“Con la riforma dell’esportazione non avremo più il controllo”. Intervista ad Anna Stanzani


Riforma dell'esportazione dei beni culturali: abbiamo sentito una voce contraria, quella di Anna Stanzani, direttrice dell'Ufficio Esportazioni di Bologna.

Mercoledì vi abbiamo proposto la prima intervista sulla riforma dell’esportazione dei beni culturali. Quella che segue è la seconda, che dà voce a una personalità contraria alla nuova normativa: è Anna Stanzani, storica dell’arte, tra i più esperti e autorevoli funzionari del Ministero dei Beni Culturali, già direttrice della Pinacoteca di Ferrara, del Museo dell’età neoclassica di Faenza e oggi direttrice dell’Ufficio Esportazioni della Soprintendenza di Bologna. Intervista a cura di Federico Diamanti Giannini.

FDG. Si dice che gli uffici esportazione delle Soprintendenze siano gli ultimi baluardi della tutela del nostro patrimonio artistico... spieghiamo al pubblico cosa intendiamo con questo assunto.
AS. L’attività degli Uffici esportazioni viene considerata di “preminente interesse nazionale” (articolo 64 bis) nel Codice dei Beni Culturali, perché tali uffici consentono la circolazione controllata delle opere, dunque non bloccano il mercato e lo scambio ma cercano di impedire che opere importanti per il patrimonio culturale (o opere rubate o illecitamente tolte da contesti) escano dall’Italia. Benché siano in gioco interessi economici, legittimi, nei riguardi della circolazione delle opere, ritengo necessario per l’interesse pubblico continuare a garantire questa funzione di osservatorio e di controllo da esplicarsi sostanzialmente secondo i parametri attuali grazie ai quali il mercato in uscita emerge, consentendo così non solo l’opposizione all’uscita, ma anche un incremento del patrimonio culturale nazionale e un arricchimento delle pubbliche raccolte: questo in virtù dell’applicazione dell’istituto dell’acquisto coattivo all’esportazione che negli ultimi anni, mi pare, si è intensificato producendo buoni risultati con l’acquisizione di opere importanti. Dunque la normativa non prevede solo dinieghi all’uscita, ma anche acquisti di opere presentate all’esportazione, e non solo di opere antiche, ma anche appartenenti alla ricerca artistica italiana del dopoguerra. Il buon andamento di questo osservatorio e di questo controllo si lega alla funzionalità degli uffici. La recente riforma del Ministero è stata realizzata non tenendo conto del numero degli storici dell’arte in servizio e dei pensionamenti. E sono gli storici dell’arte in particolare a occuparsi di circolazione delle opere mobili. Nella Soprintendenza ove io opero, che è il frutto dell’unione, a seguito della riforma, di quattro Soprintendenze nelle quali subito prima della riforma stessa operavano una quindicina di storici dell’arte, ora sono in servizio solo due storici dell’arte con compiti di tutela sul territorio e di responsabilità dell’Ufficio esportazioni. Per fortuna sono presenti quattro storici dell’arte ALES (che hanno tuttavia una funzionalità limitata dal loro contratto) il cui mandato scade a luglio. Non sappiamo come fare se il loro incarico non sarà rinnovato. Visto che la circolazione si è esponenzialmente intensificata, per mostre e per commercio, il controllo è una attività difficile e concitata, oltre che complessa. In questa situazione di carenza di personale (anche amministrativo) comporre le commissioni tecniche per valutare le opere è già impresa ardua perché mancano gli storici dell’arte, anche se tutti quelli (ormai pochi) presenti negli altri uffici ministeriali periferici della regione sono tenuti a farne parte.

