Come stanno gestendo, a Bristol, la statua abbattuta di Edward Colston?


È in corso a Bristol il processo contro i quattro giovani che hanno abbattuto la statua dello schiavista Edward Colston nel 2020. Un processo unico che apre nuovi scenari e pone diversi interrogativi, primo fra tutti quello sulla gestione del patrimonio controverso.

Il 13 dicembre 2021, davanti alla Crown Court di Bristol, ha preso il via un processo anomalo per il Regno Unito ma anche per tutta l’Europa occidentale contemporanea: quattro persone sono state giudicate in quanto accusate di aver abbattuto e danneggiato “senza giustificazione a livello legale” una statua di proprietà pubblica. La statua è quella di Edward Colston, e l’evento ha avuto luogo, lo ricorderete, nell’harbourside (il porto) di Bristol il 7 giugno del 2020. Le immagini delle azioni della folla che festante abbatteva, vandalizzava e poi buttava nel fiume la statua del commerciante di schiavi e benefattore (ricordato però dall’effige solo nella seconda veste) avevano fatto il giro del mondo, suscitando clamore, condanne e paura. Paura in buona parte legata al timore che il dibattito statunitense sulle statue (che lì hanno un uso politico molto più esplicito che in Europa) stesse per sfociare nel vecchio continente con folle urlanti che avrebbero abbattuto ogni statua che rappresentasse uomini macchiatisi di crimini. 

Non è andata così: nel momento in cui scriviamo, la statua di Edward Colston è stata l’unica statua abbattuta dalla folla nell’Europa occidentale tra 2020 e 2021, e, di fatto, anche nei decenni precedenti. Un evento unico, dovuto a condizioni uniche (anche nel resto del Regno Unito la figura di Colston era ben poco conosciuta), legate alla storia e al tessuto cittadino, e che ora con il processo ai già rinominati “Colston 4” vedrà la conclusione della parte giudiziaria. Tutte le altre parti di questa storia, invece, sono appena all’inizio. Una città si trova (in colpevole ritardo, ma con impegno considerevole) a gestire l’eredità materiale e immateriale della schiavitù e di un uomo che, con le sue ricchezze, l’ha in parte, direttamente e indirettamente, forgiata. Edward Colston (1636 - 1721), infatti, con la sua attività di commerci con il Nuovo Mondo, che includeva anche il commercio di schiavi (divenne “deputy governor” della Royal African Company, equivalente di un amministratore delegato odierno, nel 1689), accumulò una fortuna, e questa fortuna venne riversata nel Regno Unito e in particolare sulla città di Bristol, dove costruì scuole e ospedali per determinate fette della popolazione e, grazie soprattutto al fatto che la società di commercianti da lui presieduta (la Society of Merchants Venturers) continuò ad essere florida e potente in città nei secoli a seguire, anche dopo l’abolizione della schiavitù, ottenne il beneficio di essere ricordato come filantropo. Oggi, Bristol sta affrontando una sfida unica in Europa: gestire le conseguenze dell’abbattimento sulla pubblica piazza di una statua. Come lo sta facendo?

L’abbattimento del monumento a Edward Colston: il momento in cui la statua di bronzo viene gettata nelle acque del porto di Bristol
L’abbattimento del monumento a Edward Colston: il momento in cui la statua di bronzo viene gettata nelle acque del porto di Bristol

Il nome

Da qualche decennio questa problematica eredità veniva discussa in città, e petizioni si susseguivano, ma portando a una serie di immobilismi, simboleggiati dalla statua che continuava a stagliare sulla piazza principale. Il 9 giugno 2020, contestualizzando l’accaduto su Jacobin Italia, spiegavo che Edward Colston a Bristol “è ovunque: pub, edifici pubblici, scuole, vie, e anche il più alto palazzo dell’intera città, costruito nel 1973, portano il suo nome”. Una situazione derivata soprattutto dall’azione della Society of Merchants Venturers che alla fine del XIX secolo fece di Colston il suo campione, finanziando la statua dell’Harbourside (“la città di Bristol al suo più saggio e virtuoso figlio” recitava l’epigrafe) e ottenendo la dedica di diverse vie e strade al “filantropo”: dediche poi replicate acriticamente in nuovi edifici costruiti nel corso del XX secolo. Si trattava di una presenza realmente invasiva fino ad essere opprimente (fatto curioso, uno dei quattro accusati dell’abbattimento abitava in Colston Road, una delle tre strade dedicate al mercante), con una ventina tra strade, pub, teatri, palazzi, scuole dedicati. Il dibattito trentennale creatosi intorno alla sua figura e eredità aveva portato a un enorme nulla di fatto: solo nel 2018, quando Colston Hall, la sala di concerti pubblica, aveva infine deciso di cambiare nome, c’era stata una protesta degli utenti che avevano minacciato di boicottare il teatro, bloccando il processo. 

