Uno spaccato di arte greco-bizantina nel cuore del Salento: l’abbazia di Santa Maria di Cerrate


L'abbazia di Santa Maria di Cerrate è una delle più antiche della Puglia. Recentemente riaperta dal FAI, è un vero brano di arte greco-bizantina nel Salento.

Nel cuore del Salento, in prossimità della strada romana che univa Lecce e Otranto, oggi strada provinciale Squinzano – Casalabate, sorge quella che può essere considerata una delle meraviglie di età medievale dell’intera area salentina: l’abbazia di Santa Maria di Cerrate (o “delle Cerrate”), un vero spaccato di arte greco-bizantina in Puglia.

Caratteristica dell’immaginario salentino è quella distesa di uliveti tra i quali si fondono le tipiche masserie che diventano un tutt’uno con il paesaggio; anche l’abbazia in questione ha avuto funzione di masseria, in quanto divenuta centro di produzione agricola per la lavorazione delle olive, dopo essere stata uno dei più rilevanti monasteri bizantini dell’Italia meridionale. Un luogo quindi dove s’intrecciano le principali personalità del Salento: da una parte la forte religiosità del Meridione, dall’altra l’attività agricola.

Anche la sua storia, a cominciare dalla sua fondazione, possiede una duplice anima, leggendaria e storica. Secondo la leggenda, l’abbazia venne fondata dal re normanno Tancredi d’Altavilla, conte di Lecce, a seguito della visione della Madonna avvenuta dopo l’inseguimento, da parte del re, di una cerbiatta che si era rifugiata in una grotta nel corso di una battuta di caccia (da cui anche il toponimo: “Cervate”, poi diventato “Cerrate”). Le testimonianze storiche, per contro, fanno risalire l’abbazia agli inizî del XII secolo, precisamente a seguito dell’insediamento di monaci greci, seguaci della regola di san Basilio Magno, ad opera di Boemondo d’Altavilla, figlio di Roberto il Guiscardo, il primo normanno che divenne duca di Puglia, Calabria e Sicilia.

Proprio al XII secolo risalgono i primi documenti noti che citano l’abbazia di Santa Maria di Cerrate: al 1133 rimonta un documento in cui il conte di origini normanne Accardo II di Lecce, signore di Lecce e di Ostuni, in un atto di donazione per il monastero benedettino di San Giovanni Evangelista parla di una terra che si estendeva “ab finibus terre communis ipsius Cisterni et sancte Marie de Cerrate cum suis pertinentiis” (ovvero “dai confini delle terre della comunità di Cisterna e di Santa Maria di Cerrate con le sue pertinenze). L’abbazia è poi citata in un manoscritto, una copia dei Commentarii di Teofilatto sugli Evangeli terminata “il 3 aprile 1154 da Simone, notaro per Paolo egumeno di S. Maria di Cerrate, l’anno della morte di Ruggero nostro re” (Ruggero II di Sicilia scomparve proprio nel 1154). Si tratta però di date che non ci consentono di sapere a che punto fossero i lavori, né quali fossero i corpi del complesso già edificati a quel tempo.

Dei monaci basiliani si ha testimonianza grazie all’intensa attività che ebbero in quell’epoca una biblioteca e uno scriptorium (dove fu prodotto anche il manoscritto appena citato), luoghi presumibilmente legati ad essi, poiché noto che nelle attività giornaliere dei monaci erano frequenti la lettura, lo studio e la copiatura amanuense. I monaci greci erano giunti in Salento per sfuggire alle persecuzioni iconoclaste di Bisanzio, perpetrate da coloro che nell’Impero bizantino rifiutavano il culto e l’utilizzo d’immagini sacre. Fino al Cinquecento, il monastero di Cerrate continuò a rimanere un importante polo religioso culturale del territorio salentino; dal 1531, il sito venne posto sotto il controllo dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli che, a seguito dell’atto di donazione di papa Clemente VII, lo gestì per quasi due secoli. Il complesso venne quindi trasformato in una masseria che includeva la chiesa abbaziale, le stalle, gli alloggi per i contadini, due frantoi ipogei (tipici del Salento, sono quelli scavati nella roccia, dunque sotterranei, che permettevano una migliore conservazione dell’olio d’oliva prodotto dagli ulivi secolari circostanti), un pozzo e mulino. Sappiamo dalle fonti che nel Seicento c’erano almeno due stalle e tre abitazioni, che accoglievano non soltanto i contadini ma anche i monaci e gli eventuali ospiti arrivati da fuori per acquistare i prodotti della masseria.

