L’appuntamento è per il 18 giugno: è la data fissata per l’inaugurazione dei Musei Civici “Gian Giacomo Galletti” che apriranno al pubblico nel Palazzo San Francesco di Domodossola, nel cuore del Borgo della Cultura del capoluogo della Val d’Ossola. Si tratta di un istituto multidisciplinare ed eclettico che racconta un territorio di frontiera aperto al mondo, e nutrito da un forte impulso collezionistico, soprattutto tra Otto e Novecento. Sono più musei riuniti in un unico istituto, che rappresentano uno spiccato spirito di ricerca ed esplorazione che fa parte non solo dell’Ossola ma dell’Italia intera e che si pone l’ambizioso obiettivo di proiettare i Musei Civici Gian Giacomo Galletti sotto i riflettori internazionali.
Dopo molteplici vicissitudini e usi, Palazzo San Francesco si mostra al pubblico con una rinnovata veste, a seguito di un accurato restauro e di un riallestimento museografico durato diversi anni. Sotto la direzione dell’Architetto milanese Paolo Carlo Rancati hanno lavorato diverse maestranze e ditte, ognuno nel loro specifico ambito professionale, tenendo sempre in considerazione l’identità del territorio ossolano. Il palazzo, sorto su di un’antica chiesa francescana ancora affrescata, vede i musei organizzati su tre livelli espositivi: il piano terra (la duecentesca chiesa francescana) dedicato alle mostre temporanee, il primo piano con il Museo di Scienze Naturali e il secondo piano con la Pinacoteca, la sezione Archeologica, quella di Arte Sacra e una parte dedicata alla grafica, con una selezione di disegni dalla fine del Cinquecento al Novecento. Il direttore e conservatore dei Musei Civici Gian Giacomo Galletti, Antonio D’Amico, ha lavorato in sinergia con l’architetto Paolo Carlo Rancati, progettista dell’impianto museografico, arricchito da interventi site specific dell’artista Gianluca Quaglia.
Il museo vuole essere anzitutto una geografia del collezionismo ossolano, sollecitato dalla Fondazione Galletti che acquista il palazzo alla fine dell’Ottocento, e concepito da uomini e donne che hanno viaggiato e donato ai musei opere d’arte e manufatti provenienti non solo dalle valli, ma anche e soprattutto da diverse parti del mondo. I Musei Civici sono frutto del lavoro di un’ingente campagna di restauri e recuperi che ha visto coinvolti 15 restauratori di diverse tipologie che sono intervenuti su 63 dipinti, 23 reperti lapidei, 287 reperti archeologici, 29 suppellettili sacre, oltre 40 arredi lignei d’epoca, 20 sculture lignee, oltre a vetri dipinti e intagli, oltre a 2000 animali impagliati e altrettanti minerali.
Il Palazzo, eretto a inizi Ottocento sull’antica chiesa francescana, torna dunque ad essere un polo culturale, proprio com’era agli albori del Novecento, svelando l’identità storico artistica e naturalistica dell’Ossola, un territorio di confine con continui scambi, aperture e suggestioni, e con artisti che meritano di essere riscoperti, come racconta Antonio D’Amico, direttore e conservatore dei Musei Civici Gian Giacomo Galletti: “Palazzo San Francesco è l’insieme di molti musei che raccontano la storia di un territorio di frontiera, che da una parte guarda all’Italia e dall’altra ai paesi limitrofi, in particolare la Svizzera e la Francia. Entrare all’interno di Palazzo San Francesco, soprattutto in questo preciso momento storico, vuol dire immergersi in un osservatorio privilegiato dove riscoprire la storia e l’identità culturale dell’Ossola, ma anche un luogo che è una fucina di idee per costruire il futuro e guardare lontano. Dai bambini agli anziani, tutti, possono trovare qui una suggestione, una ripartenza, un incontro con tantissimi ambiti del sapere e del vivere umano. Palazzo San Francesco è lo specchio di ciò che deve essere un Museo Civico, ossia uno spazio senza confini dove sentirsi a casa e trovare un po’ di sé stessi”. I Musei Civici Gian Giacomo Galletti sono documentati e illustrati in una guida edita da Sagep Editori.
