Perché l'Italia fa così fatica a risolvere i problemi del turismo? Parla Roberto Guiggiani


Perché l’Italia fa una fatica enorme a risolvere i problemi del turismo? E cosa dovrebbe fare per risolverli? Da chi dovrebbe copiare? Ne parliamo col manager turistico Roberto Guiggiani in questa intervista con Federico Giannini.

Il libro Bellezza Italia. Manuale d’uso per il turismo che vogliamo (Primamedia Editore, 172 pagine, 16 euro), si configura come un dialogo tra un operatore turistico e un operatore culturale, ovvero Roberto Guiggiani (docente di Mercati e Tendenze del turismo all’Università di Pisa, già direttore dell’agenzia per il turismo di Pisa) e Gianluca De Felice (segretario dell’Opera della Primaziale Pisana), con prefazione di Federico Giannini. Scopo del libro è analizzare, attraverso l’approfondimento di temi come il marketing, la valorizzazione del patrimonio, la gestione dell’overtourism e delle destinazioni, le sfide che il turismo culturale deve affrontare. Un settore economico importante per il nostro paese, che genera occupazione e ricchezze, ma che provoca anche problemi e contrasti, soprattutto se si pensa che il dialogo tra turismo e cultura spesso non è stato dei più facili, anzi. Il libro nasce proprio per cercare di capire come queste due anime possano incontrarsi per una gestione corretta e creativa del patrimonio culturale. Federico Giannini ha intervistato i due autori: pubblichiamo oggi l’intervista a Roberto Guiggiani.

Roberto Guiggiani
Roberto Guiggiani

FG. In che modo un museo o una mostra dovrebbero tenere conto delle necessità dei turisti?

RG. Un museo o una mostra dovrebbe tenere conto delle esigenze dei turisti e dei visitatori in generale già prima di aprire le porte, nel momento in cui va a disegnare il percorso storico, artistico e museografico da offrire poi ai visitatori. Il dialogo contenuto in questo libro parte proprio da questo presupposto: se operatori della cultura e operatori del turismo si parlassero prima, sarebbe possibile migliorare assolutamente la qualità dell’esperienza e della visita, sorprendendo anche i visitatori andando loro incontro e prevedendo in anticipo quelli che potrebbero essere gli elementi di interesse da parte dei singoli profili di turisti che si vogliono attrarre.

In che cosa le esigenze dei turisti differiscono rispetto alle necessità di chi non è un turista?

Questa è una bella domanda. Le esigenze dei turisti che visitano un museo o una mostra rispetto a chi turista non è differiscono essenzialmente per la brevità del tempo a disposizione, rispetto magari ai residenti che possono avere maggiori ore a disposizione e possono ritornare. Però la frettolosità non deve essere vista in maniera negativa. Bisogna riuscire a costruire un messaggio, una narrazione che possa essere di interesse anche per chi magari conosce meno quel museo, conosce meno quell’artista, conosce meno quella corrente di pensiero. Ecco, questo sarebbe proprio uno di quegli elementi su cui una collaborazione fra operatori della cultura e operatori del turismo darebbe i frutti migliori. I migliori esempi di visite veloci per i turisti, ma non frettolose né superficiali, sono senz’altro quelle che vengono fatte con le guide turistiche all’interno di una mostra o di un museo. Ad esempio, a Palazzo Blu a Pisa ho visitato molto spesso le mostre che organizzano ogni inverno e ho trovato molto spesso delle visite guidate che sapevano concentrarsi sugli highlights, sulle opere più importanti, rimanendo sostanzialmente nei 50-60 minuti di visita senza togliere nulla alla qualità e alla profondità della visita.

Come si potrebbe quindi immaginare un esempio di buona collaborazione tra operatori turistici e operatori culturali per venire incontro a questa esigenza di brevità della visita da parte del turista?

