Giovanni Bellini, vita e opere dell'iniziatore del Rinascimento veneto


Giovanni Bellini può essere considerato il pittore da cui è cominciato il Rinascimento veneto. La sua vita, il suo stile, le sue opere principali.

Giovanni Bellini, conosciuto anche come “il Giambellino” (Venezia, 1430 circa - 1516) è uno dei grandi nomi della storia dell’arte italiana, in quanto è considerato l’iniziatore del Rinascimento a Venezia. Nato in una famiglia di pittori (il padre Jacopo e il fratello Gentile furono tra i più importanti artisti della Venezia quattrocentesca), riuscì presto a slegarsi dagli schemi tardogotici entro cui si era formato per abbracciare dapprima l’arte del cognato Andrea Mantegna (Isola di Carturo, 1431 - Mantova, 1506), poi quella di Piero della Francesca (Borgo Sansepolcro, 1416 - 1492) e ancora quella di Antonello da Messina (Antonio di Giovanni de Antonio; Messina, 1430 – 1479), che rese la sua arte più luminosa e più morbida: pronta, dunque, per aprire la strada alla pittura tonale veneta, che avrebbe trovato in Giorgione il suo più importante erede.

L’artista passò la sua intera carriera nella Venezia di metà Quattrocento, all’epoca in cui la città, che si vedeva minacciata dai turchi sul dominio dei mari, aveva cominciato a intraprendere il proprio espansionismo verso la terraferma, che cominciò già agli inizi del XV secolo: importante fu in questo senso la conquista di Padova nel 1405, un fatto di notevole rilevanza per lo sviluppo culturale e artistico di Venezia. Padova disponeva infatti di un’Università e una classe intellettuale più raffinata rispetto a quella veneziana, senza contare il fatto che di lì a poco avrebbe ospitato alcuni dei grandi artisti del Rinascimento toscano, come Donatello a Paolo Uccello. Gli artisti toscani avrebbero presto cominciato a lavorare a Venezia o per Venezia: la città, nella sua espansione sulla terraferma, si trovò in conflitto con la politica a sua volta espansionistica del Ducato di Milano, e per arginare il pericolo milanese, Venezia si alleò con Firenze. Dunque, ben presto i contatti politici diedero vita anche a notevoli contatti culturali, e tra gli artisti che soggiornarono a Venezia occorre citare Lorenzo Ghiberti, Michelozzo, Leon Battista Alberti, lo stesso Paolo Uccello e altri, tutti presenti in città negli anni Venti e Trenta del Quattrocento, ed è possibile ipotizzare che alcune di queste presenze si dovevano al fatto che Cosimo il Vecchio, in esilio da Firenze, dopo essere stato a Padova si stabilì per qualche tempo a Venezia e quindi alcuni artisti lo seguirono. Questo clima di fervore culturale riuscì quindi a rinnovare l’arte veneziana, a quel tempo dominata ancora dai gusti tardogotici, che comunque detteranno le tendenze ancora per qualche tempo: tuttavia è questa la stagione durante la quale viene inaugurato il Rinascimento veneziano, che riceve poi un impulso molto importante grazie all’apporto dell’arte di grandi maestri come Andrea Mantegna, Piero della Francesca e Antonello da Messina. Questo è il clima entro cui si muove Giovanni Bellini.

L’artista si era formato nella bottega di Jacopo Bellini, importante pittore di formazione tardogotica che aveva poi accolto alcune novità rinascimentali (nella bottega paterna era attivo anche suo fratello Gentile, altro importante pittore veneziano del tempo). Oltre che al padre, Giovanni Bellini guarda anche all’arte dei Vivarini, soprattutto ad Antonio Vivarini, altro grande nome dell’arte veneziana di inizio Quattrocento, ma decisivo per la sua formazione è l’incontro con Andrea Mantegna di cui Giovanni Bellini diventerà anche cognato (nel 1453 infatti Mantegna sposa la sorella di Giovanni e Gentile, Nicolosia). E le prime opere di Giovanni Bellini risentono proprio dell’influsso di Mantegna.

