Scorrendo Instagram o Tik Tok, si nota una tendenza ormai dilagante: quella di voler semplificare, di rendere tutto più facile, anche lo studio: sono molti infatti i content creator che si sono votati alla semplificazione di materie scolastiche, anche complesse, attraverso brevi video o reel che pubblicano con una certa frequenza sui loro profili social. Accade con la grammatica e la letteratura italiana, con la storia, con la geografia, con la fisica. Il caso più famoso e mediatico è Vincenzo Schettini, il professore di fisica che attraverso il suo progetto La fisica che ci piace, nato come canale Youtube e poi allargato a tutte le altre piattaforme, spiega i complessi concetti della materia, con l’idea, esplicitamente dichiarata, di “trasformare la fisica da pura lezione a vero e proprio intrattenimento”. Un’altra insegnante, Alessia Giandomenico, intervistata su Skytg24, aveva dichiarato: “Porto su Tik Tok e Instagram mini-lezioni di storia e geografia. Serve ai ragazzi per aiutarli nello studio ma anche agli adulti che hanno voglia di ripassare”. Non solo storia e geografia, perché sul suo Studio Facile con Ale si parla soprattutto di grammatica e letteratura italiana.
La fascia di età a cui loro si rivolgono, ma probabilmente lo stesso si potrebbe dire per buona parte dei content creator, presumo sia quella tra i 14 e i 18 anni, i giovani che frequentano la scuola secondaria di secondo grado per intenderci, o comunque gli under 20. Riflettendo su questa tendenza, ci si potrebbe chiedere perché ultimamente vi sia questa necessità di rendere tutto semplice, come se ogni cosa dovesse essere ottenuta senza troppo impegno. Una tendenza, a mio parere, abbastanza preoccupante, specialmente se ha a che fare con lo studio, che dovrebbe formare e non semplificare.
Anche l’arte è stata toccata da questa tendenza: sono molti i content creator che la spiegano su Instagram e Tik Tok con reel e brevi video (la cui durata raramente supera il minuto), mossi probabilmente dalla volontà di aiutare gli studenti a comprenderla meglio e ad avvicinare all’arte e alla storia dell’arte anche chi non studia la materia a scuola, tanto che non di rado ci s’imbatte in articoli che suggeriscono, per esempio, gli “account TikTok per imparare la storia dell’arte”. Non tutte le scuole di secondo grado infatti prevedono l’insegnamento della storia dell’arte (e qui si potrebbe aprire un capitolo su quanto la storia dell’arte sia considerata nel sistema scolastico italiano – evidentemente come una materia inferiore rispetto alla letteratura italiana o alla matematica – e sulle ragioni che hanno condotto alla decisione di inserirla come materia solo in determinate scuole), perciò non tutti gli studenti di quella fascia di età hanno l’opportunità di confrontarsi con quella disciplina. Invece, per quel che riguarda gli studenti che hanno la storia dell’arte tra le materie scolastiche, ci si potrebbe allora domandare se non si parta dal presupposto che i docenti non siano in grado di insegnarla bene o di stimolare nei loro allievi un interesse che vada al di là del voto in pagella.
Ma l’arte può davvero essere spiegata in modo semplice? A mio parere no: si può certamente spiegare la storia dell’arte in modo comprensibile, senza fare voli pindarici, limitando espressioni contorte o un linguaggio troppo tecnico o i riferimenti a testi critici e aumentando invece gli esempi per spiegare concetti che potrebbero risultare altrimenti troppo astratti e, ovviamente, laddove possibile, integrare la teoria con la visione diretta dell’opera. Visitare i musei e vedere le opere dal vivo per poter cogliere il modo in cui un pittore ha steso il colore sulla sua tela o tavola, i giochi di chiaroscuri, l’uso della luce, la finitezza del tratto, per potersi rendere meglio conto del materiale con cui uno scultore ha realizzato la sua opera, per potersi confrontare con le dimensioni e la resa di un’installazione è fondamentale per chiunque si avvicini o sia già avvezzo al mondo dell’arte. Spiegare l’arte in modo comprensibile e accessibile a tutti non vuol dire farla diventare semplice, riducendola a banalizzazioni, ad aneddoti, a un “mi piace” o “non mi piace”, perché altrimenti il rischio è di farle perdere la sua straordinaria profondità.