L'abbazia di Santa Maria di Cerrate
L’abbazia di Santa Maria di Cerrate. Ph. Credit FAI


L'abside della chiesa
L’abside della chiesa. Ph. Credit FAI


Il portico
Il portico. Ph. Credit FAI

Nel 1711, a causa del saccheggio dei pirati turchi, il monastero-masseria venne abbandonato e cadde in un rovinoso degrado che proseguì fino al 1965, quando la Provincia di Lecce prese a cuore la condizione in cui si trovava l’intero complesso e ne favorì il restauro, avviando una serie di interventi che furono diretti dall’architetto Franco Minissi.

L’abbazia all’epoca era fortemente compromessa a causa degli anni dell’abbandono (quando gli interventi partirono, le condizioni di conservazione erano pessime: i contadini che avevano utilizzato per lungo tempo l’abbazia come masseria non erano andati molto per il sottile con gli affreschi, le decorazioni, i pavimenti). La situazione era così critica che quando fu aperto il cantiere si verificò, nell’aprile del 1967, il crollo del campanile che era stato edificato agli inizi del Novecento in sostituzione dell’antico campanile a vela seicentesco, anch’esso crollato alla fine dell’Ottocento. Tuttavia, nel complesso la struttura era sana: era però fortemente deteriorata a causa della scarsa manutenzione.

Gli interventi si mossero in due direzioni: da una parte preservare il più possibile ciò che si poteva tenere, dall’altra recuperare alcuni spazî che sarebbero stati destinati a museo per accogliere le opere che non potevano più essere custodite nelle loro sedi originarie (oggi il museo ideato negli anni Sessanta si chiama “Museo delle Arti e delle Tradizioni Popolari”). L’azione di Minissi, spiega l’architetto (e storico dell’architettura) Beatrice Vivio, “si pose esteticamente a metà fra l’opzione della ricostruzione tradizionale e quella della perpetuazione della lacuna, tecnicamente adeguata a garantire la conservazione degli ambienti aggrediti dagli agenti atmosferici mediante un alleggerimento della struttura”.

I restauri interessarono innanzitutto la chiesa, che fu dotata di una nuova copertura: “un tetto in tegole”, ha scritto Vivio, “alleggerito con lamiera grecata poggiata su intelaiatura lignea, con interposto strato di canne rievocativo, all’intradosso, della tecnologia seicentesca”. Una copertura simile fu realizzata per l’ambulacro, quindi fu demolito il barbacane (un muro esterno con funzioni di difesa) che era stato addossato all’angolo sud-ovest della chiesa (un’operazione che, spiega Vivio, “mise in luce una sottofondazione preesistente sotto le absidi, che fu reintegrata a ‘cuci-scuci’ lungo tutto il prospetto sud”), quindi furono riaperte le monofore, si intervenne per rimettere a piombo le colonnine inclinate, furono consolidate le parti più a rischio, si procedette con il risarcimento delle lesioni. Non tutto venne mantenuto: scrive Vivio che l’estraneità della logica dell’impianto originario di certi corpi in precario stato di conservazione portò alla “rimozione di una sacrestia accostata al lato sud della chiesa” e alla “demolizione del contrafforte addossato alla facciata principale, ritenuto superfluo dopo le opportune verifiche statiche”. Vennero poi risistemati gli altri corpi di fabbrica: l’ex frantoio fu recuperato e adibito ad accogliere il museo che avrebbe custodito gli affreschi asportati con la tecnica dello strappo negli anni Settanta, rimossi per scoprire i più importanti e più antichi affreschi sottostanti, che ancora si conservavano.