Giovanni Bellini, Madonna col Bambino (1475 circa; 83 x 62 cm; Rovigo, Palazzo Roverella)
Giovanni Bellini, Madonna col Bambino (1475 circa; 83 x 62 cm; Rovigo, Palazzo Roverella)

Biografia di Giovanni Bellini

Giovanni Bellini nasce attorno al 1430 a Venezia, in una famiglia di pittori: il padre Jacopo è uno dei più importanti pittori dell’epoca e il fratello Gentile diventerà, anche lui, un artista di primo piano. Compie il suo apprendistato nella bottega paterna, ma degli anni giovanili abbiamo pochissime notizie certe. Risale al 1459 il primo documento che lo cita, in cui compare come testimone per un notaio veneziano. Nel frattempo aveva conosciuto Andrea Mantegna, era diventato suo cognato nel 1453 (in quanto Mantegna aveva sposato sua sorella Nicolosia) e aveva iniziato a produrre alcune opere dal chiaro sapore mantegnesco, come la Trasfigurazione del Museo Correr di Venezia o la Presentazione al Tempio oggi conservata alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia (che però forse potrebbe essere stata realizzata attorno al 1460). Attorno al 1460 dipinge la celebre Pietà oggi conservata alla Pinacoteca di Brera e nel 1464 inizia il Polittico di san Vincenzo Ferrer per la Basilica dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia, opera che sarà forse finita tre anni più tardi.

Nel 1470 è incaricato di eseguire un dipinto per la Scuola di San Marco, un Diluvio universale, ma non porterà mai a termine l’impresa. Negli stessi anni, probabilmente, compie un soggiorno nelle Marche, dove entra a contatto diretto con l’arte di Piero della Francesca. Sempre negli anni Settanta, conosce Antonello da Messina e dipinge la Pala Pesaro. Nel 1479, dopo la partenza del fratello Gentile per Costantinopoli, ottiene l’incarico, precedentemente assegnato a Gentile, di restaurare alcune pitture nel Palazzo Ducale di Venezia. Nel 1483 viene nominato pittore ufficiale della Repubblica. Intorno al 1487 dipinge la Pala di san Giobbe, e nel 1488, assieme al fratello Gentile, lavora ad alcune pitture per la Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale. Nello stesso anno realizza il Trittico dei Frari.

Forse attorno al 1490 inizia a dipingere uno dei suoi capolavori più noti, l’Allegoria sacra conservata oggi agli Uffizi, uno dei dipinti più problematici e discussi della storia dell’arte (leggi qui un approfondimento sul dipinto). Nel 1496 Giovanni entra in contatto con Isabella d’Este, con la quale tratterà per un dipinto destinato allo studiolo della marchesa di Mantova. Probabilmente entro il 1502 Giovanni termina il Battesimo di Cristo per la chiesa di Santa Corona a Vicenza. Risale invece al 1505 la Pala di san Zaccaria per l’omonima chiesa di Venezia. Nel 1507, in seguito alla scomparsa del fratello termina da solo la Predica di san Marco ad Alessandria iniziata da Gentile (oggi si trova alla Pinacoteca di Brera a Milano), uno dei suoi capolavori più grandi e famosi. Nel 1514 dipinge il Festino degli dèi, oggi alla National Gallery di Washington, la sua ultima opera di grande respiro. L’artista scompare a Venezia il 29 novembre 1516: la sua ultima impresa, un Martirio di San Marco commissionatogli dalla Scuola Grande di San Marco, rimane incompiuto, e sarà terminato soltanto nel 1537 da Vittore Belliniano, suo collaboratore di lunga data.