Nel libro citiamo l’esempio della Cappella degli Scrovegni a Padova, che presenta naturalmente anche modalità di visita che potrebbero essere replicate e mutuate anche per opere d’arte che non si trovino in situazioni che ne mettono a repentaglio la stessa esistenza. Ma potrebbero essere citate anche altre realtà, come, appunto, Palazzo Blu a Pisa, come forma di museo e di mostre molto particolare ma coerente.

Nel libro, Lei dice che spesso non conta la centralità o la facilità di accesso a un bene ma la sua importanza, e cita la Cappella degli Scrovegni, oppure la sua capacità di fare brand, menzionando il castello di Agliè quando c’era stata la famosa fiction Rai che ha portato migliaia di turisti al castello. Come si fa allora a costruire brand attorno a un monumento o a un museo che diventi capace di trasformarsi in destinazione turistica importante?

La capacità di fare brand attorno a un monumento, a un museo, a qualcosa di attraente da un punto di vista culturale si costruisce con una capacità di comunicazione che non sia superficiale, astratta o valida per tutti, ma che sia inerente, legata strettamente alla storia, alla narrazione e alla qualità di quel museo o di quel bene culturale. Negli anni, Palazzo Strozzi a Firenze, che ha un programma sia di mostre sia di attività fuori mostra in varie parti della Toscana, rappresenta un modo per affermarsi appunto come brand e avere una capacità di attrazione che in quel caso riguarda sia i turisti, ma anche i residenti di Firenze e i residenti della Toscana in chiave di attrattività turistica.

Quanto è importante la continuità nella programmazione culturale anche in chiave di attrattività turistica?

La continuità è un elemento fondamentale non solo per il turismo culturale e non solo per musei e istituzioni culturali, ma per qualsiasi elemento che voglia essere presente sul mercato turistico. La continuità di presenza, la coerenza del messaggio negli anni, una comunicazione che non si interrompe mai 365 giorni all’anno è un elemento fondamentale di successo sul mercato turistico. E parlo di turismo culturale come di turismo enogastronomico, come di turismo sportivo o di qualsiasi altra motivazione di viaggio. Comunicazione costante, permanente, coerenza nel messaggio e non soltanto nell’immagine, nei loghi, nei colori, quanto piuttosto nelle cose che si fanno. Ogni attività deve avere un legame con l’attività precedente, deve avere un senso che dia appunto un’immagine costante, fissa, attraente, perché il messaggio ha bisogno di tempo, di anni per potersi affermare a livello internazionale.

Cosa significa nel concreto valorizzare la cultura dal punto di vista dell’operatore turistico? E come si differenzia la valorizzazione per l’operatore turistico (se si differenzia, naturalmente) rispetto a quella dell’operatore culturale?

La valorizzazione culturale in campo turistico passa dai servizi di accoglienza, dalla qualità dei servizi di accoglienza, dalla voglia di farsi visitare, quindi di essere chiari, sintetici, efficaci. Fin dal momento in cui mi affaccio sul sito internet ufficiale, al momento in cui arrivo alla biglietteria, alla capacità di accogliere persone che hanno disabilità permanenti e temporanee in modo da garantire una piena fruibilità della visita. Questo è l’elemento centrale. Cosa è diverso rispetto alla valorizzazione invece più strettamente culturale? Beh, sono due cose decisamente diverse. La valorizzazione culturale è la creazione di percorsi e di storie, di narrazioni che, nel pieno rispetto della conservazione delle opere, ci possano raccontare quello che un’istituzione museale, un monumento vuole in qualche modo raccontare del proprio patrimonio. Si basa essenzialmente sulla conservazione delle opere e su un’esposizione che sia corretta e non esponga a nessun rischio. La valorizzazione invece da un punto di vista turistico sta nella fruibilità, in una fruibilità che nel libro diciamo debba essere rispettosa, corretta, ma anche creativa nella capacità di intercettare l’interesse di un pubblico che può non essere necessariamente un turista culturale nel senso pieno della parola.