Il portale duecentesco
Il portale duecentesco. Ph. Credit FAI


Il frantoio ipogeo
Il frantoio ipogeo. Ph. Credit Sergio Limongelli

Nel 2012, la Provincia di Lecce, come esito di un bando pubblico, ha affidato l’abbazia di Santa Maria di Cerrate in concessione trentennale al FAI – Fondo Ambiente Italiano, che ha riaperto il sito al pubblico, anche se i restauri non sono ancora finiti. Alcuni sono stati condotti di recente, tra il 2015 e il 2018, per la somma complessiva di due milioni e mezzo di euro: si tratta del recupero dell’ex casa monastica (ovvero l’antica sede dello scriptorium e della biblioteca monastica), che oggi accoglie i servizî per il pubblico (la biglietteria e il punto informazioni, un piccolo punto ristoro e un bookshop), il restauro di alcune parti della chiesa e del suo portico duecentesco, il restauro della casa del massaro (anticamente impiegata anche come stalla), destinata a spazio polifunzionale, sede di attività, conferenze ed eventi. Tutti gli edifici sono stati peraltro sottoposti, durante i restauri degli ultimi anni, a interventi di adeguamento antisismico e di miglioramento delle coperture: per esempio, è in programma la realizzazione di un sistema di raccolta dell’acqua piovana per salvaguardare le strutture dall’umidità e riutilizzare l’acqua piovana nel rispetto per l’ambiente.

L’esterno si presenta nel suo imponente aspetto romanico (l’abbazia di Santa Maria di Cerrate rappresenta uno dei più compiuti esempî di romanico in Puglia), con la facciata della chiesa abbaziale (l’edificio più importante e più noto del complesso) costruita con conci di pietra bianca leccese. Proprio la facciata della chiesa è forse l’elemento più noto e riconoscibile dell’abbazia. Si tratta di una facciata a salienti, tripartita, con un rosone, tipico degli edifici romanici, che si apre sulla sommità, e con sottili lesene che sottolineano la tripartizione, mentre dieci archetti pensili (quattro al centro e tre ai lati) corrono in orizzontale sovrastando due monofore ai lati del portale d’accesso. Quest’ultimo, circondato da decorazioni con eleganti motivi vegetali, è sormontato da un arco riccamente decorato: l’intradosso, in particolare, è ornato con figure che richiamano episodî dell’infanzia di Gesù Cristo (anche se per i personaggi sono state proposte diverse letture, dal momento che sono di non semplice interpretazione). I sei conci dell’arco sono stati infatti scolpiti, e la lettura che li interpreta come momenti legati alla nascita di Cristo è quella che ha accolto più favori: secondo Cosimo De Giorgi, che dedicò uno studio all’abbazia sul finire dell’Ottocento, i conci rappresenterebbero, nell’ordine (partendo da destra), san Michele, il battesimo di Cristo, la natività, l’adorazione dei Magi, la visitazione, e un monaco basiliano (il fatto che l’ordine non segue l’esatta cronologia degli episodî della vita di Gesù potrebbe far pensare che in passato l’arco fu smontato e poi rimontato in un ordine non corretto). Alla fiancata sinistra della chiesa è stato addossato anche un chiostrino duecentesco.

All’interno, la chiesa si presenta con una pianta longitudinale a impianto basilicale, ovvero senza transetto, e divisa in tre navate da possenti colonne al di sopra delle quali si elevano archi a sesto acuto. Sul fondo, l’altare maggiore è sovrastato da un ciborio del XIII secolo (l’unico degli arredi medievali che ancora si conserva), ma quello che più attira i visitatori e che rende importante il complesso sono gli straordinarî affreschi che a Santa Maria di Cerrate sono conservati, e sono tra i maggiori esempi di pittura bizantina che possiamo osservare nell’Italia meridionale (e non solo).

Interno della chiesa di Santa Maria di Cerrate
Interno della chiesa di Santa Maria di Cerrate. Ph. Credit FAI


Interno della chiesa di Santa Maria di Cerrate
Interno della chiesa di Santa Maria di Cerrate. Ph. Credit FAI

