Joanna Piotrowska: quando casa e intimità sono sinonimo di scontri e tensioni


La polacca Joanna Piotrowska, tra i nomi più promettenti della giovane fotografia mondiale, esplora la casa e l'intimità non come approdi sicuri, ma come luoghi di scontri e tensioni. Una breve presentazione dell'artista.

Potremmo individuare in due elementi base i fulcri attorno ai quali ruota la poetica di Joanna Piotrowska (Varsavia, 1985), fotografa polacca di soli trentacinque anni, ma già forte di un’importante esperienza internazionale, che l’ha portata a esporre in diversi dei più prestigiosi contesti mondiali. Questi due elementi sono il corpo umano e la casa (o, più in generale, gli ambienti che l’uomo costruisce per vivere). Joanna Piotrowska indaga le relazioni familiari per connetterle a situazioni più ampie (le strutture politiche, economiche, sociali e culturali che governano il nostro vivere): tutto però parte dallo spazio domestico, il centro della sua ricerca, l’inizio da cui parte la sua delicata e, allo stesso tempo, inquietante esplorazione. Perché non è detto che la casa sia uno spazio sicuro: come si sa, l’ambiente domestico è spesso teatro di forti tensioni, lotte furibonde, ansia, violenza.

Joanna Piotrowska si è fatta conoscere al mondo con la serie Frowst, composta da ambigui ritratti di famiglia che corrono sul filo sottile che, nelle famiglie, divide la felicità dallo scontro. Sono immagini che appaiono perfette, paiono istantanee di momenti felici, ma un filo di larvata e strisciante inquietudine sempre le attraversa. “Ho cercato”, ha scritto Piotrowska a proposito di questa serie, “di osservare quello che accade a una famiglia quando i suoi membri sono insieme, e ho cercato di essere sensibile ai dettagli, che poi ho esagerato in alcuni scatti. Ritengo che molte situazioni della vita abbiano un significato duplice, e credo che lo stesso accada per la vita in famiglia. Mi sono concentrata sui gesti, che possono essere interpretati in modo ambivalente, e si sa che l’ambivalenza è psicologicamente scomoda. Quando non si ha la certezza di quello che si sta guardando, per esempio quando si sente che può esserci qualcosa di spiacevole, violento o incestuoso ma non si riesce a capire bene cosa sia, ci si sente confusi”. Per Joanna Piotrowska, la famiglia non è quella struttura dal valore positivo che molte società le attribuiscono: la vita in famiglia può essere anche fonte di dolore.

Da tutti gli scatti di Frowst emerge questa costante tensione. Ad esempio, nel numero XXXI, un esemplare del quale è stato acquistato dal MoMA di New York, vediamo una coppia, seduta su di un letto, un uomo e una donna che si guardano. Non vediamo però i loro sguardi: l’uomo è girato di schiena, e con la sua testa copre il volto della donna. Non abbiamo dunque idea di quello che stia accadendo, non possiamo sapere se la conversazione sia lieta e distesa o se sta per consumarsi qualcosa di grave. La stessa sensazione scomoda è quella che proviamo guardando lo scatto XV, con una donna che sta mettendo le mani attorno al collo di una ragazza e non capiamo cosa stia facendo.

Joanna Piotrowska, Frowst XV (2013-2014; stampa alla gelatina d'argento, 129,1 x 159,1 cm; New York, MoMA)
Joanna Piotrowska, Frowst XV (2013-2014; stampa alla gelatina d’argento, 129,1 x 159,1 cm; New York, MoMA)


Joanna Piotrowska, Frowst XXXI (2013-2014; stampa alla gelatina d'argento, 129,1 x 159,1 cm; Arts Council Collection)
Joanna Piotrowska, Frowst XXXI (2013-2014; stampa alla gelatina d’argento, 129,1 x 159,1 cm; Arts Council Collection)


Joanna Piotrowska, Untitled (2015; stampa alla gelatina d'argento, 27,2 x 21,6 cm)
Joanna Piotrowska, Untitled (2015; stampa alla gelatina d’argento, 27,2 x 21,6 cm)