La storia dell’arte non è una materia semplice e non va considerata come tale: non può essere pensata come un insieme di compartimenti stagni; è piuttosto una lunga concatenazione di eventi, cause ed effetti. Ogni artista dialoga con chi lo ha preceduto e, a sua volta, influenza chi verrà dopo. I movimenti nascono spesso in risposta ad altri, oppure come reazione a trasformazioni politiche, sociali o culturali. L’arte è quindi un grande filo intrecciato, che collega epoche, luoghi e persone in una rete di rimandi. Si intreccia al contesto storico e culturale: un’opera non è mai isolata, ma è figlia del suo tempo, delle idee, delle tensioni e delle innovazioni di una società. Porta con sé una pluralità di significati e di livelli di lettura che possono convivere all’interno di un’unica opera. Esiste poi una ricca varietà di linguaggi e ognuna di queste forme espressive ha le proprie regole, i propri strumenti e i propri codici visivi. Per spiegare un’opera, un artista, un movimento artistico è necessario innanzitutto contestualizzare, per far capire a che periodo ci stiamo riferendo sia dal punto di vista storico che dal punto di vista culturale; al contesto poi, a seconda del grado di approfondimento, si aggiungono vari aspetti come l’iconografia, la tecnica, le vicende biografiche e tutto ciò che può essere utile a far comprendere efficacemente l’argomento che stiamo trattando. Spesso nei suoi soggetti un’opera d’arte chiama in gioco la letteratura, la mitologia, gli episodi biblici, la musica, e allora diventa necessario chiarire quel riferimento; e ancora, l’arte di un artista è talvolta influenzata dalla sua vita, e diventa dunque necessario far comprendere le vicende personali e psicologiche di quell’artista (da considerare che raccontare un singolo episodio della sua vita è estremamente limitativo se si vuole dare un’idea del suo vissuto). Lo stesso vale per un movimento artistico, che può nascere come rifiuto al movimento artistico precedente o ad una determinata ideologia, e diventa necessario far comprendere quel passaggio e cambiamento. È una materia dunque che per essere spiegata richiede inevitabilmente tempo, che non può essere liquidata in poche parole; va da sé che i tempi di uno scroll sul cellulare non possono essere materialmente efficaci per spiegarla. Un reel o un video di meno di un minuto sui social può essere uno spunto (qui un articolo con alcuni esempi positivi) per poi andare ad approfondire altrove o al massimo una prima porta d’accesso, un primo contatto con la materia.
Inoltre, siamo proprio sicuri che per spiegare l’arte ai giovani sia necessario commentare con aggettivi sensazionalistici, accompagnare la spiegazione con espressioni facciali di stupore o contrarietà, utilizzare citazioni buttate là senza aggiungere nient’altro, lanciare aneddoti ed episodi isolati senza dire nulla di più? Credo che tutta questa semplificazione sia preoccupante: quando si parla di giovani tutto deve essere più leggero, più divertente, più facile, più accessibile senza troppi sforzi. Siccome la soglia di attenzione si è drasticamente abbassata, si ritiene che sia utile accorciare i tempi, semplificare al massimo i contenuti senza richiedere troppa fatica. Ma è davvero questa la strada giusta? Se ci si limita a ridurre tutto a contenuti veloci e subito accessibili, il rischio è quello di abbassare sempre di più l’asticella e di rendere i giovani incapaci di riflettere, di ragionare, di approfondire per andare oltre la superficie le cose, di sviluppare un pensiero critico. Si può, invece, spiegare con chiarezza senza banalizzare. Si può incuriosire senza eccessi di semplificazioni.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.
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