Le meravigliose Natività notturne di Gerrit van Honthorst conservate agli Uffizi


La Galleria degli Uffizi di Firenze conserva due meravigliose Natività notturne di Gerrit van Honthorst. Un approfondimento sui due dipinti.

Tra le Natività più belle della storia dell’arte si annovera l’Adorazione del Bambino di Gerrit van Honthorst (Utrecht, 1592 – 1656), noto in Italia anche come Gherardo delle Notti, per la sua propensione a dipingere toccanti ed evocative scene notturne. Proprio come questa Adorazione: si tratta di uno splendido notturno, realizzato dall’artista tra il 1619 e il 1620, che emana una meravigliosa pacatezza: pare traboccare dall’intero dipinto una sensazione di calma divina che entra nei nostri cuori e nelle nostre menti. Un’atmosfera ovattata e quasi magica, come solo la notte di Natale sa trasmettere.

Gerrit van Honthorst, Adorazione del Bambino
Gerrit van Honthorst, Adorazione del Bambino (1619-1620 circa; olio su tela, 95,5 x 131 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi)

Questo strabordante senso di serenità è maggiore se l’osservatore si concentra sui volti dei personaggi raffigurati nell’opera: le quattro figure ai lati della tela, ovvero la Madonna, san Giuseppe e due angioletti, sono in adorazione del bambino appena venuto al mondo, che occupa il centro della scena. Lo sguardo di Maria, come quello degli altri tre personaggi rappresentati, è costantemente rivolto verso Gesù Bambino, posto sulla paglia di una piccola mangiatoia ricoperta da un panno bianco. Il viso della Vergine è quello di una giovane ragazza dai lineamenti teneri e delicati, che con gli occhi rivolti verso il basso, quasi socchiusi, e la bocca che abbozza un dolce sorriso, venera il suo bambino, esprimendo l’infinito amore che una madre prova per la sua piccola creatura. Mentre è in atto di adorazione, solleva finemente i due lembi del panno in segno di protezione: probabilmente il pittore ha raffigurato l’attimo immediatamente precedente al momento in cui la madre avvolge il bambino con il lenzuolo. Leggermente più indietro rispetto alla Madonna, ma sempre sulla parte destra della tela, è rappresentato san Giuseppe: il suo volto, come da iconografica decisamente più maturo rispetto a quello di Maria, è incorniciato da una folta barba, ma i suoi occhi, socchiusi come quelli del personaggio femminile, esprimono amore, gioia e tenerezza, attraverso un’adorante espressione bonaria.

La parte sinistra della tela è occupata da due angioletti con sembianze di fanciulli. Uno abbigliato con una veste di colore azzurro sta ammirando il bambino (è l’unico personaggio posto perfettamente di fronte a Gesù) e tiene le mani incrociate sul petto in segno di umiltà, l’altro abbigliato con una veste di colore giallo, con orli intagliati e ricamati e una cintola di colore rosso, tiene le mani giunte e guarda il pargoletto tenendo la bocca semiaperta in un’espressione trasognante. La scena intima e raccolta è avvolta da una luce che emana dal panno bianco e dal bambino stesso e illumina in particolare i volti dei personaggi che gli stanno attorno. Un espediente che proviene certamente dalla lezione caravaggesca: ad essere in primo piano sia dal punto di vista della composizione del dipinto che dal punto di vista simbolico sono le figure illuminate a tutto tondo, il cui bagliore si propaga al resto del dipinto. È una luce sacra che, tenendo a mente anche i risultati raggiunti dal Correggio nella sua famosissima Notte oggi a Dresda e da Luca Cambiaso nelle sue scene a lume di candela probabilmente conosciute a Roma (e per l’esattezza a Palazzo Giustiniani), si sprigiona come una luce artificiale dal personaggio più importante per eccellenza: ciò crea un gioco di luci e ombre, tipico dello stile dell’artista olandese, in grado di far fuoriuscire dall’oscurità figure della tela attraverso un traboccante bagliore di luce proveniente da una candela o da un personaggio divino. Le sue opere sono per la maggior parte notturni con la presenza di fonti di luce artificiali o divine che illuminano delicatamente la scena: è dovuto a ciò l’appellativo di Gherardo delle Notti.

Gerrit van Honthorst giunse a Roma presumibilmente nel 1610 e conobbe di certo l’arte di Caravaggio, anzi: ne venne subito influenzato. Nella Roma d’inizio Seicento, gli artisti potevano imboccare due direzioni: o quella dell’arte accademica rappresentata dall’Accademia di San Luca che si ispirava ai grandi artisti del passato o quella dell’arte naturalista influenzata da Caravaggio, alternativa all’arte ufficiale, e più realistica. E Gherardo delle Notti scelse di avvicinarsi immediatamente a quest’ultima, divenendo uno degli esponenti maggiori tra i caravaggeschi di prima generazione. L’Adorazione del Bambino di van Honthorst è conservata alle Gallerie degli Uffizi, ma non sappiamo con esattezza come vi sia giunta: è citata per la prima volta, già col riferimento a Gerrit, nel 1784, nell’inventario della villa medicea del Poggio Imperiale ad Arcetri, e un ulteriore inventario del 1796 attesta la sua presenza agli Uffizi. Non sappiamo però per chi sia stata realizzata, né a quale luogo fosse destinata. Ciò che possiamo asserire con certa sicurezza è che l’Adorazione del Bambino è vicinissima, per stile, motivi e comunanza di atmosfera, a un altro dipinto, anch’esso custodito nelle sale del celebre museo fiorentino e realizzato dallo stesso artista, ma che sfortunatamente ha avuto una storia tutt’altro che serena. Stiamo parlando dell’Adorazione dei Pastori realizzata nel 1619, dipinto che fu vittima del terribile attentato mafioso di via dei Georgofili, avvenuto nel 1993.

