La Scuola di Barbizon, i paesaggisti francesi dell’Ottocento. Temi e stili


A Barbizon tra il 1830 e il 1870 si generò una colonia di artisti da cui nacque la Scuola di Barbizon che operò un profondo rinnovamento della pittura di paesaggio.

La Scuola di Barbizon è stata una esperienza pittorica francese a cavallo tra la prima e la seconda metà del XIX secolo, corrente di un più ampio movimento artistico europeo che tendeva all’affermazione del naturalismo nell’arte, e che ha dato un contributo significativo all’affermazione del Realismo ottocentesco francese. 

Si trattò di una libera associazione di artisti che lavorarono nel villaggio di Barbizon, situato appena fuori Parigi, vicino alla Foresta di Fontainebleau tra gli anni Trenta e Settanta dell’Ottocento. I membri della Scuola avevano interessi e stili artistici diversi, ma si concentravano prevalentemente sui paesaggi e sulla pittura all’aperto, con in comune il desiderio di elevare questo genere pittorico, da sfondo di scene classiche a soggetto a sé stante. La campagna e gli alberi secolari della foresta, così come i lavoratori dei campi intorno, esercitarono una forte attrazione di riscoperta delle bellezze naturali lontano dalla città, ispirando diverse generazioni di artisti. 

Jean-Baptiste Camille Corot, Souvenir de Mortefontaine (1864; olio su tela, 65 x 89 cm; Parigi, Louvre)
Jean-Baptiste Camille Corot, Souvenir de Mortefontaine (1864; olio su tela, 65 x 89 cm; Parigi, Louvre)
Jean-Baptiste Camile Corot, Fontainebleau, miniera abbandonata (1850; olio su carta incollata su tela, 29 x 43 cm; L’Aia, De Mesdag Collectie)
Jean-Baptiste Camile Corot, Fontainebleau, miniera abbandonata (1850; olio su carta incollata su tela, 29 x 43 cm; L’Aia, De Mesdag Collectie)

Origini e sviluppo della Scuola di Barbizon

La foresta di Fontainebleau iniziò ad attirare artisti già nel XVIII secolo, inclusi i neoclassicisti Jean-Joseph-Xavier Bidauld, Théodore Caruelle d’Aligny e Alexandre Desgoffe. I pittori furono attratti non solo dal paesaggio selvaggio e vario, ma anche dalle favole e leggende francesi legate alla foresta. Fu, tuttavia, l’arrivo all’inizio del XIX secolo di Jean-Baptiste Camille Corot (Parigi, 1796 – 1875) e di Théodore Rousseau (Parigi, 1812 – Barbizon, 1867), che vi si trasferì definitamente nel 1846, a rendere l’area una calamita per altri artisti. In primis Jean-François Millet (Gréville-Hague, 1814 – Barbizon, 1875)  che andò a vivere a Barbizon con la sua famiglia nel 1849 per sfuggire alle turbolenze politiche e sociali della capitale e che lì vi morì, insieme a Charles-François Daubigny, Jules Dupré, Narcisse-Virgilio Díaz de la Peña, Constant Troyon e Charles Jacque, tra gli altri.

All’inizio degli anni Venti dell’Ottocento, Corot iniziò a disegnare e dipingere paesaggi intorno a Fontainebleau. Sebbene non abbia mai effettivamente vissuto nella zona, vi tornò spesso anche nel 1829 e nel 1830 e fu un influente e attivo sostenitore di altri artisti di Barbizon. All’inizio degli anni Trenta, lo sviluppo del sistema ferroviario da Parigi rese possibile viaggi facili a Barbizon e l’apertura della locanda “Auberge Ganne”, garantì agli artisti un luogo in cui vivere, lavorare e condividere idee e modalità pittoriche.

Dal 1833 Rousseau iniziò a sostare a Barbizon per lunghi periodi, in cui avrebbe esplorato l’ambiente dedicandosi a realizzare degli schizzi e la pittura all’aperto. La sua passione per la foresta e il paesaggio lo resero un leader naturale del gruppo e attirò lì altri artisti, uniti in escursioni pittoriche e influenzati dalla sua pratica e dalle sue motivazioni. Nei decenni successivi, il villaggio di Barbizon e i suoi dintorni divennero una destinazione artistica primaria, in particolare durante i moti del 1848 che fecero fuggire molti artisti parigini verso la campagna apparentemente più sicura. Durante questo periodo sono stati realizzati centinaia di dipinti e fotografie, che ritraggono la zona e la sua vita rurale.

