La Fondazione e Museo Nivola (Orani - Nuoro) presenta Behind the Seen, mostra personale dell’artista Mona Hatoum, frutto di una residenza svolta a Orani, durante la quale Hatoum ha esplorato il territorio sardo e approfondito il contatto con le culture locali e le pratiche artigianali dell’isola. La mostra, curata da Giuliana Altea, Antonella Camarda e Luca Cheri, sarà aperta dal 4 ottobre 2025 al 2 marzo 2026, con inaugurazione prevista alle 18 del 4 ottobre.
Behind the Seen propone un percorso tra opere storiche e nuove produzioni, alcune realizzate in collaborazione con artigiani locali, in cui l’artista riflette sul rapporto tra corpo, materia e territorio, tra ciò che è visibile e ciò che rimane nascosto. Il lavoro di Hatoum combina minimalismo formale e tensione politica, interrogando le modalità con cui lo spazio viene normato, sorvegliato o colonizzato. Le opere creano ambienti di esperienza e sospensione, in cui lo spettatore è chiamato a negoziare continuamente il proprio punto di vista e a confrontarsi con ciò che resta dietro la scena. Il titolo della mostra gioca sul doppio senso tra seen (visto) e scene (scena), proponendo uno sguardo dietro le apparenze e verso spazi nascosti dell’esperienza umana: memoria, trauma, identità e resistenza. Le opere uniscono ricerca formale e riflessione politica, mettendo in discussione le strutture di potere che regolano il modo di vedere e abitare il mondo. In questo contesto, le creazioni di Hatoum agiscono come zone critiche della percezione, dove il gesto artistico diventa strumento di scavo, decostruzione e disvelamento.
L’opera di Hatoum si articola attorno a tensioni tra interno ed esterno, visibile e invisibile, attrazione e repulsione, controllo e vulnerabilità. Fin dagli esordi, la sua pratica ha posto in crisi la neutralità di spazi, oggetti e forme, rivelando come ogni superficie possa nascondere una soglia di ambiguità o una zona di conflitto. Il corpo, inteso come entità politica e affettiva, resta centrale. Nei primi interventi performativi degli anni Ottanta, il corpo femminile entra in relazione con lo spazio urbano e dispositivi di sorveglianza. Successivamente, il corpo scompare, lasciando tracce, impronte o oggetti simbolici del confinamento: gabbie, letti, reti e schermi ospedalieri diventano metafore della sua assenza-presenza e della vulnerabilità soggettiva.
Il tema del controllo attraversa la ricerca di Hatoum attraverso strutture minimali e materiali allusivi e minacciosi come filo spinato, ferro, vetro e acciaio. Oggetti domestici, come letti, sedie e utensili, vengono destabilizzati e trasformati in strumenti di contenimento o aggressione, suggerendo che anche gli spazi dell’intimità possono essere attraversati da dinamiche di potere e coercizione. L’esperienza personale dell’artista, nata a Beirut in una famiglia palestinese e impossibilitata a tornare a casa a causa della guerra, alimenta una poetica della dislocazione, espressa attraverso configurazioni spaziali e percettive più che narrative.
Il territorio si manifesta in forme frammentate, cartografie impossibili e percorsi pieni di ostacoli. Esempi emblematici sono Twelve Windows (2012–2013), realizzata con artigiane libanesi dell’associazione Inaash e costituita da dodici pannelli di ricamo palestinese sospesi su cavi rossi, e opere recenti come Divide (2025), paravento ospedaliero trasformato in barriera con filo spinato, e Mirror (2025), struttura reticolare che restituisce allo spettatore l’opacità del limite anziché un riflesso. Tra le opere storiche presenti, Untitled (red velvet) (1996) propone un frammento di velluto rosso con un disegno che ricorda intestino o cervello, affrontando la vulnerabilità del corpo e il confine tra attrazione e repulsione. Untitled (bed springs) I (2018) è una litografia ottenuta stampando molle da letto industriali sulla pietra litografica: il risultato ricorda una radiografia negativa in cui la geometria regolare della griglia si deforma in una composizione biomorfica, suggerendo tensione tra struttura e abbandono.