Gerrit van Honthorst, Adorazione dei pastori
Gerrit van Honthorst, Adorazione dei pastori (1619-1620; olio su tela, 338,5 x 198,5 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi)


Uffizi, la devastazione causata dalle bombe della strage dei Georgofili
Uffizi, la devastazione causata dalle bombe della strage dei Georgofili


Gerrit van Honthorst, Adorazione dei Pastori prima della strage dei Georgofili
Gerrit van Honthorst, Adorazione dei Pastori prima della strage dei Georgofili

L’impostazione compositiva di quest’ultima è molto simile a quella dell’Adorazione del Bambino, nonostante chiami in scena un maggior numero di personaggi. Anche qui Gesù Bambino emana una luce divina che si propaga verso gli altri personaggi rappresentati: nella parte destra della tela sono posti la Madonna, che amorevolmente guarda il bambino e allo stesso tempo solleva con grande delicatezza due lembi del panno bianco su cui giace il pargoletto, e san Giuseppe, che in posizione posteriore rispetto a Maria, fissa Gesù con un sorriso tenero e appena abbozzato. La parte sinistra del dipinto è occupato da un gruppo di pastori che, ricevendo l’annuncio della nascita dagli angioletti che si notano nell’estremità superiore dell’opera, sono accorsi ad adorare il bambino. I pastori raffigurati sono molto espressivi e attraverso i loro gesti comunicano sorpresa, meraviglia, tenerezza. Alcuni di loro tengono una mano sopra la fronte, come se fossero accecati da quella luce abbagliante che sprigiona il giaciglio e il neonato stesso.

È quest’ultimo, scriveva Antonio Natali nel catalogo della grande mostra che gli Uffizi dedicarono a Gerrit van Honthorst nel 2015 e nella quale tanto l’Adorazione del Bambino quanto l’Adorazione dei pastori erano assolute protagoniste, la “fonte luminosa che schiarisce gli astanti, obbedendo all’immagine del Verbo che s’incarna e della luce che brilla nelle tenebre”. Sui volti dei pastori, “umilissimi e ignari”, si riflette “decisa e netta la luce che promana dal corpicino di Cristo: la Grazia li tocca e loro subito credono”. Ma di queste belle suggestioni non è rimasto quasi niente: la parte più danneggiata è proprio quella dove si concentrano le figure. “Se il cielo cupo della notte aveva mantenuto quasi intatta la compattezza cromatica, gli sbattimenti di luci e ombre che agivano sui panni e sui carnati dei convenuti alla mangiatoia si erano dissolti. Del tutto scomparsa era la figurina di Gesù bimbo”.

La mattina seguente all’attentato, la tela venne distesa, velinata e trasportata nei depositi. Si credeva perduta per sempre. A distanza di quasi un decennio dalla strage, si pensò che fosse giusto ricollocare l’opera esattamente nel luogo dove l’attentato la colse e che quindi doveva essere recuperata nelle sue parti non abrase grazie a un attento, ricercato e paziente lavoro dei restauratori. In questo modo si sarebbe trattato di “una specie di monito morale, o comunque di prova lampante dell’ancipite natura umana; ch’è distruttiva, e però anche amorosamente portata a risanar le piaghe; anche quelle che da sola s’infligge”. Il dipinto, commissionato dal diplomatico Piero Guicciardini, era stato concepito (peraltro in accordo con le idee artistiche del committente, che sappiamo fortemente attratto dalla pittura naturalista del tempo) per la cappella maggiore di Santa Felicita, di cui la nobile famiglia Guicciardini deteneva il patronato, ma nel 1973 venne posta sullo scalone che dall’ala di ponente della Galleria degli Uffizi scende al Corridoio Vasariano (un luogo idealmente collegato alla chiesa, dal momento che il Corridoio passa proprio attraverso il pronao di Santa Felicita), ed è proprio lì che la tela era posta quel 27 maggio 1993. Dopo il suddetto restauro, nel 2003 quel che era rimasto dell’Adorazione dei pastori venne ricollocato nel solito punto.

La storia e il risultato di questi fatti vennero ribaditi nella mostra citata poc’anzi, la prima monografica, che le Gallerie degli Uffizi dedicarono all’olandese Gerrit van Honthorst nel 2015: “Gherardo delle Notti. Quadri bizzarrissimi e cene allegre”. Nel percorso espositivo, una sala era dedicata al danneggiato dipinto che, attraverso proiezioni e video, veniva ricomposto delle sue parti mancanti, e allo stesso tempo erano state rese visibili le immagini delle distruzioni causate dall’attentato girate all’interno degli Uffizi. Due dipinti realizzati dallo stesso artista e conservati nello stesso museo, legati dal medesimo tema e da una composizione molto simile, uno dei quali ha purtroppo subito i terribili effetti di un’azione umana inconcepibile e mostruosa. Ma non ha mai smesso di diffondere la bellezza della sua poesia.

Bibliografia di riferimento

  • Gianni Papi (a cura di), Gherardo delle Notti. Quadri bizzarrissimi e cene allegre, catalogo della mostra (Firenze, Galleria degli Uffizi, dal 10 febbraio al 24 maggio 2015), Giunti, 2015
  • Gloria Fossi, Galleria degli Uffizi: arte, storia, collezioni, Giunti, 2001
  • Mina Gregori, Erich Schleier, La pittura in Italia: il Seicento, Electa, 1989
  • Jay Richard Judson, Gerrit van Honthorst: A discussion of his position in Dutch Art, Nijhoff, 1956


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Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, sono co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. Sono nata a Carrara nel 1987 e mi sono laureata a Pisa. Sono responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.

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