Giovanni Bellini, Allegoria sacra (variamente datata tra il 1487 e il 1504; olio su tavola, 73 x 119 cm; Firenze, Uffizi)
Giovanni Bellini, Allegoria sacra (variamente datata tra il 1487 e il 1504; olio su tavola, 73 x 119 cm; Firenze, Uffizi)


Giovanni Bellini, Pietà (1460-1465; tempera su tavola, 86 x 107 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)
Giovanni Bellini, Pietà (1460-1465; tempera su tavola, 86 x 107 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)


Giovanni Bellini, Presentazione al Tempio (1460; tempera su tavola, 80 x 105 cm; Venezia, Fondazione Querini Stampalia)
Giovanni Bellini, Presentazione al Tempio (1460; tempera su tavola, 80 x 105 cm; Venezia, Fondazione Querini Stampalia)

Lo stile e le principali opere di Giovanni Bellini

Le prime opere di Giovanni Bellini risentono molto della sua vicinanza ad Andrea Mantegna. L’incontro tra Giovanni Bellini e Andrea Mantegna potrebbe essere avvenuto non a Venezia, bensì a Padova, dove Mantegna era attivo proprio negli anni Cinquanta del Quattrocento, e dove lo stesso Bellini potrebbe essere stato negli anni Cinquanta: la Pietà conservata all’Accademia Carrara di Bergamo è infatti esemplata sul Cristo morto di Donatello dell’altare del Santo nella Basilica di Sant’Antonio, opera fu di capitale importanza per il Rinascimento nel nord Italia, perché i modi di Donatello contribuirono a rinnovare fortemente sia il modo di fare arte degli artisti settentrionali, sia le iconografie, e lo testimonia anche il fatto che il suo Cristo morto fu molto fortunato, come del resto dimostrato anche dalla Pietà di Bellini. Un altro possibile riferimento per la Pietà potrebbe essere lo stesso Mantegna, con il suo Polittico di San Luca custodito Pinacoteca di Brera, ma che era stato dipinto per la chiesa di santa Giustina a Padova nel 1454: nel polittico si può notare un Cristo morto tra la Madonna e san Giovanni, e Giovanni Bellini potrebbe aver tratto degli spunti dal precedente mantegnesco. La vicinanza a Mantegna si fa però del tutto tangibile nella Trasfigurazione, opera realizzata dopo il 1455 che oggi è conservata al Museo Correr di Venezia e che può essere messa a diretto confronto con l’Orazione nell’orto di Mantegna, dipinta più o meno nello stesso periodo e oggi alla National Gallery di Londra. Il paesaggio roccioso è lo stesso, così come del tutto simile a quello di Mantegna è il segno aspro e duro che vediamo non solo nelle rocce ma anche nelle vesti e nei lineamenti dei personaggi, un tratto duro che in Mantegna rendeva tangibile il fatto che l’artista si ispirasse all’antichità classica. L’interesse per l’archeologia, che è uno dei motivi principali dell’arte di Mantegna, è invece del tutto secondario se non quasi completamente assente nell’arte di Giovanni Bellini di questa fase: l’artista veneto è più interessato a far dialogare i personaggi con la natura che li circonda, e questo espediente serve anche per far sì che l’attenzione dell’osservatore si concentri sulle figure. Un’ulteriore opera, la Presentazione al Tempio del 1460 circa che si trova alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia, permette un ulteriore confronto diretto con Mantegna perché si tratta di una copia di un’opera omologa del cognato, realizzata qualche anno prima e conservata oggi a Berlino. Fin da una prima analisi si possono notare le notevoli differenze concettuali tra le due opere: più distaccata quella di Mantegna, più umana invece quella di Bellini, che elimina le aureole dei santi, elimina anche la cornice di Mantegna lasciando solo una balaustra per avvicinare di più i personaggi all’osservatore, e aggiunge in modo più libero alcuni personaggi sulla destra, ma anche una donna sulla sinistra.