Turisti alla Fontana di Trevi. Foto: Wikimedia Commons/Giorgio89
Turisti alla Fontana di Trevi. Foto: Wikimedia Commons/Giorgio89

Intercettare l’interesse del turista significa sostanzialmente anche fare promozione, e nel libro Lei dice una cosa molto interessante, ovvero che la Francia è il paese con più turisti perché è quello che fa meglio la promozione turistica. In che cosa la Francia si differenzia rispetto all’Italia e come fa a fare meglio di tutti la promozione turistica?

La Francia è considerata da noi del settore il modello (e potremmo aggiungerci anche la Spagna) di una promozione turistica che negli anni ha avuto successo perché è sempre stata gestita fuori da ogni condizionamento politico: è una gestione tecnica. Hanno ovviamente modificato e aggiornato le modalità di promozione, ma sono stati più bravi nel saper valorizzare di volta in volta le varie località: Parigi, la Costa Azzurra, Lione, i Castelli della Loira, la Normandia. Hanno saputo per ciascuna di queste destinazioni creare dei messaggi che raggiungessero profili specifici di turisti, sapendo magari anche rinnovare negli anni la capacità di attrazione e la capacità di offerta, seguendo bene le tendenze nuove o innovative del mercato turistico. In questo senso ne traggono i risultati: sono i più bravi. Noi spesso diciamo che sono bravi, fin troppo bravi a vendere il loro Paese, ma in realtà non è che sono troppo bravi: è che negli anni hanno saputo conciliare la competenza tecnica con la coerenza del messaggio e con la conoscenza dei mercati consolidati, quelli europei, e nuovi, ad esempio i paesi asiatici, e nell’individuazione di messaggi profilati per singoli segmenti di turismo, che è la chiave su cui oggi ci dobbiamo tutti misurare.

Nel libro si parla del rapporto tra politica e turismo. Politica vuol dire anche capacità di risolvere problemi, e in Italia i problemi del turismo sono tanti, per esempio il sovraffollamento di certe località. Secondo Lei quali sono i principali problemi e come si potrebbero risolvere?

In Italia la promozione turistica è essenzialmente politica: lo è a livello nazionale con l’Agenzia nazionale, che adesso si chiama ENIT, lo è a livello regionale. Il turismo è una materia che la Costituzione italiana affida alle Regioni, ognuna delle quali ha un’agenzia di promozione. Alcune lavorano meglio, alcune lavorano peggio, ma c’è sempre una prevalenza politica sulla tecnica di turismo, sulla comunicazione di quelle che sono le cose che veramente interessano. Il primo punto debole è il fatto che spesso la comunicazione cambia di anno in anno o di amministrazione in amministrazione, e questo naturalmente toglie grandissima forza al messaggio promozionale. In secondo luogo si inseguono delle cose che sono utili da un punto di vista politico. Vorrei citare un caso recente: il turismo delle radici, che è molto valido da un punto di vista elettorale parlando agli italo-discendenti (60-80 milioni, ma non si sa bene quanti siano), e perché naturalmente in qualche modo concentra l’attenzione sui luoghi da cui queste persone provengono, senza che però sia stata fatta un’analisi vera, reale di chi potrebbero essere i turisti delle radici, di quali potrebbero essere le loro motivazioni, i loro desideri di viaggio. È una moda che magari fra un anno o due anni passa e si abbandona il lavoro fatto inseguendo un’altra chimera politica. Il turismo in Italia ha problemi? Sì, ce ne sono, anche se forse non sono quelli che vengono affrontati quotidianamente sui giornali, sulle televisioni, sui siti internet. Il sovraffollamento, il cosiddetto overtourism, è un problema? Sì, certamente lo è a Venezia, lo è in certe parti di Roma, lo è in certe parti di Firenze, non lo è per tantissime altre destinazioni che ci sono nel nostro paese. In realtà il problema vero del turismo è essenzialmente la mancanza di un sistema di accoglienza che passa dalle informazioni, che passa dalla fruibilità delle città, che passa dalla bigliettazione dei musei come di altri soggetti. Il problema vero è la mancanza di un’organizzazione e anche di una gestione dei flussi laddove questi effettivamente diventino troppo numerosi perché troppo concentrati in alcune zone. Io però ho scritto nel libro e ho ribadito spesso in interventi, interviste e così via che l’overtourism viene combattuto soltanto a parole. In realtà a sindaci e assessori l’overtourism piace perché porta tanti soldi a una città, perché fa lavorare tante attività economiche e di conseguenza se ne parla male perché questo può portare voti, può portare consenso elettorale, ma non ho visto ancora un intervento che fosse realmente orientato a una gestione dei flussi e a una ridistribuzione dei flussi, a una gestione delle città che vada oltre il turismo e affronti tutti i temi della residenzialità, della mobilità, del tessuto commerciale e così via. Poco o nulla invece è stato fatto per quanto riguarda la creazione di servizi di accoglienza o di ampliamento degli attrattori turistici al fine di ridurre il sovraffollamento. Proprio recentemente c’è stata al BTO a Firenze una serie di incontri con Destination Management Organisation (DMO) europee e anche italiane che hanno affrontato questo problema: Barcellona, Valencia, Copenaghen, Monaco e il Trentino-Alto Adige. Tutti pongono l’accento sullo stesso punto: non è possibile ridurre i flussi turistici in maniera significativa, non si può impedire alle persone di andare in queste città.