Sul perché questi affreschi siano così importanti, ha scritto nel 1991 Marina Falla Castelfranchi: “gli affreschi di Cerrate, che meritano una ben più profonda esegesi, occupano […] un posto di rilievo non solo all’interno della produzione pittorica bizantina del Salento, ma anche nel più ampio quadro della pittura bizantina propriamente detta. La remota elegante bellezza degli affreschi dell’abside, dei suoi partiti decorativi che, in particolare nel loro rapporto con le immagini dei diaconi e con i capitelli vegetali su colonne, costituiscono un episodio notevole per la qualità della materia pittorica e la perizia nell’inventare e reinventare accordi e passaggi da un’abside all’altra, tutto questo ed altro ancora non è facile esprimere. Da dove venissero poi le maestranze, se, come si dice, non solo locali, sembra a questo punto un non-problema. L’esistenza di tali affreschi in Salento di per sé sigilla e garantisce la qualità della cultura artistica di quest’area nel Medioevo. Quanto poi alla vexata quaestio circa la loro datazione, va precisato che al programma originario appartengono gli affreschi dell’abside e dei sottarchi e forse alcuni frammenti sulla parte destra, mentre gli altri affreschi sembrerebbero potersi assegnare a successive fasi, di cui le ultime testimonianze sono rappresentate dalla bella koimesis oggi presso il Museo dell’abbazia (prima metà del XIV secolo circa), e poi dagli affreschi tardo gotici, anch’essi conservati nello stesso Museo”.

Per molto tempo l’importanza degli affreschi di Santa Maria di Cerrate è stata sottovalutata, e il perché è presto detto: oltre agli studî di fine Ottocento, condotti da importanti studiosi come Cosimo De Giorgi e Sigismondo Castromediano, non sono mai state prodotte ricognizioni monografiche su queste pitture. In tempi recenti, a occuparsi degli affreschi dell’Abbazia è stato, con diversi studî, lo storico dell’arte abruzzese Valentino Pace, fino al 2014 ordinario di storia dell’arte medievale e bizantina all’Università di Udine: è del 2008 e porta la sua firma uno dei più estesi articoli recenti sugli affreschi.

In questo saggio, Pace ha scritto che il fedele, entrando nello spazio della chiesa abbaziale, si trovava in un luogo “di cui il segno visivo di maggiore emergenza era ed è ancor oggi dato dalla presenza delle immagini di santità monastica, esposte sugli intradossi delle arcate di valico”. E in effetti gli archi abbondano di immagini di santi e monaci basiliani, che corrono lungo tutti i sottarchi e accompagnano il visitatore verso l’abside centrale (la chiesa abbaziale presenta infatti una triplice abside, tipica degli edifici di culto del cristianesimo orientale), dove ha luogo l’ascensione di Cristo, trasportato verso il cielo in una mandorla sostenuta da un paio di angeli, uno per lato. Al di sotto di questa raffigurazione, vediamo gli apostoli che assistono alla scena, tutti disposti in orizzontale e su un unico piano, come da tipiche modalità dell’arte bizantina. Gli apostoli sono divisi in due gruppi pressoché simmetrici, e con al centro la Madonna che prega, raffigurata a mezzo busto in quanto posta esattamente al di sopra della monofora che dà luce all’abside. Sotto ancora, troviamo cinque personaggi anch’essi disposti in orizzontale: sono cinque vescovi, uno dei quali è san Basilio. Altri vescovi si trovano anche nella prothesis (l’abside laterale adibita a luogo in cui viene preparata la liturgia e vengono custoditi gli oggetti sacri), in sequenza con quelli dell’abside centrale, ragion per cui, ipotizza Pace, si può pensare che lo stesso schema dovette ripetersi anche nel diakonikon (l’altra abside laterale, destinata a luogo in cui si conservavano i paramenti sacri), dove le pitture sono ormai praticamente perdute.

L'affresco puzzle
L’affresco “puzzle”


Ascensione, dettagli con le figure degli apostoli (chiesa di Santa Maria di Cerrate)
Ascensione, dettagli con le figure degli apostoli (chiesa di Santa Maria di Cerrate)


Santi vescovi (chiesa di Santa Maria di Cerrate)
Santi vescovi (chiesa di Santa Maria di Cerrate)


San Luca (chiesa di Santa Maria di Cerrate)
San Luca (chiesa di Santa Maria di Cerrate)