L’artista polacca, che vive e lavora a Londra, ha studiato al Royal College of Art della capitale inglese, e qui nella primavera del 2019 ha tenuto una delle sue mostre più importanti: alla Tate Britain ha presentato All our false devices, un’installazione di fotografie in bianco e nero (che rappresenta il linguaggio tipico della fotografa), scattate tra il 2016 e il 2017 a persone di quattro diverse città (Lisbona, Rio de Janeiro, Varsavia e Londra) a cui è stato chiesto di creare un rifugio nella propria abitazione, un po’ come si faceva da bambini, disponendo un telo tra due sedie. Un lavoro che, in Italia, è stato presentato all’edizione 2017 di Artissima, tra i plausi della critica, a lei che, proprio alla fiera torinese, nel 2016 aveva vinto il Premio Reda, destinato al miglior fotografo under 35: “il lavoro di Joanna Piotrowska”, si leggeva nella motivazione della giuria, “si pone nella tradizione della fotografia (le sue stampe sono analogiche, le sue riprese fedeli a ciò che si vede nelle opere finali) offrendo una inedita combinazione tra rappresentazione della realtà e messa in scena. In ogni caso, il soggetto principale delle sue immagini è invisibile, risiedendo nella tensione che si forma tra i diversi individui e i vari elementi che rientrano nelle sue inquadrature. Realtà e finzione, visibile e invisibile: la ricerca di Piotrowska procede per opposizione, mette sempre in discussione ogni certezza, rifugge il comfort di qualsiasi livello di sicurezza, lasciando lo spettatore (come i soggetti) in uno stato di costante sospensione. Anche la scienza (antropologia, psicologia, fisiologia…), che rientra tra gli strumenti privilegiati del suo processo produttivo, non fornisce alcun sollievo”.

È un po’ quello che accade anche nella serie dei rifugi (che inizialmente non aveva titolo, poi nel 2017 è stata pubblicata in un volume chiamato Frantic): l’idea è che spesso le case siano tutt’altro che accoglienti e che l’equilibrio familiare sia tutt’altro che fragile (il rifugio improvvisato non richiama solo i giochi dei bambini, ma anche la dimensione dei senza tetto, o quella di chi deve fuggire da una violenza, tanto che spesso le espressioni dei soggetti raffigurati sono tutt’altro che gioiose). E le quattro città in tre continenti sono state scelte proprio in funzione del fatto che in ognuna di essere c’è una diversa percezione della sicurezza personale. Ma non solo: il rifugio diventa una specie di proiezione dell’individuo, dal momento che il modo in cui è realizzato può essere interpretato come un’evidenza del carattere della persona.

Joanna Piotrowska, Untitled (2017; stampa alla gelatina d’argento, 120 x 95 cm)
Joanna Piotrowska, Untitled, dalla serie dei rifugi (2017; stampa alla gelatina d’argento, 120 x 95 cm)


Joanna Piotrowska, Untitled (2017; stampa alla gelatina d’argento, 120 x 95 cm)
Joanna Piotrowska, Untitled, dalla serie dei rifugi (2017; stampa alla gelatina d’argento, 120 x 95 cm)


Joanna Piotrowska, Untitled (2017; stampa alla gelatina d’argento, 120 x 95 cm)
Joanna Piotrowska, Untitled, dalla serie dei rifugi (2017; stampa alla gelatina d’argento, 120 x 95 cm)


Joanna Piotrowska, Untitled, dalla serie s.w.a.r.l. (2015)
Joanna Piotrowska, Untitled, dalla serie s.w.a.r.l. (2015)

Ma il tema della violenza domestica emerge con forza anche da un’altra serie, s.w.a.l.k., dove vediamo solo braccia e mani: mani maschili che stringono mani femminili, oppure che bloccano braccia, o ancora che s’incontrano e s’intrecciano, anche qui senza che si sappia realmente cosa stia accadendo e se il gesto a cui assistiamo rappresenti violenza, conforto, competizione, gioco o altro. Un lavoro sul corpo che affonda le sue radici nella performance art e che mette in luce le contraddizioni dell’essere umano, dei suoi valori e delle sue strutture, con fotografie che catturano proprio in virtù della loro capacità di mettere a disagio l’osservatore.

Le ultime ricerche di Joanna Piotrowska hanno preso a esplorare altri temi ma sempre collegati ai filoni principali della sua attività (per esempio la serie Enclosure del 2018-2019 ritrae gabbie vuote di animali allo zoo: l’identificazione tra gabbia e casa risulta piuttosto evidente), e sempre con la fotografia in bianco e nero come modalità espressiva preferita. Le sue opere sono state esposte in diversi contesti prestigiosi (per esempio alla Biennale di Coimbra in Portogallo, alla Tate e alla Kunsthalle di Berna nel 2019, alla Fondazione Prada nel 2016, alla Hayward Gallery di Londra nel 2014, giusto per citarne alcuni e senza nominare le fiere), e si trovano già in collezioni importanti: per esempio, quella del MoMA di New York e quella della Tate Britain. Un’artista dal sicuro potenziale, che con le sue foto riesce a spiazzare il pubblico, e che sicuramente avrà ancora di che sorprendere.


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