Com’è noto, la riforma dell’esportazione introdurrà una soglia di 13.500 euro, al di sotto della quale il cittadino che intenderà far circolare l’opera dovrà semplicemente presentare un’autocertificazione che ne attesti il valore. Tuttavia, i 13.500 euro sono una stima del valore di mercato del bene, ma il valore di mercato potrebbe anche essere diverso dal valore storico e culturale, ovvero quest’ultimo potrebbe essere di gran lunga superiore al valore materiale dell’oggetto...
Senz’altro. Alle commissioni tecniche vengono presentati anche disegni, dipinti, sculture, manufatti di varia natura con valore di mercato basso ma che possono essere di grande rilevanza storica o documentaria e nell’attuale sistema possono essere acquistati per integrare o arricchire le collezioni di un museo a cui manca quel piccolo ma importante tassello per meglio definire la propria identità anche nel confronti del territorio di cui il museo in Italia è quasi sempre espressione. L’anno scorso, per esempio, lo Stato ha acquistato per il Museo nazionale dell’età neoclassica di Faenza quattro piccole opere di Felice Giani di ottima qualità e conservazione per un valore complessivo di 20.000 euro, estremamente importanti in sé perché documentavano un complesso decorativo che non esiste più e importanti anche per il museo al quale sono state destinate che ha sede nel capolavoro stesso di Giani, Palazzo Milzetti. Insomma è una possibilità di “ricucire la storia e colmare le lacune”. Con la nuova normativa il valore sotto-soglia che consente di non presentare agli uffici preposti le opere di basso valore commerciale, verrebbe stabilito dal possessore in base a criteri di mercato estremamente aleatori. Mi sembra dunque che questi mutamenti legislativi siano a vantaggio di stakeholder privati, commercianti, case d’asta e non dei portatori dell’interesse pubblico.

Disegni di Felice Giani
Felice Giani, Storie di Cerere (1812; a sinistra i disegni a penna conservati al Cooper Hewitt Smithsonian Design Museum di New York, a destra le tempere su carta del Museo Nazionale dell’Età neoclassica di Faenza). Le piccole tempere su carta sono preparatorie per la decorazione della volta del Teatro di Cerere a Imola eseguita da Felice Giani nel 1812 e andata perduta nel successivo rifacimento del teatro. Di questa impresa decorativa rimangano anche i disegni a inchiostro acquerellato conservati al Cooper Hewitt. Furono acquistati dalle ricche sorelle statunitensi Sarah e Eleanor Hewitt all’inizio del Novecento. Il museo americano conserva più di mille disegni di Giani la maggior parte provenienti dalla raccolta del collezionista Giovanni Piancastelli.