Col senno del poi, sembrava quasi che tutti, istituzioni, stakeholders, imprenditori, stessero aspettando che la statua cadesse per risvegliarsi dal loro torpore. Nei primissimi giorni seguenti la caduta, gli edifici principali (Colston Hall e Colston Tower) annunciavano un cambio di intitolazione, letteralmente rimuovendo la scritta “Colston” in attesa del nuovo nome, che oggi è rispettivamente Bristol Beacon e Beacon Tower. Così facevano anche le scuole private della Society of Merchant Venturers. Il comune creava una commissione (“We Are Bristol History”) col compito di affrontare il problema del passato schiavistico della città. L’Università annunciava nuovi corsi. Oggi, delle decine di dediche a Colston che esistevano fino all’estate del 2020, ne rimangono poche, e tutte in via di revisione: in molti casi, si propone di utilizzare il nome che era in uso prima del XIX secolo. Una lista completa delle dediche cambiate o in discussione qui. Inutile aggiungere che la revisione di tutti queste intitolazioni sta portando, più o meno consciamente, a dibattere e conoscere la storia di quei luoghi e di quegli spazi.

La statua di Colston, opera di John Cassidy, prima dell'abbattimento, nel 2019. Foto di Simon Cobb
La statua di Colston, opera di John Cassidy, prima dell’abbattimento, nel 2019. Foto di Simon Cobb
La base della statua
La base della statua
La Colston Tower, oggi Beacon Tower. Foto di Colin Park
La Colston Tower, oggi Beacon Tower. Foto di Colin Park

La statua

Non si deve pensare quindi che sia in corso una rimozione della storia insieme al nome, anzi, e non solo perché la tomba del commerciante (morto nel 1721, 174 anni prima che fosse innalzata la statua in piazza) è al suo posto nella chiesa di Ognissanti (All Saints’ Church) dove fu collocata allora. La città ha intrapreso una musealizzazione e valorizzazione non solo dell’accaduto, ma anche di ciò che l’ha reso possibile: dal 7 giugno 2021 la statua, ripescata pochi giorni dopo l’abbattimento nel fiume in cui era stata gettata, monitorata e restaurata, è esposta al museo civico, M Shed, ma con una scelta coraggiosa, che non nasconde quanto successo. La statua si mostra al pubblico distesa, portando con sé i segni degli eventi del 7 giugno 2020. Ad accompagnarla, una mostra documentale dal titolo “What’s Next” (“Cosa c’è dopo”) che racconta la storia del mercante e della statua dal XVII secolo a oggi, e che raccoglie voci e opinioni su ciò che rappresentava e rappresenta per la città. Un modo anche per stimolare la riflessione sul futuro, come chiarisce il titolo: la commissione “We Are Bristol History” sta infatti cercando di raccogliere più opinioni possibili su quello che deve essere il futuro del rinominato “Colston Plinth”, il plinto su cui stagliava la statua del mercante, e che da ormai un anno è bersaglio di proposte, dibattiti e performance artistiche (la più nota delle quali ha eretto sul plinto la statua di una attivista di Black Lives Matter, rimossa dopo 24 ore). 

Non è una situazione facile, né per i tecnici, né tantomeno per un’amministrazione comunale, che per forza di cose non può avallare quello che a tutti gli effetti è un reato: la statua di Colston non solo era un bene pubblico, con 120 anni di storia, ma per Historic England era bene culturale di assoluto rilievo (grado II su un massimo di tre). Marvin Rees, il sindaco che si è trovato a gestire questa sfida storica, e che è anche il primo sindaco nero eletto in Europa, alla BBC nel giugno 2021 la spiegava  così: “c’è qualcosa di terribile nell’avere la statua di un mercante di schiavi nel centro della tua città, e al contempo ci sono persone che sentono di perdere un pezzo di sé stessi con l’abbattimento di quella statua, entrambe le cose sono vere allo stesso modo” e poi, con un ossimoro capace di sintetizzare la complessità della situazione, aggiungeva, a specifica domanda, che “come pubblico ufficiale e sindaco non posso ignorare l’azione criminale [...] ma, per il grande disegno della storia, che la statua se ne sia andata è la cosa giusta”. 

