Edvard Munch (Løten, 1863 – Oslo, 1944) è stato uno dei più importanti artisti attivi tra Otto e Novecento perché assieme ad altri pittori suoi coetanei ha segnato un punto di svolta nella storia dell’arte. Ogni qual volta incrociamo il suo nome in un libro o in una mostra è sempre affiancato da altri due artisti: Paul Gauguin (Parigi, 1848 – Hiva Oa, 1903) e Vincent van Gogh (Zundert, 1853 – Auvers-sur-Oise, 1890). Si potrebbe pensare che questi tre maestri siano accomunati, in prima istanza, dallo scarso successo in vita e dalla fama postuma, ma in realtà si tratta di un’opinione errata. Infatti, nonostante sia un pensiero comune associare le opere più cupe e la triste vicenda biografica di Edvard Munch a una scarsa popolarità in vita, il norvegese ottenne un grande successo nella seconda parte della sua carriera. In realtà, ciò che accomuna i tre artisti è la carica soggettiva che caratterizza le loro opere, capace di andare oltre quello studio scientifico e oggettivo della realtà, portato avanti dalle correnti contemporanee degli impressionisti e dei puntinisti. Non a caso Munch, Gauguin e Van Gogh sono considerati anticipatori dell’espressionismo, quella corrente artistica che mira a esaltare il lato emotivo della realtà che ci circonda.
I più grandi capolavori di Munch sono il risultato di una vita tormentata e dolorosa, segnata da perdite familiari, insuccessi, alcolismo, nevrosi e solitudine. Come si vedrà più avanti, la vita di Munch fu piena di alti e bassi, che non hanno permesso all’artista di raggiungere quella stabilità mentale ed emotiva che la sua condizione economica e sociale gli avrebbe permesso. Infatti, nonostante la vita tormentata e solitaria, Munch riscosse grande successo presso la critica e il pubblico europeo, al punto che molti artisti, per esempio le avanguardie del Die Brücke e dei Fauves, riconobbero in lui un padre e un maestro della loro arte. Tuttavia, provare a etichettare l’arte del genio norvegese è un’operazione impossibile per la sua singolarità e anche perché Munch stesso rifiutò di farsi accostare a qualunque gruppo di artisti.
Edvard Munch nacque il 12 dicembre 1863 a Løten, una piccola cittadina norvegese nei pressi di Christiania (nome originario di Oslo capitale della Norvegia), secondo di cinque figli di Christian e Laura Catherine Bjolstad. Nel 1864 la famiglia si trasferì a Christiania, dove il pittore ebbe l’opportunità di entrare in contatto con un panorama culturale più ampio rispetto al piccolo comune di origine. Purtroppo, l’infanzia di Edvard fu segnata da vari lutti, a partire dalle morti della madre nel 1868 e della sorella maggiore Johanne Sophie nel 1877, entrambe causate dalla tubercolosi. Inoltre, la perdita prematura della madre portò il padre di Edvard a un crollo mentale che lo allontanò dai figli. Ciò incise profondamente sul rapporto tra il giovane Munch e il padre, il quale sognava per lui una carriera da ingegnere, ma alla quale Edvard preferì quella artistica, tanto che iniziò a seguire i corsi della Scuola Reale di Disegno.
Nel 1882 Edvard Munch e altri pittori affittarono insieme un atelier e affidarono la loro formazioni a due illustri pittori: il naturalista Christian Krihg e l’impressionista Frits Thaulow. Le opere di quest’ultimo ispirarono alcuni dei dipinti esposti nel 1883 al Salone delle Arti Decorative di Christiania, la prima mostra a cui partecipò il giovane pittore norvegese.
