Piero della Francesca, il pittore razionale del Rinascimento: vita e opere


Piero della Francesca è stato uno dei pittori più razionali e geometrici del Rinascimento. La sua vita, le opere, lo stile, i capolavori.

Piero della Francesca (Borgo Sansepolcro, 1412/1416 - 1492) venne definito “el monarcha de la pittura” dal grande matematico Luca Pacioli, che era anche suo amico e che con queste parole intendeva omaggiare la statura del grande pittore. Piero della Francesca è uno degli artisti cardine del Rinascimento italiano: la sua pittura fatta di armonia e geometrismo, luminosa, prospetticamente calibrata su di una costruzione matematicamente impostata, razionale, misurata in ogni singolo dettaglio, ha appassionato generazioni di amanti dell’arte.

Benché sia uno dei massimi artisti del Quattrocento, di Piero della Francesca si sa relativamente poco. Ci sono per esempio dei punti oscuri sulla sua formazione: i primi documenti che lo riguardano risalgono ai primi anni Trenta, dopodiché viene menzionato in un documento del 1439, quando era collaboratore di Domenico Veneziano, mentre nel 1445, a trentatré anni, gli viene già commissionata la sua prima opera importante, ovvero il Polittico della Misericordia. Ci sono poi diverse opere ricordate dalle fonti che sono però andate perdute, e inoltre su diversi suoi dipinti la cronologia non è sicura. Fu poi artista itinerante, anche se viene associato al clima culturale di Urbino, città dove si trattenne tra il 1469 e il 1472: i suoi orizzonti però spaziavano oltre.

Piero della Francesca è stato uno degli artisti più influenti del suo tempo, e la sua arte ha fornito suggestioni a molti pittori della generazione successiva, alcuni dei quali, come Luca Signorelli e Perugino, furono anche suoi allievi diretti, mentre altri, come Antonello da Messina, Giovanni Bellini, Melozzo da Forlì e Raffaello Sanzio, sono comunque legati a Piero della Francesca, uno dei pittori più importanti della storia dell’arte. Anche per questa ragione, Pacioli lo riteneva il re dei pittori: con la sua definizione aveva infatti segnalato, ha scritto Adolfo Venturi, “il grande influsso del pittore di Borgo su tutta l’arte italiana dell’Emilia e del Veneto, della Toscana meridionale, come dell’Umbria, delle Marche e delle Romagne, dalla corte degli Estensi alla bottega di Giambellino, dalla turrita Cortona alla reggia di Federico da Montefeltro, dal tempio malatestiano alla cittadella forlivese degli Sforza e al santuario di Loreto”. E da tutte queste terre, “si estese la riforma pierfrancescana su Roma e Viterbo, su Napoli e Messina, dal palazzo vaticano alla cappella Mazzatosta, dagli anonimi affreschi di Monteoliveto in Napoli alla pittura rinnovatrice di Antonello”. La riforma di Piero della Francesca è in altri termini la sua pittura rigorosa e matematica, che avrebbe condizionato l’arte di diversi grandi autori.

Presunto autoritratto di Piero della Francesca (dettaglio del Polittico della Misericordia)
Presunto autoritratto di Piero della Francesca (dettaglio del Polittico della Misericordia)

Biografia di Piero della Francesca

Piero di Benedetto de’ Franceschi nasce a Borgo Sansepolcro, l’odierna Sansepolcro, da Benedetto de’ Franceschi, commerciante, e Romana di Perino da Monterchi. Non conosciamo la data esatta, che si colloca in un periodo che sta tra il 1412 e il 1416. Il curioso nome con cui è universalmente noto deriva forse da una singolare fusione tra il matronimico e il patronimico: poiché, spiega Vasari, il padre di Piero morì prima che il bambino nascesse, il piccolo Piero veniva identificato col nome della madre, e poiché Romana era sposata con un membro della famiglia dei Franceschi, lei stessa era nota come “la Francesca” (un po’ come la celebre monna Lisa, ovvero Lisa Gherardini del Giocondo, era nota come “la Gioconda”). Negli anni Venti è a bottega da Antonio di Anghiari, come certifica un documento del 1430, mentre nel 1432 un altro documento attesta la prima committenza di Piero: l’opera però non viene portata a termine. Attorno al 1435 esegue la Madonna col Bambino in collezione privata Alana, la prima opera di Piero che conosciamo. Nel 1438 lascia la bottega di Antonio di Anghiari e si trasferisce ad Arezzo, mentre l’anno dopo Piero è a Firenze dove lavora insieme a Domenico Veneziano nella cappella di Sant’Egidio all’ospedale di Santa Maria Nuova. Nello stesso anno si svolge il Concilio di Firenze con l’incontro tra papa Eugenio IV e l’imperatore d’Oriente Giovanni VIII Paleologo: Piero si ricorderà di questo evento quando realizzerà la Leggenda della Vera Croce.

Nel 1442 l’artista torna a Borgo dove apre la sua bottega, e sempre intorno a quest’anno esegue il celeberrimo Battesimo di Cristo oggi alla National Gallery di Londra. Nel 1445, nella città natale, gli viene commissionato il Polittico della Misericordia. In seguito a lavori molto tribolati l’opera verrà completata solo nel 1462. Attorno allo stesso anno è a Ferrara dove viene chiamato da Borso d’Este per eseguire alcuni lavori. In seguito compie anche un breve soggiorno a Rimini. Due anni dopo viaggia nelle Marche (si trattiene a Loreto, a Urbino e ad Ancona) dopodiché, nel 1450, esegue il San Girolamo, e sempre intorno allo stesso anno scrive il Liber abaci, la sua prima opera come teorico (ne scriverà tre in tutto): è un trattato di calcoli commerciali. Nel 1451 è a Rimini dove dipinge gli affreschi del Tempio Malatestiano, mentre l’anno seguente rappresenta uno degli spartiacque della sua carriera: nel 1452 infatti, ad Arezzo, muore Bicci di Lorenzo, che anni prima era stato incaricato di decorare il coro della chiesa di San Francesco. Gli subentra Piero che in sette anni dipinge uno dei più grandi capolavori della storia dell’arte: la Leggenda della Vera Croce.

Successivamente, nel 1458, Piero della Francesca dipinge la Resurrezione di Sansepolcro, e intorno al 1459 esegue la Maddalena nel Duomo di Arezzo. Dopo aver terminato la Leggenda della Vera Croce, Piero si trasferisce a Roma dove svolge alcuni lavori (perduti) per Pio II. Tuttavia viene raggiunto dalla notizia della scomparsa della madre e torna a Borgo. Non farà più ritorno a Roma. Nel 1464 è di nuovo ad Arezzo, e intorno a quest’anno esegue l’Ercole, l’unica sua opera di soggetto profano che conosciamo. Nel 1468 termina il Polittico di Perugia e l’anno successivo torna ad Urbino, chiamato da Federico di Montefeltro, che gli commissiona alcune delle sue opere più celebri. Verso il 1472 esegue i ritratti dei duchi di Urbino conservati agli Uffizi, mentre nel 1474 termina la Pala Montefeltro attualmente conservata alla Pinacoteca di Brera di Milano. Risale all’incirca al 1478 la Madonna di Senigallia (leggi qui un approfondimento sull’opera). Nel 1479 torna a Borgo San Sepolcro: della sua produzione degli anni seguenti ci rimangono pochi dipinti. È del 1480 circa il suo trattato più famoso, il De prospectiva pingendi, dedicato alla prospettiva, mentre attorno al 1481 esegue la Natività conservata alla National Gallery di Londra. Nel 1482 è a Rimini dove scrive, terminandolo del 1485, il De quinque corporibus regularibus, un trattato sulla geometria euclidea. Degli ultimi anni di attività sappiamo pochissimo: risale al 1487 il testamento, mentre il 12 ottobre del 1492 muore a Borgo Sansepolcro, venendo sepolto nella Badia.

Piero della Francesca, Polittico della Misericordia (1445-1462; olio e tempera su tavola, 273 x 330 cm; Sansepolcro, Museo Civico
Piero della Francesca, Polittico della Misericordia (1445-1462; olio e tempera su tavola, 273 x 330 cm; Sansepolcro, Museo Civico
Piero della Francesca, Battesimo di Cristo (1448-1450; tempera su tavola, 167 x 116 cm; Londra, National Gallery)
Piero della Francesca, Battesimo di Cristo (1448-1450; tempera su tavola, 167 x 116 cm; Londra, National Gallery)
Piero della Francesca, Madonna del Parto (1467; affresco staccato, 260 x 203 cm; Monterchi, Museo della Madonna del Parto)
Piero della Francesca, Madonna del Parto (1467; affresco staccato, 260 x 203 cm; Monterchi, Museo della Madonna del Parto)
Piero della Francesca, Madonna di Senigallia (1470-1480 circa; olio e tempera su tavola, 61 x 53,5 cm; Urbino, Galleria Nazionale delle Marche)
Piero della Francesca, Madonna di Senigallia (1470-1480 circa; olio e tempera su tavola, 61 x 53,5 cm; Urbino, Galleria Nazionale delle Marche)
Piero della Francesca, Polittico di sant'Antonio (1470 circa; tavola, 338 x 230 cm; Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria)
Piero della Francesca, Polittico di sant’Antonio (1470 circa; tavola, 338 x 230 cm; Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria)

Stile e capolavori di Piero della Francesca

Piero della Francesca lavora in pieno clima umanista, con un’arte che risponde alla visione antropocentrica del mondo che si diffonde in Italia nel Quattrocento: gli intellettuali cominciano a scoprire e ad applicare le leggi che regolano la natura (e di conseguenza a scoprirne la bellezza). La matematica diviene dunque scienza fondamentale non solo per lo studio delle leggi naturali, ma anche per l’arte. Piero della Francesca, peraltro, riversa la sua passione per la matematica nei suoi trattati, oltre che nella sua arte. La sua pittura fonde le volumetrie di Masaccio, il rigore prospettico di Paolo Uccello e il colore luminoso di Domenico Veneziano. Purtroppo non ci rimangono opere giovanili di Piero della Francesca: la sua prima opera nota è infatti una Madonna col Bambino, dipinto che è stato ritrovato di recente, ma è di datazione incerta (potrebbe risalire a un periodo compreso tra il 1435 e il 1440). Da questo dipinto, tuttavia, si evincono alcuni tratti peculiari della sua arte: l’impassibilità dei personaggi, l’impianto prospettico rigoroso, il geometrismo che regola tutta la composizione (per altro sul verso di questo dipinto è presente una realizzazione in prospettiva, quasi un esercizio dell’artista).

La prima opera di cui abbiamo documentazione è invece il famoso Polittico della Misericordia: l’incarico risale al 1445. Vediamo le figure principali dipinte sul fondo oro tipico dei polittici medievali, anche se il plasticismo dei corpi dei santi è tipicamente rinascimentale (il fondo oro potrebbe essere stato una concessione nei confronti di una clientela non troppo aggiornata). La Madonna della Misericordia al centro offre la sua protezione ai membri della confraternita, mentre ai lati della figura principale sono raffigurati san Sebastiano, san Giovanni Battista, san Benedetto da Norcia e san Francisco. Ancora, nella cimasa è rappresentata una Crocifissione che costituisce quasi una sorta di tributo alla Crocifissione di Masaccio del Polittico di Pisa che è attualmente conservata al Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli. Anche in questo dipinto notiamo molti caratteri tipici dell’arte di Piero della Francesca: impostazione prospettica attenta, semplificazione geometrica delle figure, colori luminosi.

