Da Varsavia a Venezia, un capolavoro di Bernardo Bellotto ospite della Fondazione Cini


Un capolavoro di Bernardo Bellotto in arrivo dal Museo del Castello Reale di Varsavia ovvero la tela “Varsavia, chiesa di Santa Croce” del 1778, giunge in prestito alla Fondazione Cini nell’ambito della rassegna Ospite a Palazzo, dal 15 luglio al 15 ottobre 2023.

Da Varsavia a Venezia: un capolavoro di Bernardo Bellotto (Venezia, 1721 – Varsavia, 1780), in arrivo dal Museo del Castello Reale della capitale della Polonia, ovvero la tela nota come Varsavia, chiesa di Santa Croce del 1778, giunge in prestito alla Fondazione Cini nell’ambito della rassegna Ospite a Palazzo, dal 15 luglio al 15 ottobre 2023. Si tratta di una importante testimonianza della vivace attività in Europa del grande vedutista veneziano, del suo sguardo curioso, capace di indagare la vita delle città visitate; così meticoloso da rendere Bellotto un appassionato e sensibile cronista della civiltà europea del tempo, maestro del realismo, del drammatico impianto luministico, dal raffinato sapere architettonico. Caratteristiche evidenti nella resa della facciata barocca della chiesa di Santa Croce, una delle più importanti di Varsavia, protagonista di una scena popolata di luce e brulicante di vita.

Nipote e allievo di Giovanni Antonio Canal, da cui eredita il soprannome Canaletto, Bernardo Bellotto si differenzia dal maestro per un più analitico realismo che si intensifica proprio negli anni in cui, invitato nelle corti europee, produce immagini di immenso valore storico: prima a Dresda, dove risiede dal 1762 al 1766, poi nella Varsavia dell’ultimo re di Polonia, Stanislao II Augusto Poniatowski, segnata da un profondo conflitto sociale, dove convivevano estrema ricchezza e disperata povertà, capitale di un Paese in grave declino politico ma pulsante di vita. Proprio Varsavia sarà l’ultima residenza dell’artista, che qui muore il 17 novembre 1780.

Coinvolto dal fascino multiforme della civiltà polacca, Bellotto è in grado di fornire una precisa testimonianza della variegata società settecentesca e di rappresentare, al contempo, una documentazione storica della città, dei suoi palazzi, tanto che il dipinto ora ospite eccezionale di Palazzo Cini, servì come modello per la ricostruzione della chiesa di Santa Croce, distrutta dopo la Rivolta di Varsavia del 1944. Insieme alla tela realizzata in pendant raffigurante la chiesa delle Sacramentine, l’opera era collocata nell’anticamera Senatoriale del Castello Reale di Varsavia, celebre come “Sala di Canaletto”, a partire dalla fine del 1777. Due vedute di Varsavia indissolubilmente legate alla storia della Polonia fino al Novecento: rimaste nella Sala di Canaletto fino al 1807, passano al principe Jozef Poniatowski, eroico combattente per la libertà della patria, per poi essere requisite dallo zar Nicola I, come ritorsione per la insurrezione di Varsavia del 1830-1831; in Russia rimangono fino al patto di Riga del 1922 per poi tornare al Castello Reale dove, nel 1939 vengono confiscate dal regime nazista e portate in Germania; recuperate nel 1945 e collocate al Museo Nazionale (il Castello Reale era stato raso al suolo dalle bombe tedesche) vengono utilizzate come fonte documentaria per la ricostruzione del centro storico della città. Nel 1984 i dipinti di Bellotto rientrano nella Sala di Canaletto, nel castello ricostruito.

L’opera nasce nel momento in cui Bernardo Bellotto (dai primi mesi del 1767) era al servizio del re Poniatowski. L’artista annota nei suoi ricordi, alla data del 1778, la consegna alla corte dei: “Due Piccolli uno della Chiesa del Santissimo Sacramento di Sità Nova e l’altro di S. Croce”; i due pendant, uniti dalla presenza di chiese barocche degli ordini conventuali francesi e di vivaci scene di mercato (la Chiesa di Santa Croce, ovvero l’ospite di Palazzo Cini, e la Chiesa delle Sacramentine), sono tra le ultime del ciclo di ventisei vedute di Varsavia e della residenza reale di Wilanòw: grandi, medie e piccole, dipinte tra il 1768 e il 1780, vengono collocate a partire dalla fine del 1777 nell’anticamera Senatoriale del Castello Reale di Varsavia, celebre come “Sala di Canaletto”. È il terzo grande ciclo di vedute cittadine, create dall’artista veneziano nel suo viaggio europeo, dopo quello di Dresda, commissionato tra il 1747 e il 1758 da Augusto III, re di Polonia e elettore di Sassonia, e quello di Vienna, eseguito nel 1758-1760 per Maria Teresa, imperatrice d’Austria.