La sensazione è che la città, o meglio la parte maggioritaria della città, abbia condiviso quella visione, come si sentisse sollevata dal fatto che, seppur non nella maniera sperata dai più, quella statua (e le varie intitolazioni) alla fine se ne siano andate: in sintesi, avrebbero preferito che finisse in un museo, ma ora, dopo quegli eventi, è divenuta storia cittadina e per questo non può essere dimenticata. A testimonianza di ciò i sondaggi condotti localmente, che indicano come solo il 20% delle persone ritengano che la statua dovesse rimanere lì, mentre il 19% condanna i modi anche se ritiene che la statua dovesse essere ricollocata. Gli attivisti a cui era stata inflitta una multa per i danni alla statua l’hanno pagata senza difficoltà con fondi raccolti dalla comunità.  

Musealizzazione della statua di Colston dopo l'abbattimento
Musealizzazione della statua di Colston dopo l’abbattimento
Musealizzazione della statua di Colston dopo l'abbattimento
Musealizzazione della statua di Colston dopo l’abbattimento
Musealizzazione della statua di Colston dopo l'abbattimento
Musealizzazione della statua di Colston dopo l’abbattimento
Musealizzazione della statua di Colston dopo l'abbattimento
Musealizzazione della statua di Colston dopo l’abbattimento

Il processo

In questo clima contraddittorio, teso ma allo stesso tempo di entusiasmo collettivo, ha preso il via il 13 dicembre il processo che ha visto come imputati Rhian Graham, 30 anni, Milo Ponsford, 26 anni, Sage Willoughby, 22 anni e Jake Skuse, 33 anni. Sono stati identificati dai video come coloro che hanno gettato le corde intorno alla statua (nel caso dei primi tre) e l’hanno fatta rotolare verso il fiume nel quarto caso. Il contesto lasciava prevedere un processo unico e anomalo, e se ne è avuto conferma subito: quando in aula è stato trasmesso il video del reato di cui i quattro erano accusati, al momento della caduta della statua è partito un applauso. In breve, si è configurato come un processo alla storia della città di Bristol, e di come abbia potuto permettere che quella statua non venisse rimossa per tutti questi decenni: al termine del primo giorno, l’avvocato dell’accusa ha dovuto ricordare all’aula che il processo “non riguarda Edward Colston, che pur è un personaggio divisivo”, ma l’abbattimento della statua nel giugno 2020. Non è andata così: sono state elencate le petizioni ignorate dall’amministrazione cittadina, il processo che ha portato all’erezione della statua, il disagio provato da una parte per nulla marginale della cittadinanza. Gli imputati, pur negando il reato, dicendo di non aver agito da soli ma per via di un’azione collettiva, hanno più volte ripetuto di ritenere che fosse “giusto” che la statua fosse rimossa (nel momento in cui scriviamo non ha ancora avuto luogo la difesa di Jake Skuse). Graham ha definito l’esistenza della statua una “aberrante offesa alla gente di Bristol”. Ponsford ha detto che era “un pezzo che la statua avrebbe dovuto cadere”. Willoughby ha definito un “crimine d’odio” in una città zeppa di discendenti di persone schiavizzate, lasciare in piedi una simile statua, spiegando che in una situazione di conflitto, che in questo caso è un conflitto causato da ingiustizia sociale e discriminazioni, era necessario che qualcosa venisse fatto. Graham ha ribadito che “dopo 100 anni di dissenso, qualcuno avrebbe dovuto prestare ascolto” e spiegando le ragioni della sua azione, descritta come avvenuta in un clima di condivisione collettiva, ha spiegato che se i canali ufficiali non avevano funzionato per cent’anni, era difficile pensare che avrebbero funzionato ora, dato il grande peso che la Society of Merchants Venturers continua ad avere in città. 