Palazzo San Francesco viene costruito dalla famiglia Belli entro il primo decennio dell’Ottocento lasciando al suo interno l’antica chiesa francescana, una delle prime costruite in Ossola, già attiva a metà Duecento. Entrando, si vede ancora la forma della chiesa con una vasta navata centrale e due laterali, separate da colonne con capitelli scolpiti, tra cui l’affascinante rilievo del fiore dell’Apocalisse, e campate arricchite da affreschi che dalla seconda metà del Duecento conducono all’età di Carlo Borromeo.
Le vicende di Palazzo San Francesco si legano a quelle della Fondazione Gian Giacomo Galletti che lo acquista nel 1881 dalla famiglia Belli. La Fondazione nasce per volere di Gian Giacomo Galletti (Colorio, 1798 – Parigi, 1873), un piemontese di umili origini che fece fortuna nella “fabbricazione degli ori, degli argenti e degli smalti” e, accumulato un ingente patrimonio, divenuto deputato al parlamento italiano, nel 1869 istituisce una fondazione a suo nome con lo scopo di “provvedere nel tempo all’istruzione ed educazione morale, all’incremento dell’industria, a fini di beneficienza e in generale al miglioramento delle condizioni economiche degli abitanti dell’Ossola”. Nei suoi intenti filantropici vi era la creazione a Domodossola di scuole professionali, di una biblioteca, del teatro e dei musei. Così la Fondazione Galletti, rispettando le volontà del fondatore, intraprese un’impegnativa attività storico culturale che è arrivata fino a noi. La Fondazione cessa di esistere nel 1984 e tutti i beni mobili e immobili passano al Comune di Domodossola.
Il Palazzo San Francesco, sede dei Musei Civici Gian Giacomo Galletti. Foto di Alberto Lorenzina |
Al primo piano dei Musei Civici Gian Giacomo Galletti si entra nel Museo di Scienze Naturali, con una ricca selezione di animali impagliati di grande, media e piccola taglia, un’importante collezione di minerali, tra i quali si possono ammirare quelli dello studioso Giorgio Spezia, una puntuale stratigrafia del Sempione, una sezione di botanica, con particolare riferimento a specie dell’Ossola, e ancora entomologia, malacologia, anatomia comparata e alcuni interessanti reperti organici. All’inizio del percorso si viene accolti dall’istallazione luminosa Foresta Giardino, opera d’arte contemporanea realizzata da Gianluca Quaglia, che è perno intorno al quale ruota l’allestimento del museo, un luogo in cui la natura incontra la cultura. La Foresta è l’ambiente libero e selvaggio per antonomasia, il giardino invece suggerisce l’intervento dell’uomo, l’organizzazione degli elementi e lo studio. I due termini raccontano un processo che è alla base della ricerca scientifica, ovvero il passaggio dal misterioso al conosciuto, nel tentativo di valorizzare tutti i componenti della natura.
Il Museo di Scienze Naturali di Domodossola si pone l’obiettivo di far immergere il visitatore in un ambiente in cui l’equilibrio tra il luogo d’origine degli elementi naturali e i reperti che qui sono oggetto d’indagine è ristabilito attraverso l’arte contemporanea e dunque con gli interventi permanenti ideati e realizzati da Gianluca Quaglia. Le pareti del Museo sono dipinte con colori che rappresentano il passaggio dal giorno alla notte: rosa e azzurro pallido, azzurro chiaro, azzurro, arancio, blu e blu scuro. Si assiste, come in natura, al sorgere del sole e al suo tramonto, con un lento movimento che conduce verso la notte e a un cielo stellato. Nel sottarco sulle scale, salendo su questo piano, e su due pareti del Museo, infatti, l’artista è intervenuto su intonaci preesistenti facendo affiorare piccole porzioni di cielo e stelle colorate, realizzate in ceramica.