Di poco successiva è la Leggenda della Vera croce, il ciclo di affreschi che decora la Cappella Bacci nella chiesa di San Francesco ad Arezzo. Si tratta di un’opera dove convivono storia, leggenda e anche attualità. Nel 1439, infatti, si era tenuto il Concilio di Ferrara e di Firenze, che aveva visto la partecipazione di papa Eugenio IV e dell’imperatore d’Oriente, Giovanni Paleologo. Il concilio aveva lo scopo di riavvicinare la chiesa d’Oriente a quella d’occidente contro la minaccia dei Turchi che stavano premendo e di lì a poco avrebbero finito per conquistare Costantinopoli (infatti nel 1453 la città, capitale dell’impero d’Oriente, cade definitivamente). I temi del Concilio del 1439 vengono poi ulteriormente ripresi nel 1459 nel Concilio di Mantova: gli affreschi potrebbero dunque esser letti come una sorta di invito a Giovanni Paleologo a prendere in mano le armi contro i turchi per proteggere uno dei baluardi della cristianità. Il ciclo è infatti costituito da dieci affreschi che narrano la Leggenda della vera Croce, che racconta la storia della croce sulla quale venne crocifisso Gesù (è tratta da Legenda aurea scritta da Jacopo da Varazze, monaco vissuto nel XIII secolo). Le scene sono disposte non in ordine cronologico, ma in ordine tematico. L’ordine cronologico tuttavia vorrebbe che la lettura cominciasse dalla scena con la morte di Adamo, per poi proseguire con l’incontro tra la regina di Saba e re Salomone (la regina, durante il viaggio, si trova davanti a un ponticello realizzato con il legno dell’albero del bene e del male, da cui verrà ricavata la materia con cui sarà realizzata la croce di Cristo). La regina intuisce la sacralità di legno e prima di attraversarlo si inginocchia in adorazione. Si passa poi al terzo episodio, il seppellimento del legno: Salomone infatti intuisce che quel legno sarà causa di disgrazia di sofferenze per il popolo ebraico e decide di farlo sotterrare. Il quarto episodio è l’Annunciazione, dopodiché si arriva poi al quinto che rappresenta anche uno dei primi notturni della storia dell’arte italiana (anche se comunque si svolge alle prime luci dell’alba): è il Sogno di Costantino, durante il quale un angelo arriva da Costantino imperatore alla vigilia della battaglia tra lui e Massenzio e gli annuncia che sotto il segno della croce vincerà la battaglia. Il sesto episodio è proprio quello della battaglia tra Costantino e Massenzio (Costantino è peraltro raffigurato con le fattezze di Giovanni paleologo: occorre anche notare come i soldati siano stati dipinti con vestiti con copricapi dalle fogge orientali, ispirate dai dipinti di Pisanello, che era stato l’unico artista a cui venne permesso di seguire il Concilio di Ferrara e Firenze). Il settimo episodio è quello della tortura degli ebrei nel pozzo: Elena, la madre di Costantino, sapeva che alcuni ebrei erano a conoscenza del luogo in cui era sepolta la croce di Gesù, quindi li fa sottoporre a questo supplizio per farsi rivelare il sito. La croce viene finalmente ritrovata nell’ottavo episodio, mentre nel nono episodio l’imperatore persiano Cosroe ruba la croce e quindi Eraclio, imperatore d’Oriente, parte per recuperarla e sconfigge il re persiano in battaglia.

È uno dei cicli d’affreschi più raffinati del Quattrocento, con saggi di virtuosismo (il luminismo del Sogno di Costantino), azioni intense (le scene di battaglia), gesti eloquenti, schemi rigorosi. Una pittura che avrebbe favorito l’incontro tra Piero della Francesca e la corte dei Montefeltro, dove l’artista avrà modo di portare a compimento alcune delle sue opere più importanti, tra le quali i ritratti dei duchi di Urbino, ovvero di Federico da Montefeltro e della moglie Battista Sforza, che oggi sono conservati a Firenze, agli Uffizi, e la pala Montefeltro conservata invece alla pinacoteca di Brera. La pala Montefeltro è una “sacra conversazione” dove la Madonna assume i connotati della moglie di Federico da Montefeltro (ritratto in ginocchio con le mani giunte, in adorazione), ovvero Battista Sforza, e il Gesù Bambino invece altri non è che Guidobaldo da Montefeltro, figlio della coppia. Il dipinto si distingue per lo studio delle architetture, della luce (notevoli i riflessi sull’armatura di Federico da Montefeltro che lasciano supporre una luce circolare, che rimanda dunque all’uovo che pende sopra i personaggi), e di nuovo per la semplificazione geometrica delle figure, tanto che quest’opera è considerata una sorta di sintesi dell’arte di Piero. L’uovo che è al centro di questa imponente architettura è simbolo dell’Immacolata Concezione, quindi simbolo della Madonna, ed è anche il perno della riflessione teologica di Piero: l’idea di inserire la Madonna col Bambino in una chiesa era infatti di origine fiamminga, e lo scopo era quello di esprimere l’identificazione tra Maria e la Chiesa. L’iconografia tradizionale, tuttavia, prevedeva che la Madonna avesse proporzioni molto grandi, innaturali. Piero della Francesca, inserendo il simbolo dell’uovo, può proporre al committente un’immagine comunque efficace senza tuttavia rinunciare alle proporzioni naturali. La pala Montefeltro, opera complessa, è un punto di snodo fondamentale per l’arte italiana, summa dell’arte di Piero della Francesca, e sarebbe stata poi base per riflessioni di grandi artisti come Giovanni Bellini e Antonello da Messina, entrambi debitori nei confronti della concezione spaziale di Piero della Francesca.