La riforma nasce infatti per agevolare il mercato dell’arte in Italia e, come sappiamo, l’articolo 68 del ddl, quello che di fatto “contiene” la riforma, scaturisce da una discussione che ha visto la partecipazione del gruppo “Apollo 2”, formato dagli operatori del settore, e dello Stato. C’è però da dire che inizialmente le richieste degli operatori erano molto più alte, in linea con quelle di paesi come Francia e Regno Unito dove le soglie minime superano abbondantemente i 100.000 euro. Lo Stato non è forse riuscito a trovare una buona mediazione tra le richieste degli operatori di settore e l’interesse pubblico?
La normativa europea, intanto, afferma che ogni Stato è libero di regolamentarsi all’interno del proprio paese, facendo salvi alcuni principi comunitari. Credo che le nuove regole stravolgano quello che era il principio italiano nei confronti del patrimonio, ribadito anche dall’articolo 68 bis del Codice e cioè “con riferimento al regime della circolazione internazionale, i beni costituenti il patrimonio culturale non sono assimilabili a merci”: per cui, in un bene culturale di importante interesse, il valore d’interesse pubblico è predominante sull’interesse privato e sull’interesse commerciale. Questo è lo spirito della nostra legislazione di tutela, che mi sembra venga mutato con le nuove norme che, bisogna sottolinearlo, non coinvolgono solo il capitolo dell’esportazione ma hanno una ricaduta generale su tutta la tutela del patrimonio come prevista dal Codice, innalzando a settanta anni dall’esecuzione l’età grazie alla quale i beni culturali possono essere tutelati. Certo, gli altri paesi hanno altre soglie, ma non vuol dire che ciò sia un bene per l’Italia, notoriamente paese che esporta beni verso l’esterno. Perché noi ci dobbiamo adeguare ai paese importatori? I settant’anni dall’esecuzione e la soglia dei 13.500 euro consentiranno l’uscita senza controllo di molte opere d’arte. Già, mi sembra, si assiste a un ritiro dalla presentazione alla commissione esportazione delle opere, per esempio, di Morandi: probabilmente proprietari e commercianti ritengono che a breve la legge sarà approvata e che le opere del pittore potranno uscire senza essere sottoposte all’esame delle commissioni. È lecito aspettarsi l’uscita di molta produzione artistica sviluppatasi dalla fine degli anni Quaranta alla fine degli anni Sessanta perché non rientrerà più nei confini temporali di esecuzione, cinquant’anni, ora previsti dalla legge. Bisogna, d’altra parte, contestare l’opinione che gli uffici esportazione siano uffici catafratti, chiusi e ostili alla circolazione e al mercato, che a mio parere non è il nemico ma una forza in campo importante per far emergere le opere. Come gli stessi dati ufficiali dimostrano, tanti beni escono dai confini nazionali e si cerca di fermare solo ciò la cui uscita comporterebbe un grave depauperamento del patrimonio italiano ed è un compito senza dubbio delicato, difficile, scivoloso, soprattutto arduo per il poco tempo a disposizione, nelle attuali condizioni di assenza di personale e di mezzi. Non esiste la formula matematica che stabilisca che l’uscita di un’opera rappresenti un grave depauperamento. E certamente abbiamo troppo poco tempo e troppe poche forze per poter ricostruire in profondità il contesto di tutte le opere che ci vengono presentate. Come noto, il giudizio storico-critico ha margini di soggettività, per questo deve essere emesso da una commissione e sottoposto a controllo da parte del Ministero. Per un buon lavoro occorre mettere in atto lo studio dell’opera, dell’identità, dell’origine, della storia anche attraverso uno scambio di pareri a livello nazionale tra gli storici dell’arte. Infatti le commissioni si trovano a giudicare opere provenienti da tutta Italia, di autori ed ambiti artistici disparati che richiedono particolari e approfondite competenze. In ogni caso sono molti, molti di più gli attestati di libera circolazione che i dinieghi. Con questa nuova proposta normativa non avremo più il controllo, perché beni (valutati meno di 13.500 euro o con meno di settant’anni) potranno uscire senza che l’Ufficio esportazioni possa visionarli e ciò potrà avere anche un risvolto negativo per quanto riguarda i trafugamenti: le opere in uscita non saranno più controllate grazie alle ricerche di Carabinieri del Nucleo Tutela nella Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti, prevista dall’art. 85 del Codice dei beni culturali e che contiene informazioni descrittive e fotografiche relative ai beni culturali da ricercare.

A proposito di uscita, e anche di soglie temporali: i contrari alla riforma temono che potrebbe verificarsi un’uscita incontrollata di opere prodotte tra il 1947 e il 1967, ma i favorevoli dicono che molti degli artisti di cui si teme l’uscita, come Fontana, Morandi e altri, realizzarono opere pensate proprio per il mercato e che quindi dovrebbero circolare liberamente...
Certo, tutti gli artisti hanno realizzato e realizzano per la vendita, per la diffusione della loro arte. Ma non mi sembra che questo sia un criterio oggettivo per valutare l’uscita di un bene di oltre cinquant’anni e di autore non vivente. Due criteri che consentono una giusta prospettiva storica.

La riforma nasce per aiutare il mercato dell’arte italiano. Nella petizione di Italia Nostra però leggiamo che in realtà la riforma avvantaggerebbe il mercato internazionale a scapito di quello italiano. Che cosa significa secondo lei?
Significa che si consente l’uscita, ripeto, senza controllo, di una notevole quantità di opere verso i mercati esteri importatori, verso l’Europa o anche verso altri mercati e data l’importanza delle opere prodotte in Italia credo che venga agevolato soprattutto il mercato internazionale piuttosto che quello interno.