La creazione del Museo di Scienze Naturali ha origine dai progetti di Gian Giacomo Galletti: a seguito della sua scomparsa, avvenuta a Parigi il 31 maggio 1873, ebbe inizio la prolifica attività della Fondazione Galletti, che il neoeletto parlamentare ossolano aveva ufficializzato nel 1869, con lo scopo di sostenere e incrementare lo sviluppo economico e l’istruzione dell’Ossola, con la creazione di scuole professionali, biblioteche e musei. Il progetto di creare un museo naturalistico attirò personalità vivaci ed entusiaste che, con le loro competenze e diversa formazione accademica, contribuirono in modo significativo alla nascita di questo Museo. Un primo nucleo di “campioni mineralogici e pezzi delle più svariate specie di piante” venne esposto nel 1875 al secondo piano dell’ala nord attigua al corpo principale di Palazzo Mellerio, in quel momento sede della Fondazione. Il 9 giugno 1879, a seguito di un vasto incremento delle collezioni, fu aperto al pubblico per la prima volta il Museo nelle sale di Palazzo Mellerio.
Una delle figure di rilievo che ha contribuito alla nascita e all’incremento considerevole delle raccolte naturalistiche fu il tenente colonnello Giulio Bazetta, nato ad Omegna nel 1838, patriota nel Corpo degli Alpini e insegnante diplomato con una predilezione per la natura e per la scienza. Fece della tassidermia una sua passione e molti dei suoi lavori possono essere ammirati in queste sale. Dal primo maggio 1882 fu lui il primo “direttore all’economia, al materiale e al controllo” del Museo di Scienze Naturali. La Fondazione Galletti nel 1881 acquista il palazzo che era di proprietà della famiglia Belli e, per la prima volta, le collezioni naturalistiche fanno il loro ingresso al primo piano di Palazzo San Francesco nel 1885. Da quel momento, il museo fu dapprima spostato a Palazzo Silva e poi più volte riallestito e riadattato, fino alla sua ultima collocazione nei depositi del comune di Domodossola, ente che a seguito dell’estinzione della Fondazione, avvenuta nel 1984, acquisisce tutto il patrimonio, creando i Musei Civici. La gestione delle collezioni del Museo di Scienze Naturali, nei primi anni del Novecento, fu in capo a Guido Bustico, di formazione umanista, ma con una forte passione per la scienza e che svolse un eccellente lavoro di compilazione dei cataloghi e di riordino delle collezioni.
Quasi tutti i materiali sono stati classificati e catalogati, ma le collezioni sono ancora oggi oggetto di riordino e di studio, a testimonianza della natura dinamica e in continua evoluzione dei musei naturalistici. Per molti anni tutte le collezioni sono rimaste nei depositi, invisibili al pubblico, in attesa del restauro di Palazzo San Francesco e del successivo trasferimento, dove adesso si possono ammirare nella loro unicità che ci racconta un frammento di storia del territorio ossolano. Le collezioni, arricchite nel tempo a seguito di donazioni da parte di naturalisti locali e di figure di spicco della cultura scientifica dell’epoca, sono suddivise in diverse sezioni: mineralogia, geologia, paleontologia, botanica e zoologia.
Il Museo di Scienze Naturali. Foto di Alberto Lorenzina |
Il Museo di Scienze Naturali. Foto di Alberto Lorenzina |
Il Museo di Scienze Naturali. Foto di Alberto Lorenzina |
Il Museo di Scienze Naturali. Foto di Alberto Lorenzina |
Il Museo di Scienze Naturali. Foto di Alberto Lorenzina |
Nella sezione archeologica si possono ammirare manufatti di diverse età e culture, come quella dell’antico Egitto, della preistoria, dell’età leponzia, ossia dei primi abitanti di Domodossola, e della romanità. Soprattutto, ritorna a Domodossola e sarà visibile per la prima volta, dopo un accurato restauro, il corredo della tomba del guerriero ossolano Claro Fuenno. L’elevato ceto di appartenenza è sottolineato dalla presenza di una spada, di una lancia, dei balsamari e delle raffinate coppe vitree, come quella a nastri policromi di probabile provenienza dal Mediterraneo orientale.
Il primo nucleo dei Musei di Domodossola promosso dalla Fondazione Galletti fu la sezione naturalistica, avviata nel 1875. Verso la fine dello stesso anno pervenne una prima donazione di monete antiche, cui seguirono altri lotti di antichità numismatiche e archeologiche donate da privati cittadini, su incoraggiamento del direttore Giacomo Trabucchi e dei consiglieri della Fondazione. Per queste due sole sezioni tra il 1875 e il 1909 si contano più di quaranta benefattori, che includono esponenti di spicco del mondo culturale, politico e sociale non solo di Domodossola, ma di varie zone del Piemonte e d’Italia: avvocati, notai, medici e ingegneri, sacerdoti, militari, albergatori, imprenditori, commercianti e artigiani, impiegati e artisti. Le collezioni andavano crescendo senza un progetto unitario; in particolare la sezione numismatica fu incrementata da diverse donazioni. Il maggior apporto alla raccolta archeologica si deve al medico di origini vigezzine Giacomo Pollini (Parigi, 1827 - Torino, 1902), che la arricchì con continui invii di reperti dal 1880 alla morte. Oltre a materiali vigezzini, piemontesi e lombardi, soprattutto di epoca preistorica, donò manufatti egizi, raccolti in occasione di un viaggio in Africa. Alla collezione archeologica contribuì particolarmente il cavalier Felice Mellerio (Craveggia, 1831 - Masera, 1905), che, durante la costruzione e gli ampliamenti della sua villa a Masera, rinvenne a più riprese corredi funerari che, fino al 1892, donò ai Musei Galletti.
Giunsero inoltre campionature di oggetti dai principali scavi realizzati in territorio ossolano, come alcuni reperti rinvenuti da Enrico Bianchetti nel 1890-91 nella necropoli di Ornavasso (località In Persona) e donati dal figlio Edgardo e i ritrovamenti effettuati da Egisto Galloni nel 1898 e nel 1903 nelle necropoli di Mergozzo (località La Cappella) e Candoglia. Arricchirono poi le collezioni domesi interi corredi funerari scoperti in località minori: Vanzone (scavi 1874), Sant’Anna di Casale Corte Cerro (1863) e Gurro (scavo archeologico organizzato nel 1886 dalla Fondazione Galletti e diretto da Giacomo Trabucchi). Con l’apporto di reperti provenienti dall’Italia meridionale, da Roma e soprattutto dal territorio ossolano, si costituì una raccolta didattica in grado di offrire, accanto ad una rappresentazione “a volo d’uccello” delle antichità egizie e magno greche, uno sviluppo completo dal Neolitico all’età romana, attraverso testimonianze del patrimonio archeologico dell’Italia settentrionale.
Il Museo Archeologico. Foto di Alberto Lorenzina |
Il Museo Archeologico. Foto di Alberto Lorenzina |
Il Museo Archeologico. Foto di Alberto Lorenzina |
Il secondo piano dei musei è concepito come uno spazio in movimento, in cui si entra a contatto con l’arte nelle sue declinazioni più intime, dalle origini lontanissime dell’identità umana con il museo archeologico, fino alla Pinacoteca con dipinti e disegni databili tra la fine del Cinquecento e il Novecento, realizzati da artisti che hanno arricchito la cosiddetta Valle dei pittori, ossia la val d’Ossola.
Al centro del secondo piano c’è la Pinacoteca degli artisti vigezzini, declinata attraverso le tre scuole dell’Ossola, quella di Craveggia, quella di Buttogno e la scuola Rossetti Valentini di Santa Maria Maggiore. Si parte con le grandi pale d’altare di Giuseppe Mattia Borgnis che, nel cuore del Settecento, ha portato il linguaggio pittorico ossolano fino in Inghilterra, e di Lorenzo Peretti senior, raffinato ritrattista della quotidianità. Cuore dell’esposizione sono le opere del patriottico Giuseppe Rossetti, artista grazie al quale ha avuto inizio la collezione di dipinti del Comune di Domodossola. