Nel 2026 il cuore pulsante dell’arte contemporanea europea batterà nella regione della Ruhr, in Germania. La sedicesima edizione di Manifesta, la biennale nomade nata nel 1996 a Rotterdam come piattaforma di scambio culturale e artistico oltre le frontiere, si insedierà infatti in questo territorio segnato da profonde trasformazioni economiche e sociali. Le città di Essen, Bochum, Duisburg e Gelsenkirchen diventeranno i poli di un percorso che attraverserà chiese dismesse, edifici simbolo di un’epoca e oggi spazi vuoti da ripensare. Sono state presentate quest’oggi le sedi espositive e il team curatoriale che daranno vita alla manifestazione.
La Manifesta 16 Ruhr punta a trasformare le sedi in laboratori di arte e comunità, affrontando il tema cruciale della rigenerazione urbana: la mostra si svolgerà dunque presso la Liebfrauenkirche di Duisburg, la chiesa di Santa Gertrude, la Kunstraum Heilig Geist (“Spazio artistico dello Spirito Santo”) e la chiesa di San Marco a Essen, le chiese di San Bonifacio, San Tommaso, Sant’Anna e San Giuseppe a Gelsenkirchen, e le chiese del Getsemani, del Cristo Re, di San Ludgero e Sant’Anna a Bochum. Il progetto prende forma da una lunga fase di ricerca preliminare, che ha indagato il potenziale delle chiese abbandonate come nuovi centri di socialità e creatività. Alla guida c’è l’architetto spagnolo Josep Bohigas (1967), nominato “Urban Creative Mediator”, che ha elaborato la visione urbana intitolata This is not a church. Attraverso consultazioni con cittadini e residenti, Bohigas e il suo team hanno sondato i bisogni delle comunità locali, individuando nella riattivazione di questi edifici un’occasione per restituire senso e coesione a quartieri segnati dalla perdita di identità e dalla frammentazione sociale.
Le indagini hanno confermato come, nel contesto globale, le strategie di rinnovamento urbano si orientino sempre più verso la prossimità: accorciare le distanze tra luoghi di vita quotidiana e servizi essenziali, restituendo centralità agli spazi condivisi. Nella regione della Ruhr la situazione ha radici storiche particolari. Nel Novecento, per rispondere alle esigenze delle grandi industrie minerarie e siderurgiche, furono create nuove aree abitative a bassa densità. Questa espansione portò alla nascita di una metropoli policentrica, composta da quartieri incompleti o isolati. Con il declino dell’industria pesante e la transizione socioeconomica del XXI secolo, molte di quelle comunità hanno perso coesione, lasciando un’eredità di spazi disfunzionali e di disagio urbano.
La Biennale ha deciso di affrontare questa sfida a partire dal coinvolgimento diretto dei cittadini. I sondaggi e le assemblee pubbliche organizzati in tutta la regione hanno messo in evidenza l’urgenza di recuperare i luoghi del culto ormai dismessi come centri civici e culturali. La coincidenza con le elezioni comunali in Nord Reno-Westfalia, svoltesi il 14 settembre, ha rafforzato questa percezione: molte comunità hanno espresso apertamente insoddisfazione per l’inefficienza degli spazi pubblici e il senso di estraneità rispetto al territorio urbano. Manifesta 16 Ruhr propone quindi di utilizzare le pratiche artistiche come strumento per affrontare le problematiche ambientali, sociali ed economiche della regione.
Il team curatoriale di Manifesta, i “Creative Mediators” come sono stati ribattezzati i suoi membri, riflette un modello intergenerazionale e collaborativo. Oltre a Bohigas, il gruppo include lo storico dell’arte tedesco Gürsoy Doğtaş (1972), nominato Creative Mediator per i programmi pubblici, e tre figure di grande esperienza nel panorama curatoriale europeo: René Block (1942), Henry Meyric Hughes (1942) e Anda Rottenberg (1944). Ognuno di loro lavorerà in tandem con un curatore più giovane, in un dialogo che attraversa generazioni e tradizioni.
A Bochum sarà la storica curatrice polacca Anda Rottenberg a guidare il progetto insieme a Krzysztof Kosciuczuk (1983), curatore anch’egli polacco attivo tra Varsavia e la Svizzera. A Essen il veterano René Block, protagonista della scena Fluxus e direttore di numerose istituzioni tra Germania e Scandinavia, collaborerà con la berlinese Leonie Herweg (1997), giovane curatrice impegnata in pratiche partecipative e nella valorizzazione dei saperi locali. A Duisburg sarà invece l’inglese Henry Meyric Hughes, già direttore della Hayward Gallery e figura chiave della storia della Manifesta, a proporre un percorso espositivo che esplorerà gli ultimi trent’anni della storia europea, dalle speranze del post-Guerra fredda alla crisi attuale segnata da populismi e conflitti. Con lui lavorerà il curatore e critico Michael Kurtz (1998), tra le voci emergenti della critica britannica. A Gelsenkirchen il Teatro Musicale della Ruhr ospiterà ulteriori progetti connessi a questo programma, ampliando la dimensione interdisciplinare della manifestazione.
La scelta di intrecciare figure affermate e nuove generazioni risponde alla volontà della direttrice Hedwig Fijen di valorizzare il capitale di conoscenze accumulato dalla Biennale in trent’anni di attività, proiettandolo verso il futuro. Il 2026 segnerà infatti il trentesimo anniversario di Manifesta, nata a Rotterdam nel 1996 in un momento di ottimismo europeo, quando il crollo del Muro di Berlino e la prospettiva di una maggiore integrazione continentale alimentavano la fiducia in una piattaforma di scambio artistico tra Est e Ovest.
Il progetto assume anche un significato simbolico dal punto di vista geopolitico: la collaborazione tra personalità di Germania, Polonia e Regno Unito, tre nazioni cruciali nei nuovi equilibri del continente, sottolinea l’impegno di Manifesta a mantenere viva l’idea di solidarietà culturale transnazionale. La scelta di operare in spazi religiosi dismessi, luoghi di memoria collettiva e allo stesso tempo di abbandono, diventa così una metafora del tentativo di ricucire le fratture storiche e sociali del territorio, restituendo centralità al rapporto tra comunità, arte e spazio urbano.
Il percorso di Manifesta 16 Ruhr promette dunque di essere un viaggio inedito tra architettura sacra e arte contemporanea, ma soprattutto un esperimento di ricostruzione simbolica e reale di un tessuto sociale lacerato. In un tempo in cui l’Europa appare segnata da divisioni e incertezze, Manifesta sceglie il linguaggio dell’arte per proporre scenari di resilienza e nuove forme di comunità, trasformando le assenze del passato in possibilità per il futuro.
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