La prima opera che mostra segni di distacco dai modi mantegneschi è però la Pietà della Pinacoteca di Brera: il distacco si avverte soprattutto dal fatto che Giovanni Bellini vuole compiere ulteriori evoluzioni nell’avvicinare all’osservatore i protagonisti del suo dipinto. Le figure sono dipinte in scala reale, ma non solo: intento di Giovanni Bellini è quello di rendere ben percepibile la sofferenza della Madonna e di san Giovanni. L’artista riesce dunque a dipingere una rappresentazione caratterizzata da un’elevata umanità, superando l’idealizzazione che aveva caratterizzato la pittura veneziana fino ad allora e inaugurando il Rinascimento a Venezia. È proprio l’umanità la caratteristica principale e di questa opera d’arte, è la capacità di comunicare che i personaggi che vediamo nell’opera non sono divinità astratte ma sono uomini di carne: e Bellini era consapevole dei suoi mezzi perché l’iscrizione latina, tratta da un verso di Properzio, recita pi “quando questi occhi gonfi ti faranno quasi emettere gemiti, allora anche l’opera di Giovanni Bellini potrà piangere”, come a voler dire che l’intento del dipinto è quello di far commuovere chi lo osserva. Questo interesse per l’umanità dei personaggi potrebbe essere stato suggerito dalla visione di alcune opere fiamminghe. Inoltre, il superamento della lezione mantegnesca si nota anche dal fatto che il tratto inizia ad ammorbidirsi.

Ulteriori evoluzioni dello stile di Giovanni Bellini si vedono con la Pala di Pesaro, che rappresenta una Incoronazione della Vergine ed è conservata ai Musei Civici di Pesaro (la cimasa, con una Pietà), è alla Pinacoteca Vaticana. Era stata dipinta per la locale chiesa di San Francesco, attorno al 1470-1475: Giovanni Bellini si trovava a Pesaro per un soggiorno nelle terre native della matrigna Anna. L’incoronazione della Vergine si svolge in terra e non in cielo, come voleva la tradizione iconografica, e sia la Madonna che Gesù sono seduti sopra un ampio trono classico in marmo che ha però lo schienale aperto, così da far intravedere all’osservatore il paesaggio con un borgo su una collina (potrebbe trattarsi del borgo di Gradara nelle Marche). In questo dipinto Giovanni Bellini riesce a distaccarsi in modo definitivo dall’asprezza del segno mantegnesco che fino a quel momento non aveva lasciato la sua arte, e riesce nel suo intento abbracciando l’arte di Piero della Francesca: la luce, di derivazione fiamminga, che si spande su tutto il dipinto e investe tutti i personaggi, riesce a conferire una maggior morbidezza e una maggior brillantezza alle loro vesti e ai loro volti. A differenza però di Piero della Francesca, che utilizzava la sua luce tersa per proporre un’arte intellettuale e fortemente razionale, Giovanni Bellini utilizza questa luce rielaborandola in chiave naturalistica (basti vedere il volto scarno di san Francesco o lo sguardo distratto di san Paolo per rendersi conto del fatto che intento di Giovanni Bellini è quello di rendere umani i suoi personaggi, al contrario di Piero della Francesca). La novità delle intuizioni di Giovanni Bellini sull’uso della luce e del colore si può poi notare facilmente in un dettaglio preciso, ovvero il fatto che le ombre, nella pala di Pesaro, sono colorate. Queste intuizioni di Giovanni Bellini saranno il preludio per la nascita della pittura tonale veneta (o “tonalismo”), la pittura che costruisce la profondità nelle scene attraverso l’accostamento di colori.