Nel 1885 Edvard Munch si trasferì a Parigi, dove lesse per la prima volta le opere del filosofo Søren Kierkegaard. Quest’ultimo teorizzò diversi modi di concepire l’esistenza; tra questi figurava la “vita estetica”, che si basava sul connubio tra arte e vita, che Munch reinterpretò in chiave personale come arte e dolore. Questo periodo parigino fu fondamentale sotto vari punti di vista: nel 1889 Munch organizzò la sua prima mostra personale e anche se fu un fallimento, ottenne una borsa di studio che gli permise di rimanere a vivere nella capitale. Il soggiorno francese fu anche un’occasione per farsi conoscere tramite alcune esposizioni, ma soprattutto per entrare in contatto con le opere di numerosissimi artisti, in particolare quelle di Vincent Van Gogh e di Paul Gauguin, che lo spinsero a ricercare uno stile personale che lo contraddistinguesse. Tuttavia, questi anni furono segnati anche dalla perdita del padre, evento che tormentò l’artista fino alla fine dei suoi giorni, dato che non era stato in grado di risanare i rapporti con lui. Proprio questa situazione segnò un punto di svolta nelle sue opere, che per qualche anno continuarono a essere esposte, ma senza riuscire a lasciare il segno nel panorama artistico.
Il 1892 fu un anno estremamente rilevante per la vita e la carriera di Edvard Munch. Il pittore norvegese fu invitato dall’Associazione Artisti Berlinesi a esporre alla loro mostra annuale. Tuttavia, l’esposizione durò soltanto una settimana perché le opere di Munch furono ritenute dalle autorità scandalose e oscene. Il provvedimento causò largo dissenso, al punto che un gruppo di artisti del sodalizio, capitanato dall’artista Max Liebermann, decise di scindersi dall’Associazione Artisti Berlinesi nel 1898, dando vita alla celebre Secessione di Berlino.
La censura non costituì comunque un colpo di arresto nella carriera di Edvard Munch. L’artista, infatti, fu capace di comprendere l’importanza dell’episodio e decise così di stabilirsi a Berlino. Nella capitale tedesca il norvegese fu riconosciuto come un grande pittore per il carattere unico delle sue opere, che gli permise di esporre in tutta Europa e perfino negli Stati Uniti. Il 1893 fu uno degli anni più importanti della sua carriera, per la produzione di alcuni dei suoi più grandi capolavori, come l’Urlo (leggi qui un breve approfondimento di carattere letterario e filosofico sul dipinto), caratterizzati da tinte fosche e fosforescenti e da soggetti macabri e inquietanti. Durante un’esposizione Munch decise di raggruppare sei opere in una serie intitolata Amore, il nucleo originale alla base del Fregio della vita: un ciclo unitario di dipinti che fu ampliato negli anni a seguire fino alla forma definitiva del 1902. Sebbene da una parte nel 1893 Munch raggiunse l’apice della sua carriera, dall’altra la sua tormentata relazione con la fidanzata Tulla Larsen si concluse tragicamente. Sempre nello stesso anno iniziò a dedicarsi alla realizzazione di opere grafiche e fotografiche, che ebbero un largo successo.
Negli anni a seguire, Munch viaggiò molto e riscosse una certa fama, al punto che vari gruppi di artisti gli proposero di unirsi a loro. Tuttavia, Edvard declinò sempre gli inviti preferendo vivere da solo, sprofondando in uno stato mentale instabile ed esasperato, aggravato dall’abuso di alcolici. Nonostante la terribile situazione, l’artista comprese da solo che non era più possibile continuare a vivere in questo stato e decise di ricoverarsi, seppur con la possibilità di continuare a dipingere. Dopo il ricovero, Edvard riuscì a condurre uno stile di vita più sano, ma sempre in solitudine. Infatti, il pittore decise di isolarsi quasi completamente dal resto della società. Gli ultimi anni della sua vita furono segnati dal tentativo di farsi apprezzare dalla sua madrepatria che lo aveva sempre ignorato, impegnandosi nella realizzazione di commissioni pubbliche e lasciando in eredità al sindaco di Oslo la maggior parte delle sue opere. Subito dopo aver raggiunto l’accordo con il sindaco, Edvard Munch morì nel 1944, a causa di una broncopolmonite.
