittori della realtà in Lombardia del 1953, organizzata da Roberto Longhi, il bergamasco era presente con ben trentacinque dipinti per dar seguito all’idea longhiana che lo voleva precursore di Caravaggio. Moroni all’epoca era già ampiamente riemerso dal fiume sotterraneo del collezionismo (che, a partire dal Seicento, pur tra alti e bassi, non aveva mai smesso d’interessarsi alle sue opere, che sono state a lungo dei veri e ricercatissimi cult per gli appassionati del genere), ed era divenuto oggetto d’interesse degli studiosi e anche del pubblico, come certificano le mostre che tra Bergamo e Londra gli furono dedicate nel 1978, anno del quattrocentenario della scomparsa. Precorritrice dell’esposizione milanese è quella di Bergamo del 2004 (centrata però solo sulla produzione degli anni Sessanta e Settanta), curata anch’essa da Facchinetti, esattamente come le rassegne di Londra del 2014 e di New York del 2019, rispetto alle quali tuttavia la mostra delle Gallerie d’Italia rappresenta un’occasione molto più ampia, in cui non solo la vicenda di Moroni viene ripercorsa con precisione e lungo l’intero arco della carriera, ma viene anche puntualmente contestualizzata, calata nel contesto artistico, culturale e sociale del tempo, e arricchita di vivacissimi confronti, che da soli varrebbero l’ingresso. Una monografica organizzata secondo un progetto scientifico rigoroso e al contempo molto moderno, per il taglio che è stato dato all’itinerario espositivo, per il modo in cui Moroni viene raccontato, per come sono stati organizzati gli allestimenti oltre che gli strumenti che accompagnano il percorso. Ecco perché Moroni. Il ritratto del suo tempo è una delle mostre più importanti dell’anno.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).




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