Abbiamo accennato al fatto che gli organici delle Soprintendenze, e quindi anche degli uffici esportazioni, sono ridotti ai minimi termini e la situazione attuale, con assunzioni quasi ferme e con l’ultimo concorso del Ministero che non è sufficiente neppure a coprire il turnover, di certo non ci lascia con buone aspettative. Si poteva dunque trovare una soluzione in questo senso, in modo da garantire alle Soprintendenze di lavorare in maniera ottimale, con organici pieni ed efficienti, senza quindi cambiare le regole? Oppure potevano essere introdotte altre misure per mettere d’accordo le esigenze del mercato con quelle della tutela, evitando una riforma come l’attuale?
Senza dubbio aumentare il personale è fondamentale per garantire un lavoro ben fatto sia dal punto di vista scientifico, sia dal punto di vista amministrativo, perché è chiaro che quando si ha un servizio pubblico che di per sé, nelle sue linee e nei suoi principi, potrebbe funzionare, ma non si dispone delle risorse umane, si finisce col non farlo funzionare e si crea scontento. Dal disservizio nascono le polemiche e attraverso di esse è possibile modificare qualsiasi principio, perché tutto poi viene messo in altre mani che lamentano perdite di tempo (si è parlato di mesi di tempo per oggetti di scarsa importanza) e di guadagni a causa dei tempi che si allungano per le certificazioni. Piacerebbe molto, anche a noi, non occuparci di “carabattole”. Di fatto, il servizio è stato depotenziato soprattutto con i pensionamenti non rimpiazzati e con l’ingresso, in nessun modo regolato, degli storici dell’arte presso i Poli museali, per le direzioni dei musei. La tutela del patrimonio mobile diffuso sul territorio è ridotta ai minimi termini poiché nelle Soprintendenze non c’è personale sufficiente a seguire restauri, notificazioni, spostamenti, circolazione. E della catalogazione del patrimonio non si parla più. Buona parte del lavoro è un affannato tentativo di controllare la circolazione delle opere. Nell’ambito di quest’ultima un capitolo molto consistente è la movimentazione per le mostre: ormai capolavori di ogni tipo, che dovrebbero stare tranquilli nelle loro sedi, rimbalzano da un capo all’altro del mondo, alla faccia delle raccomandazioni che sostengono che bisogna evitare viaggi frequenti e ravvicinati nel tempo e che alla base dei prestiti debba esserci un serio progetto scientifico di esposizione. Le Soprintendenze, e in esse gli Uffici esportazioni, faticano a seguire la circolazione temporanea per mostre a volte di interi blocchi di opere e il loro spostamento su più sedi con procedure abbastanza complesse. Dunque, un potenziamento degli organici delle Soprintendenze, in particolare nei ranghi degli storici dell’arte, sarebbe fondamentale per dare efficacia ed efficienza, diminuire i tempi di attesa e soprattutto per garantire un buon lavoro scientifico e tecnico di controllo. Poi senza dubbio occorre rivedere anche qualche limite temporale per certe categorie di beni. Se si aumentasse il personale e si rivedessero i parametri per certe categorie di beni come quelli librari il servizio sarebbe migliore e più veloce. Accenno ai beni librari che sono sottoposti a controllo se hanno più di cinquant’anni, infatti la riforma del Ministero ha affidato agli Uffici esportazione anche il controllo su questi beni, prima di competenza delle Soprintendenze Archivistiche e Bibliografiche regionali, ed è un forte carico di lavoro. Credo che qualcosa si possa modificare nella normativa, anche agevolando l’acquisto alla esportazione, introducendo la possibilità che non solo lo Stato ma anche altri enti pubblici o fondazioni possano acquistare e magari inserendo la possibilità di sottoscrizioni come avviene in altri paesi. Bisognerebbe mettersi attorno a un tavolo, non solo antiquari e i commercianti ma anche funzionari storici dell’arte. Mi pare, invece, che i tecnici dell’amministrazione, purtroppo, non vengano interpellati.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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