Théodore Rousseau, Le grandi querce di Bas-Bréau (1864; olio su tela, 116,8 x 90,2 cm; Houston, Museum of Fine Arts)
Théodore Rousseau, Le grandi querce di Bas-Bréau (1864; olio su tela, 116,8 x 90,2 cm; Houston, Museum of Fine Arts)
Théodore Rousseau, Palude nelle Landes (1853; olio su tavola, 63 x 97 cm; Parigi, Louvre)
Théodore Rousseau, Palude nelle Landes (1853; olio su tavola, 63 x 97 cm; Parigi, Louvre)
Jules Dupré, Mulino a vento (anni Cinquanta del XIX secolo; olio su tela, 63,5 x 91,5 cm; Cleveland, Cleveland Museum of Art)
Jules Dupré, Mulino a vento (anni Cinquanta del XIX secolo; olio su tela, 63,5 x 91,5 cm; Cleveland, Cleveland Museum of Art)

Temi e stili dei pittori di Barbizon

Nella tradizione neoclassica settecentesca, la pittura di paesaggio era considerata rilevante solo se presentata in uno stile idealizzato e come sfondo di una narrativa storica o classica sostenuta dall’accademia. Agli inizi dell’Ottocento andava diffondendosi l’entusiasmo da parte dei giovani allievi per una resa nuova più realistica, non legata al paesaggio storico, ma alla visione e allo studio dei dettagli, come era stato per i pittori olandesi del XVII secolo. Allo stesso tempo, un certo numero di altri iniziava a disegnare all’aperto nei dintorni di Parigi. 

In reazione alle rappresentazioni stilizzate e idealizzate di figure e paesaggi del neoclassicismo, la maggior parte degli artisti di Barbizon si avvicinarono alla pittura in modo naturalistico, catturando gli scenari che vedevano in modo veritiero, facendo attente osservazioni e dipingendo all’aperto per riprodurre fedelmente i colori e le forme della campagna. Sebbene molte loro opere presentino figure, la maggior parte di queste sono slegate da una narrazione. Si voleva infatti affermare che il paesaggio stesso, reale, costituisse il soggetto principale dell’opera. L’eccezione a questa visione fu Millet che estese i concetti del naturalismo alla forma umana, concentrandosi sui lavoratori nell’area rurale intorno al villaggio, includendo spesso un commento sociale nella sua arte.

Parallelamente nella prima metà dell’Ottocento andavano diffondendosi in Europa, e in Francia, i temi del Romanticismo che sembrano aver influenzato alcuni pittori di Barbizon. In molti paesi, i pittori romantici rivolgevano l’attenzione alla natura e alla pittura all’aperto, in opere basate sull’osservazione ravvicinata del paesaggio, del cielo e dell’atmosfera. Alcuni artisti enfatizzando gli esseri umani come un tutt’uno con la natura, altri rappresentando il potere e l’imprevedibilità di questa sull’uomo, in ogni caso dedicandosi a descrivere la reazione soggettiva, la vita interiore rispetto alla natura circostante. Questa influenza sul gruppo di Barbizon è da rintracciare nel lavoro dell’artista britannico John Constable (East Bergholt, 1776 – Londra, 1837), i cui paesaggi combinavano un trattamento naturalistico, basato su un’attenta osservazione, con una sensibilità romantica. Il lavoro di Constable fu esposto per la prima volta a Parigi nel 1824 e i membri della Scuola di Barbizon trassero ispirazione dalla sua dedizione naturalistica, dalle sue ampie pennellate e dallo stile sciolto in contrasto con le tradizioni del Salon e della pittura accademica. 

I cosiddetti Barbisonniers, pittori di Barbizon, svilupparono la libertà della pennellata di Constable, sperimentando varie tecniche tra cui l’applicazione di più strati di pittura su altra pittura ancora bagnata, e quindi il completamento di una tela in un’unica seduta, e si concentrarono collettivamente sugli effetti della luce solare sulla natura. Molti lavorarono affermando l’uso di pennellate sciolte e di uno stile personale, diversamente dalla tradizionale pittura accademica. Tutti questi artisti, nonostante la loro ispirazione in parte romantica, hanno enfatizzato gli aspetti semplici e ordinari piuttosto che quelli terrificanti e monumentali della natura. Questi esperimenti ebbero un profondo impatto sul lavoro successivo degli impressionisti. A differenza dei loro contemporanei inglesi paesaggisti, ebbero scarso interesse per gli effetti transitori e le variazioni atmosferiche, enfatizzando invece le caratteristiche permanenti, dipingendo forme solide e dettagliate in una gamma limitata di colori. 