La potente facciata barocca della chiesa di Santa Croce domina la via Krakowskie Przedmiescie (il Sobborgo di Cracovia) animata arteria di comunicazione, ultimo tratto della strada che congiunge le due residenze reali, il palazzo di Wilanòw e il castello nella Città Vecchia. La chiesa, una delle più importanti di Varsavia, scenario di celebrazioni di Stato (nel 1764 vi si svolse una parte della cerimonia dell’incoronazione di Stanislao Augusto) era stata fondata nel XV secolo e nel 1653 donata dalla regina Maria Luisa di Gonzaga-Nevers, moglie di due re della Polonia, Ladislao IV e Giovanni II Casimiro, all’ordine dei frati missionari di san Vincenzo de’ Paoli. Saccheggiato e deteriorato il vecchio edificio durante l’invasione svedese (1655-1660), il nuovo corpo principale viene costruito nel 1682-1696 dall’architetto della corte reale, Giuseppe Simone Bellotti, originario di Valsolda. Nel 1725-1737 si eleva la facciata a due piani, dall’impronta barocca, con le due torri e la scala semicircolare, progetto dell’architetto ticinese Giuseppe Fontana, perfezionato e rifinito dal figlio Giacomo un decennio prima dell’arrivo di Bellotto a Varsavia. La chiesa fu gravemente danneggiata durante l’insurrezione del 1944 e ricostruita nel 1945-1953, in parte secondo questo dipinto di Bellotto.

Una fitta schiera di palazzi nobiliari fiancheggia la via con, a destra, la facciata dell’ospedale di San Rocco, fondato nel 1707. Tra i palazzi in luce dirimpetto alla chiesa si distingue la porta d’ingresso al cortile del Palazzo Kazimierz, assegnato per volere del re Poniatowski al Corpo dei Cadetti, e, dal 1816, con alterne vicende, sede dell’Università di Varsavia; la porta, coronata da un grande globo, era stata eretta nel 1732 su commissione di Augusto II il Forte, re di Polonia e elettore di Sassonia. Il palazzo vicino, con balcone, apparteneva al padre del re Poniatowski, più in fondo, dove la via si restringe, il muro di cinta del palazzo Lubomirski e le impalcature sulla facciata della chiesa dei Carmelitani, allora in costruzione, soggetto dell’ultimo dipinto dell’artista, consegnato alla corte nel 1780.

Bellotto, maestro del drammatico impianto luministico, esercita qui il suo impetuoso virtuosismo, con il vortice di ombre modulate, sotto un cielo carico di nuvole; lascia in ombra tenue la facciata della chiesa, illuminando i dettagli della decorazione scultorea della scala, distrutta già nel 1794, durante i moti di Varsavia, e sostituita nel 1818 da un progetto di Christian Piotr Aigner. L’ombra estesa nel primo piano allude alla presenza della chiesa dei Domenicani Osservanti, non più esistente: da qui è ripresa la veduta, come recita, al numero 441, il catalogo della collezione reale (Vüe de Fauxbourg de Cracovie, prise de l’église de Dominicains); lo stesso numero, in rosso, contrassegna la tela. Tra i cittadini, nobili in costumi polacchi e stranieri, dame, cavalieri in carrozza, ebrei, contadini con i loro carri, mercanti, tutta la società polacca che sfila davanti alla chiesa di Santa Croce, Bellotto non omette di raffigurare nel primo piano tre frati domenicani e vicino alla chiesa i due missionari.

I metodi costruttivi e la tecnica sono quelli della giovinezza, con il disegno preparatorio a pennellino a colore bruno, a righello nelle principali linee costruttive, le delicate incisioni nella pittura fresca con una punta acuta, che delineano le finestre delle case e lasciano scivolare la luce sui pilastri della chiesa, le pareti formate con strati sovrapposti di colore. È la densità del colore che cambia, diventando più morbido e corposo, ricco di impasto nei magistrali tocchi finali a definire i dettagli, nelle architetture e nelle figure, specialmente quelli in luce. Come per tutti i dipinti del periodo polacco, non si conserva alcun disegno preparatorio, anche se numerosi schizzi devono essere stati eseguiti, con la camera ottica per le architetture e dal vivo per le figure.

Grazie ad Assicurazioni Generali, main partner della Galleria fin dalla sua riapertura nel 2014 e da molti anni sostenitore istituzionale della Fondazione Giorgio Cini, la stagione espositiva, come detto, proseguirà fino al 15 ottobre 2023.

L’Ospite a Palazzo è compreso nella visita alla Fondazione Cini. Orari: tutti i giorni, tranne il martedì (giorno di chiusura), dalle 11 alle 19. Biglietti: intero 10 euro; ridotto 8 euro per gruppi superiori a 8 persone, ragazzi 15–25 anni, over 65, soci Touring Club Italiano, soci Coop, soci ALI; ridotto 7 euro per possessori di un biglietto Dorsoduro Museum Mile, possessori biglietti Peggy Guggenheim Collection, Palazzo Grassi – Punta della Dogana, Gallerie dell’Accademia, possessori Voucher Guggenheim, possessori Voucher Generali, possessori Voucher Visite guidate Fondazione Giorgio Cini, aderenti alla convenzione Su e Zo per i Ponti; ridotto 5 euro per residenti Comune di Venezia, Soci Guggenheim, studenti e docenti universitari U.E. delle facoltà di architettura, conservazione dei beni culturali, scienze della formazione, iscritti ai corsi di laurea in lettere o materie letterarie con indirizzo archeologico, storico-artistico delle facoltà di lettere e filosofia, iscritti alle Accademie delle Belle Arti, studenti che hanno aderito all’iniziativa governativa 18App; gratis per (Cini Ambassador della Fondazione Giorgio Cini, minori di 15 anni (i minori devono essere accompagnati), Membri ICOM (International Council of Museums), diversamente abili accompagnati da un familiare o da un assistente socio-sanitario, giornalisti accreditati con tesserino, dipendenti Assicurazioni Generali, guide di Venezia accreditate, possessori MySpecialVenice Card. Informazioni: www.cini.it

Da Varsavia a Venezia, un capolavoro di Bernardo Bellotto ospite della Fondazione Cini
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