Le opere del primo periodo di Edvard Munch sono molto diverse da quelle della sua maturità: le tinte sono tenui e controllate, i personaggi sono calmi e rilassati e risentono ancora dell’arte di Edvard Degas che fu un artista per lui importante nei primi anni della sua carriera. Un momento di svolta è chiaramente percepibile nell’opera La bambina malata (1885-1886). Questo dipinto fu esposto per la prima volta con il titolo Studio e suscitò molte polemiche da parte della critica per il carattere di non finito e di incompiutezza della materia pittorica. L’opera riflette un evento personale, ovvero quello del decesso della sorella, che sembra raffigurata sul letto di morte accanto alla zia Karen che all’epoca si prese cura dei bambini dopo la scomparsa della madre. Sebbene il dipinto sia soltanto del 1885, il pennello di Munch sembra affrancarsi dallo stile impressionista e avvicinarsi a un tipo di pittura più soggettivo e carico di emozioni.
Come detto precedentemente, il 1892 fu l’anno della svolta nella carriera artistica di Edvard Munch. Ciò è intuibile in alcune opere di questi anni, come Malinconia. L’opera raffigura un paesaggio marino al tramonto, con un pontile sullo sfondo, dove sono rappresentate alcune figure e una barca in mezzo al mare. Nella parte inferiore della tela, sulla destra, compare un uomo identificabile come Munch, con l’orecchio poggiato sulla mano sinistra: la posa tipica della malinconia. Il dipinto trae ispirazione dalla delusione amorosa provata da un amico per una pittrice da lui amata. A partire da questa dolorosa esperienza, il maestro norvegese trae ispirazione per dar vita a un’opera che rappresenti l’angoscia e il dolore provato da ogni persona almeno una volta nella vita. Inoltre, è possibile notare come i toni siano incupiti e il sentimento della malinconia sia trasmesso tramite delle ampie e frettolose campiture di colore.
La stessa tecnica è riscontrabile in un’altra opera dello stesso anno: Sera sul viale Karl Johan. Il dipinto rappresenta il tipico rituale borghese della passeggiata serale nella città di Christiania. Munch non si sofferma sulla raffigurazione dei dettagli anatomici dei singoli passanti, ma li rappresenta come un unico blocco di automi dallo sguardo vuoto, che procede nella stessa direzione. L’unico a separarsi da questa massa informe è un uomo col cilindro che cammina lungo la strada nella direzione opposta: si tratta dello stesso Munch, che si sentì sempre emarginato e lontano dalla società.
Con il passare degli anni le opere dell’artista norvegese si semplificarono maggiormente e i colori diventarono più accesi e vibranti, con lo scopo di illuminare la tela e suggerire i sentimenti provati dal pittore al momento dell’esecuzione. Si tratta di emozioni forti e terrificanti: la gelosia, l’angoscia, la malinconia, la disperazione e la libido, che stanno alla base di numerose opere cariche di significati simbolici che alludono a sentimenti e vicende personali. A partire dal 1893, Munch decise di raccogliere diversi dipinti all’interno di un’unica raccolta organica che prese il nome di Fregio della vita, una narrazione della sua vicenda spirituale e affettiva. Inizialmente il Fregio fu composto da cinque dipinti, con il titolo di Amore. Successivamente Munch aggiunse altre opere a questa raccolta fino ad arrivare a ventidue dipinti in occasione della quinta edizione della Berliner Secession. Per l’esposizione, Munch suddivise il fregio della vita in quattro tappe: il Seme dell’amore, Sviluppo e dissoluzione dell’amore, Angoscia e Morte.