Charles-François Daubigny, Lo stagno di Gyliez (1853; olio su tela, 52 x 100 cm; Cincinnati, Cincinnati Art Museum)
Charles-François Daubigny, Lo stagno di Gyliez (1853; olio su tela, 52 x 100 cm; Cincinnati, Cincinnati Art Museum)
Narcisse-Virgilio Díaz de la Peña, La foresta di Fontainebleau (1867; olio su tela, 72 x 92 cm; Bordeaux, Musée des Beaux-Arts)
Narcisse-Virgilio Díaz de la Peña, La foresta di Fontainebleau (1867; olio su tela, 72 x 92 cm; Bordeaux, Musée des Beaux-Arts)
Jean-François Millet, Le spigolatrici (1857; olio su tela, 85,5 x 111 cm; Parigi, Louvre)
Jean-François Millet, Le spigolatrici (1857; olio su tela, 85,5 x 111 cm; Parigi, Louvre)
Jean-François Millet, L'Angelus (1859-1860; olio su tela, 56 x 66 cm; Parigi, Musée d'Orsay)
Jean-François Millet, L’Angelus (1859-1860; olio su tela, 56 x 66 cm; Parigi, Musée d’Orsay)

Ogni pittore di Barbizon aveva il suo stile e interessi specifici. Corot divenne famoso con opere adeguate al gusto ufficiale, ma trovò la sua strada più autentica dipingendo in segreto paesaggi costruiti fermamente per larghe masse di colore, colti dal vero e al tempo stesso interpretati attraverso la propria sensibilità. “Nessuno mi ha insegnato, – scrisse – il mio istinto mi spinge e io gli obbedisco”, rivoluzionando l’atteggiamento tecnico ossequioso dei suoi contemporanei. La rivelazione, che lo ha portato ad essere tra i maggiori paesaggisti francesi dell’Ottocento, gli giunse nei suoi viaggi in Italia nello scoprire la luce mediterranea, e poi continuando a spostarsi in Francia alla ricerca di sempre nuovi soggetti.

Il caposcuola di Barbizon, Rousseau, si concentrò su vedute di vaste distese e di intricati alberi incombenti, unendo il naturalismo oggettivo e la propria soggettività artistica per far emergere una pittura di paesaggio maestosa e misteriosa, ottenuta per lo più con piccole pennellate altamente strutturate. In scene come Le grandi querce di Bas-Bréau (1864), si intuisce come per il pittore, e altri del gruppo, la figura dell’uomo fosse facilmente trascurabile, suggerendo la presenza umana come minore tra gli alberi secolari.

Le scene maggiormente dettagliate e ravvicinate furono quelle prescelte da Dupré, che tendeva a esprimere i movimenti della natura. E mentre Daubigny predilesse il verde lussureggiante e immagini di quieta contemplazione e armonia, Díaz de la Peña dipinse per lo più la scura foresta di Fontainebleau dall’interno, screziata dal sole. Troyon e Jacque si dedicarono soprattutto a placide scene con il bestiame. 

Millet, l’unico grande pittore del gruppo per il quale non era importante l’esclusività del puro paesaggio, realizzò dipinti di contadini a lavoro che celebrano la nobiltà della vita quotidiana e lavorativa nei campi. Piuttosto che rappresentare scene della foresta, Millet fu attratto dalle pianure che si estendono da Barbizon a Chailly, dove osservava gruppi di lavoratori intenti, introducendo a un tema caro al Realismo, la rappresentazione della condizioni sociali degli umili. È iconico il suo dipinto Le spigolatrici (1857). A Barbizon, Rousseau e Millet furono molto amici e svilupparono rispettivamente il proprio stile.

Dopo aver sofferto per qualche tempo di una totale mancanza di riconoscimento, i pittori di Barbizon iniziarono a guadagnare popolarità oltre la metà del secolo. La maggior parte di loro ottenne il riconoscimento ufficiale dall’Académie des Beaux-Arts e grandi premi per alcuni dipinti; ma è a fine Ottocento che la loro Scuola fu particolarmente apprezzata. L’importanza storica del gruppo fu determinante nello stabilire la pittura di paesaggio, pura e oggettiva ma libera da condizionamenti classici, come un genere legittimo e apprezzato.


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