Allora che cosa possiamo imparare in termini di organizzazione da chi magari sta lavorando meglio di noi?

Bisogna trovare il modo di sanare i punti di crisi. Primo: con la partecipazione, coinvolgendo i residenti, coinvolgendoli nelle soluzioni, cercando di ridurre l’ostilità, trovando delle soluzioni condivise da parte di tutti. Secondo: ampliando lo spazio, la superficie su cui i turisti si muovono. Se sono tutti concentrati su una piazza, se sono tutti concentrati in un museo, bisogna riuscire a creare attrattori a 200 metri, 500 metri, un chilometro, due chilometri, affinché questi flussi si possano allargare. E questo naturalmente richiede degli investimenti, e degli investimenti notevoli. Nessuno ha la bacchetta magica, nessuno ha una soluzione valida per tutti. Ogni realtà deve in qualche modo adeguarsi alle proprie dimensioni, ai propri flussi turistici, alle proprie caratteristiche. Indubbiamente i flussi di mobilità sono un elemento essenziale: quanti pullman arrivano, quante crociere arrivano, quali itinerari, quali percorsi fanno all’interno di una città? Perché molto spesso sono questi fenomeni di turismo di gruppo che determinano il sovraffollamento in determinate ore della giornata. Dove riusciamo a indirizzarli non tutti sulla stessa cosa ma invece su attrattori diversi, in maniera tale che anche parti della città attualmente marginali possano godere dei flussi turistici che hanno anche una valenza economica positiva. L’altro elemento comune a queste DMO che stanno cercando di gestire i flussi turistici nelle città è utilizzare i soldi dei turisti per ridurre i costi dei residenti, abbattere l’ostilità dei residenti dicendo: sì, è vero, questi turisti magari danno fastidio, ma con i loro soldi non ti facciamo pagare l’accesso o il permesso alla ZTL, non ti facciamo pagare la tassa dei rifiuti, ti facciamo entrare gratis nei musei cittadini, in maniera tale che i vantaggi economici vadano a toccare non solo gli operatori del settore, ma tutti i residenti. Ci sono pratiche da copiare? No, io sono contrario a copiare. Sono favorevolissimo a mutuare esperienze positive e adattarle alla propria città.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Al suo attivo anche docenze in materia di giornalismo culturale (presso Università di Genova e Ordine dei Giornalisti), inoltre partecipa regolarmente come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).




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