Tra le opere del Fregio della vita compare anche il dipinto più celebre di tutto il corpus di Edvard Munch: l’Urlo. L’opera nota in tutto il mondo è ancora una volta la trasposizione in pittura di un’esperienza vissuta in prima persona dall’artista, di cui è possibile leggerne una testimonianza scritta: “mi fermai a guardare al di là del fiordo, il sole stava tramontando, le nuvole erano tinte di rosso sangue. Sentii un urlo attraversare la natura: mi sembrò quasi di udirlo. Dipinsi questo quadro, dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori stavano urlando. Questo è diventato L’urlo”. Nel dipinto viene raffigurato il fiordo di Ekeberg, meta per le passeggiate domenicali e tipico scenario da cartolina. Ancora una volta Munch rompe con la tradizione e trasforma un luogo familiare in un inferno terrestre: il cielo si tinge di rosso sangue e l’uomo in primo piano, lontano dalle altre due figure sulla sinistra, si dimena in un urlo doloroso e terrificante, in risposta alla distorsione della natura intorno a lui. L’opera non può che creare ansia e un senso di turbamento nell’animo dello spettatore, che rimane pietrificato dinanzi al grido dell’autore che denuncia un’ansia sociale che lo accompagnò per tutto il corso della sua esistenza.
Un tema ricorrente del Fregio della vita è la donna, che nell’immaginario di Munch ha sempre rappresentato un ruolo sinistro e ambiguo. Tra le opere più celebri si menzionano Il Vampiro (1893-94) e Madonna (1894), che rappresentano due visioni personali distinte della figura femminile. Inizialmente il dipinto il Vampiro venne chiamato da Munch Amore e dolore, e l’artista stesso dichiarò che si trattasse “soltanto di una donna che bacia un uomo sul collo”. Solo in un secondo momento il suo amico e biografo Stanislaw Przybyszewski ribattezzò l’opera con il titolo odierno, in riferimento alla visione demoniaca e assoggettante della donna nei confronti dell’uomo. Infatti, nel dipinto l’uomo sacrifica la sua stessa vita abbandonandosi al bacio mortale perché assetato dal desiderio amoroso, che soltanto la figura femminile può soddisfare. Il secondo dipinto è sicuramente uno dei più scandalosi di tutta la storia dell’arte. Infatti, Munch raffigura una Madonna tutt’altro che vergine e distante dalla classica rappresentazione di questo soggetto. La donna è ritratta in una posa sensuale e provocatoria. L’artista realizzò cinque versioni dell’opera, tra le quali spicca l’esemplare in cui la cornice è decorata con degli spermatozoi, mentre in basso a sinistra compare la figura di un feto abortivo, a richiamare il mistero della nascita e il dogma della verginità. L’opera suscitò grandissimo clamore e fu accolta con aspre critiche da parte del pubblico benpensante dell’epoca.
Nonostante gli scandali e le tensioni suscitate dalle opere di Munch, il suo contributo fu fondamentale per il movimento espressionista: come ricordato anche sopra, il testimone della sua esperienza sarebbe stato in seguito raccolto dalla Secessione di Berlino. Su tutti occorre menzionare i nomi di Lovis Corinth, Max Liebermann e Käthe Kollwitz, che guardarono a Munch con convinzione e in certi casi riuscirono anche a suscitare scandalo esattamente come aveva fatto il loro precursore.
Per conoscere le opere di Edvard Munch è necessario pianificare un viaggio in Norvegia, dove sono raccolte quasi tutte le sue opere. Buona parte di esse sono raccolte all’interno del Munchmuseet di Oslo. Anche la Nasjonalgalleriet di Oslo, la prima istituzione pubblica ad acquistare opere di Munch, possiede un’intera sala a lui dedicata, al cui interno è custodita la versione più celebre dell’Urlo. Infine, nell’aula magna dell’Università di Oslo sono custoditi undici dipinti a olio di Munch, frutto di un concorso vinto dal pittore. Tuttavia, è possibile ammirare alcune opere anche al di fuori dei confini norvegese: per esempio alla Tate Modern di Londra è conservata una delle versioni della celebre opera La bambina malata.
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