La residenza al Museo Nivola ha permesso la realizzazione di nuove opere, come la serie di gabbie in ceramica prodotte con il laboratorio Terra Pintada, in cui la fragilità del materiale tradizionale entra in tensione con il tema del contenimento e del controllo. Gathering riproduce blocchi di terra pressata con vecchi chiodi ossidati conficcati, evocando figure umane frammentarie e richiamando le sculture postbelliche di Giacometti. Le strutture sospese Shooting Stars I e II, create con il fabbro Emanuele Ziranu, presentano raggi metallici convergenti in un centro denso, evocando sia un corpo celeste sia un ordigno detonante, unendo precisione tecnica e brutalità visiva. Il tappeto Eye Spy, tessuto dall’artista Mariantonia Urru con tecnica tradizionale sarda, traduce un’immagine digitale di un drone in superficie morbida e tattile. La lana, materiale familiare e caldo, si trasforma in strumento di visione fredda, interrogando la relazione con privacy, vulnerabilità e controllo urbano.
L’installazione che dà il titolo alla mostra, Behind the Seen, raccoglie oggetti quotidiani disposti nello spazio con apparente casualità ma carichi di significato: un letto ospedaliero, uno scolapasta irto di punte, fili metallici, una sedia sbilenca, un peluche rovesciato, un pallone da calcio scucito. L’assemblaggio suggerisce ciò che si mostra e ciò che resta celato, configurando una topografia dell’inconscio domestico che interroga la relazione con lo spazio abitato, il trauma e la memoria. In Behind the Seen, Mona Hatoum prosegue la propria indagine sul corpo, sul controllo e sull’identità, regalando al visitatore un’esperienza di percezione in cui l’arte richiede una continua negoziazione del punto di vista.
Mona Hatoum sviluppa la sua poetica e la sua riflessione politica attraverso una molteplicità di media, tra cui performance, video, fotografia, scultura, installazioni e opere su carta. La sua produzione affronta temi come sradicamento, marginalizzazione, esclusione e sistemi di controllo politico e sociale. Nata a Beirut da una famiglia palestinese, vive a Londra dal 1975, anno in cui lo scoppio della guerra civile le impedì di fare ritorno in Libano. Ha studiato alla Byam Shaw School of Art (1975–1979) e alla Slade School of Fine Art di Londra (1979–1981).
L’artista ha partecipato a numerose esposizioni internazionali di rilievo, tra cui le Biennali di Venezia (1995, 2005), Istanbul (1995, 2011), Sydney (2006), Sharjah (2007, 2023), la Biennale di Mosca (2013) e Documenta a Kassel (2002, 2017). Tra le sue mostre personali più importanti si ricordano la retrospettiva del Centre Pompidou di Parigi (2015), trasferita alla Tate Modern di Londra e al KIASMA di Helsinki (2016), e l’ampia personale negli Stati Uniti promossa dalla Menil Collection di Houston (2017) e poi alla Pulitzer Arts Foundation di St. Louis (2018).
Nel settembre 2022 tre personali hanno avuto luogo contemporaneamente a Berlino, presso il Neuer Berliner Kunstverein, il Georg Kolbe Museum e il KINDL – Centre for Contemporary Art. La sua più recente grande personale è stata al KAdE di Amersfoort tra gennaio e marzo 2025, mentre nello stesso anno le sue opere hanno dialogato con quelle di Giacometti nella mostra Encounters: Giacometti x Mona Hatoum al Barbican di Londra. Tra i riconoscimenti principali ricevuti figurano il Premio Joan Miró (2011), il 10° Hiroshima Art Prize (2017), il Praemium Imperiale per la scultura (2019) assegnato dalla Japan Art Association per l’intera carriera, e il Premio Julio González 2020 conferito dall’Institut Valencià d’Art Modern – IVAM di Valencia.
Titolo mostra | Behind the Seen | Città | Orani | Sede | Museo Nivola | Date | Dal 04/10/2025 al 02/03/2026 | Artisti | Mona Hatoum | Curatori | Giuliana Altea, Antonella Camarda, Luca Cheri | Temi | Arte contemporanea |
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