L'Annunciazione conservata nel museo
L’Annunciazione conservata nel museo

Gli affreschi che decorano gli archi e l’abside sono stati individuati anche come i più antichi del complesso. Pitture più tarde decorano invece le pareti: figure di santi (tra cui un san Luca e un san Giorgio che hanno subito estese picchettature, segno che in epoche più recenti furono ricoperti d’intonaco affinché le pareti potessero essere nuovamente decorate) e monaci, e anche una Vergine Bambina in braccio a sua madre, sant’Anna, insieme al padre, ovvero san Gioacchino. Alquanto bizzarra è invece la situazione della parete destra: evidentemente in antico la parete andò distrutta e chi la costruì non si pose il problema di riposizionare i frammenti in un ordine logico ma si preoccupò soltanto di ricomporre la parete, col risultato che oggi le decorazioni ci appaiono come una specie di grande puzzle... da risolvere. Sono riconoscibili alcuni volti di santi e porzioni di panneggio, ma non si riesce a intuire molto di più. Altri santi, in condizioni di leggibilità molto precarie, decorano infine la controfacciata.

Questi affreschi, ha scritto Valentino Pace, “sono sicura espressione della religiosità monastica greca e per questo la loro importanza va aldilà di quanto pur emerge visualmente dalla loro collocazione nell’ecumene ‘figurativa’ di Bisanzio”. Non conosciamo però con certezza l’epoca della loro realizzazione: sulla base di alcuni confronti (per esempio con le pitture della chiesa di San Giorgio a Kurbinovo, nella Macedonia del Nord, o quelle della chiesa di Episkopi nel Peloponneso) è possibile immaginare che le pitture siano state eseguite tra la fine del XII secolo e i primi decennî del XIII. Ad ogni modo, conclude Pace, “quale che sia la data della campagna pittorica delle Cerrate, che ne sia unitaria o differenziata l’esecuzione, indubbia è comunque la sua piena testimonianza di inerenza alla civiltà figurativa greca, che il Salento testimonia non solo con monumenti come questo, ma anche, con non minore forza, con le vicende dei suoi monasteri, con la storia della loro religiosità, con la produzione e l’importazione dei suoi libri, con le sue testimonianze epigrafiche”.

Più tardi sono invece gli affreschi conservati nel museo allestito in quella che fu la casa del Massaro: risalgono al Trecento e vi riconosciamo un’Annunciazione, un San Giorgio che libera la principessa, una Koimesis ovvero una dormizione della Vergine, e altri ancora, tutti realizzati da un artista di cultura occidentale. E che sono stati restaurati al momento dello strappo.

Certo, i restauri non sono ancora finiti: al momento sono in corso i lavori di recupero della cisterna e del sistema di approvvigionamento idrico con acqua piovana, e il restauro sui muretti a secco e sui muri di cinta dell’Abbazia, mentre è in corso la raccolta dei fondi per il restauro del frantoio ipogeo nel corpo meridionale del complesso e il restauro delle ex stalle per convertirle in uno spazio polifunzionale. Restauri che completeranno l’ambizioso progetto di rendere l’abbazia di Santa Maria di Cerrate un luogo sempre più capace di rivelare tutta la sua storia attraverso l’arte. Sicuramente è impossibile conoscere quali fossero in origine le forme degli edifici che la componevano e quali le opere conservate al suo interno: il complesso di Cerrate non cessa comunque di rimanere un luogo unico per la cultura in Puglia e un sito dov’è possibile comprendere in maniera chiara come si sviluppa la stratificazione di un edificio dalla storia plurisecolare.

Bibliografia di riferimento

  • Dora Di Francesco (a cura di), I cantieri del POIn MiBACT, volume I, Gangemi Editore, 2017
  • Beatrice Assunta Vivio, Franco Minissi. Musei e restauri: la trasparenza come valore, Gangemi Editore, 2010
  • Valentino Pace, La chiesa di Santa Maria delle Cerrate e i suoi affreschi in Anna Vladimirova Zakharova (a cura di), Obraz Vizantii: Sbornik statei v cest’ O. S. Popovoi [L’immagine di Bisanzio: Raccolta di studi in onore di O. S. Popova], NP-Print, 2008
  • Hubert Houben, Benedetto Vetere, Tancredi: conte di Lecce, re di Sicilia, atti del convegno internazionale (Lecce, Università di Lecce, 19-21 febbraio 1998), Congedo Editore, 2004
  • Marina Falla Castelfranchi, Pittura bizantina in Puglia, Mondadori Electa, 1991


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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