La difesa non ha chiamato a testimoniare chi potesse negare i fatti e le accuse (i tre avevano portato con sé una corda) ma discendenti di schiavi residenti a Bristol, cittadini che raccontassero cosa rappresentava per loro la statua, e un professore universitario, storico e divulgatore David Olusoga, massimo esperto di tratta degli schiavi. Di fronte alla corte Olusoga non solo ha raccontato le condizioni e i numeri degli schiavi coinvolti nella tratta del XVII e XVIII secolo, ma anche i legami della statua con la stessa: la Society of Merchant Venturers, che nel 1895 ha finanziato la statua, nel 1834 aveva ricevuto come gli altri proprietari di schiavi milionarie compensazioni per l’abolizione della schiavitù: un rimborso che la Corona ha terminato di pagare nel 2015. “I migranti caraibici che sono arrivati massivamente nel Regno Unito per lavorare tra gli anni 40 e 70 del Novecento” ha notato il professore “con le loro tasse hanno contribuito a finire pagare i rimborsi ai discendenti di chi aveva schiavizzato i loro antenati”. 

Seguendo un processo simile, ci si chiede cosa accadrebbe se ogni statua rilevante che si trova nelle nostre città fosse posta sotto una lente di ingrandimento simile, e cosa sarebbe accaduto se ciò fosse accaduto pubblicamente a Bristol prima del 7 giugno 2020. La sentenza del processo è attesa nelle prossime ore, ma potrebbe slittare a gennaio. 

La base della statua dopo l'abbattimento
La base della statua dopo l’abbattimento
La statua all'attivista BLM innalzata per 24 ore
La statua all’attivista BLM innalzata per 24 ore

Il futuro

Ciò non significa che tutto sia andato o possa andare bene. Se un quarto degli abitanti ritiene che la statua dovrebbe tornare al proprio posto, ciò non può che alimentare un conflitto latente. Nonostante le più che peculiari condizioni cittadine spieghino l’accaduto, dal punto di vista giudiziario il processo, comunque vada, farà scuola, con riverberi anche fuori dalla città. Il rischio è quello di creare emulazioni nel caso di una pena molto bassa o, al contrario, di radicalizzare gli animi nel caso di una pena alta (come la prassi precedente prevederebbe). Le proposte sul “sostituto” di Colston in quella piazza per ora latitano, la commissione ha deciso di non parlarne fino alla prossima primavera, dopo aver tenuto una serie di incontri pubblici. E in ogni caso ogni genere di sostituzione non potrà che essere divisiva. Gli atti vandalici contro il patrimonio cittadino (intesi come azioni condotte senza rivendicazioni con l’intento di dissacrare) non sono mancati.

Il governo britannico, sulla scia degli eventi di Bristol, ha intrapreso una via di ulteriore criminalizzazione dei danni al patrimonio materiale, e ha complicato le vie legali per la rimozione o ricollocazione di statue. Con tante altre statue in discussione in giro per il Regno (la più famosa delle quali è quella di Cecil Rhodes a Oxford) la via d’uscita è lungi dall’essere tracciata. In questo senso, la sentenza del processo ai “Colston 4” potrebbe aiutare a trovare una via, o potrebbe rinfocolare un dibattito sopito ma certo non concluso. Erigere una statua non è mai stato un processo democratico e gestirne la sostituzione difficilmente potrà esserlo fino in fondo. “Moltissime persone erano veramente convinte che Edward Colston fosse stato il più virtuoso figlio della città di Bristol, dunque non puoi criticarli per il fatto che siano offesi dal fatto che la statua sia stata rimossa. Perché questo era ciò che diceva [l’epigrafe], questo è ciò che gli è stato insegnato” dice il poeta e attivista Lawrance Hoo al Bristol Post nel primo anniversario della caduta. Il professor Tim Cole, all’insediamento della commissione comunale il 25 settembre 2020, spiegava che la rimozione era “soltanto un punto di partenza, ma non il focus principale” della loro attività. L’evento, aggiungeva “suggerisce che è tempo per la città di guardarsi indietro, prendersi un lungo periodo di riflessione e fare i conti con la propria storia”. Facile a dirsi, molto meno a farsi. Il loro lavoro, dichiaravano, sarebbe durato anni. E non si ha ancora idea delle conclusioni a cui arriveranno, o meno. 

La città di Bristol, oltre ad aver spaventato l’Europa, ha mostrato cosa non fare: dibattere per trent’anni su un monumento senza produrre nulla di concreto. Vedremo se riuscirà a mostrare anche cosa fare, cioè se riuscirà a creare un esempio di come gestire bene un conflitto sociale che investe appieno anche la storia della città, i suoi monumenti e il suo tessuto urbano. Per ora, ci sta quantomeno provando. 


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Leonardo Bison

L'autore di questo articolo: Leonardo Bison

Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.



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