Anche nelle ultime fasi della carriera di Giovanni Bellini si assiste a nuove modifiche del suo stile: agli inizi del Cinquecento, infatti, Bellini rimane affascinato dalle conquiste di Giorgione, tanto da decidere di farle sue. Lo si vede nella Sacra Conversazione del 1505 conservata presso la chiesa di San Zaccaria a Venezia, nota anche come Pala di San Zaccaria, una delle poche opere datate e firmate di Giovanni Bellini. È uno spettacolare dipinto che riprende lo schema della pala di San Giobbe, anche se qui vengono sciolti i legami con il passato e l’artista abbraccia un tonalismo giorgionesco che si nota soprattutto nel modo in cui Giovanni Bellini dipinge i suoi personaggi che ormai sono costruiti soltanto con il colore. Magnifica è l’architettura entro cui si svolge la scena, una nicchia classica, decorata con un mosaico a motivi tratti dal mondo della natura, che dialoga in modo soprendente con le architetture della chiesa (sembra quasi che il dipinto di Giovanni Bellini sia la naturale prosecuzione della cappella in cui si trova). È interessante poi anche il modo in cui Giovanni Bellini riesce a dare naturalezza ai connotati dei suoi personaggi senza però far perdere loro la solennità, tipicamente veneziana, derivante dall’arte bizantina. Bellini usa inoltre una tavolozza varia, con colori caldi: si tratta della prima opera dell’artista in cui si manifesta il suo interesse per l’arte di Giorgione, che era più giovane di lui di circa quarant’anni. Questo interesse emergerà anche da opere successive.

Giovanni Bellini, Pala di Pesaro (1471-1483 circa; olio su tavola, 262 x 240 cm; Pesaro, Musei Civici)
Giovanni Bellini, Pala di Pesaro (1471-1483 circa; olio su tavola, 262 x 240 cm; Pesaro, Musei Civici)


Giovanni Bellini, Pala di San Zaccaria (1505; olio su tavola, 500 x 235 cm; Venezia, San Zaccaria)
Giovanni Bellini, Pala di San Zaccaria (1505; olio su tavola, 500 x 235 cm; Venezia, San Zaccaria)

Dove vedere le opere di Giovanni Bellini

Giovanni Bellini fu un artista molto prolifico, dunque oggi conosciamo molte sue opere. Per conoscere da vicino la sua arte occorre visitare Venezia recandosi nei palazzi, nei musei, nelle chiese della città. Il Museo Correr conserva due importanti capolavori giovanili, ovvero la Crocifissione di San Salvador e la Trasfigurazione (oltre al leggermente più tardo Cristo morto sorretto da due angeli). Alla Fondazione Querini Stampalia si trova uno dei suoi capolavori, la Presentazione al Tempio. Altre opere si trovano alle Gallerie dell’Accademia: il Trittico di San Sebastiano, il Trittico di San Lorenzo, il Trittico della Madonna, il Trittico della Natività, la Pala Martinengo, la Madonna Contarini, nonché uno dei principali capolavori, la Pala di San Giobbe, e diverse sue Madonne come la Madonna degli Alberetti e la Madonna dei cherubini rossi. Da non perdere inoltre il Trittico dei Frari alla Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, la Pala di San Zaccaria nella chiesa di San Zaccaria, il Polittico di San Vincenzo Ferrer nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, la splendida pala con i santi Cristoforo, Girolamo e Ludovico di Tolosa in San Giovanni Crisostomo.

Ci sono poi diversi musei italiani che conservano importanti opere di Giovanni Bellini. L’Accademia Carrara di Bergamo conserva diverse sue opere: il giovanile Cristo morto tra la Vergine e Giovanni Evangelista, la Madonna Lochis, il Ritratto di giovane uomo, la Madonna di Alzano. Agli Uffizi si trova la celeberrima Allegoria sacra, la Pinacoteca Malaspina di Pavia ospita una Madonna col Bambino giovanile, a Milano la Pinacoteca di Brera accoglie un altro capolavoro giovanile, ovvero il Cristo morto sorretto da Maria e Giovanni, oltre alla Madnna greca, mentre al Poldi Pezzoli si trova il Cristo in pietà nel sepolcro. I Musei Civici di Pesaro ospitano un capolavoro della maturità, la Pala di Pesaro, e altre sue opere si trovano a Rovigo, a Palazzo Roverella, al Museo di Castelvecchio di Verona, al Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli. Da vedere anche il Battesimo di Cristo nella chiesa di Santa Corona a Vicenza. All’estero si trovano importanti opere al Louvre, alla National Gallery di Londra, agli Staatliche Museen di Berlino, al Prado di Madrid, al Metropolitan di New York. L’ultima opera importante, il Festino degli dèi, si trova alla National Gallery di Washington.


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