Veduta della Cappella Bacci
Veduta della Cappella Bacci
Piero della Francesca, Incontro tra la regina di Saba e re Salomone (1452-1466; affresco, 336 x 747 cm; Arezzo, San Francesco)
Piero della Francesca, Incontro tra la regina di Saba e re Salomone (1452-1466; affresco, 336 x 747 cm; Arezzo, San Francesco)
Piero della Francesca, Sogno di Costantino (1452-1466; affresco, 329 x 190 cm; Arezzo, San Francesco)
Piero della Francesca, Sogno di Costantino (1452-1466; affresco, 329 x 190 cm; Arezzo, San Francesco)
Piero della Francesca, Battaglia tra Eraclio e Cosroe (1452-1466; affresco, 329 x 747 cm; Arezzo, San Francesco)
Piero della Francesca, Battaglia tra Eraclio e Cosroe (1452-1466; affresco, 329 x 747 cm; Arezzo, San Francesco)
Piero della Francesca, Ritratti dei duchi di Urbino (1473-1475; olio su tavola, 47 x 33 cm ciascuno; Firenze, Uffizi)
Piero della Francesca, Ritratti dei duchi di Urbino (1473-1475; olio su tavola, 47 x 33 cm ciascuno; Firenze, Uffizi)
Piero della Francesca, Pala Montefeltro (1472-1474; olio e tempera su tavola, 248 x 170 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)
Piero della Francesca, Pala Montefeltro (1472-1474; olio e tempera su tavola, 248 x 170 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)

Dove vedere le opere di Piero della Francesca

Sono poche le opere di Piero della Francesca che ci sono rimaste, e tutte sparse per il mondo, anche se la maggior parte si trova in Italia. Il nucleo più consistente di opere dell’artista si trova ad Arezzo e dintorni: si parte dunque dal capoluogo, dove si ammira La leggenda della Vera croce in San Francesco e la Maddalena nel Duomo, e ci si sposta a Sansepolcro per vedere il Polittico della Misericordia, la Resurrezione, il San Giuliano e il San Ludovico di Tolosa al Museo Civico (è il museo con più opere di Piero che ci sia al mondo: nessun altro ne conserva più di tre, se si fa eccezione per le parti dello smembrato Polittico di Sant’Agostino, quattro delle quali alla Frick Collection di New York), quindi a Monterchi per la Madonna del Parto nel museo a lei dedicato nella cittadina. Sempre in Toscana, gli Uffizi di Firenze conservano i Ritratti dei duchi di Urbino. Alla Galleria Nazionale delle Marche di Urbino si trovano la Flagellazione e la Madonna di Senigallia, mentre il Tempio Malatestiano di Rimini conserva il famoso affresco del Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a san Sigismondo. Ancora, a Venezia, le Gallerie dell’Accademia custodiscono il San Girolamo e il donatore Girolamo Amadi, a Perugia si osserva il Polittico di sant’Antonio alla Galleria Nazionale dell’Umbria, mentre la PInacoteca di Brera di Milano conserva la Pala Montefeltro.

All’estero, opere di Piero della Francesca si trovano alla National Gallery di Londra (il Battesimo di Cristo, la Natività e una tavoletta della predella del perduto polittico di Sant’Agostino), alla Gemäldegalerie di Berlino (il San Girolamo penitente), al Louvre (il Ritratto di Sigismondo Pandolfo Malatesta) e all’Isabella Stewart-Gardner Museum di Boston (l’Ercole).


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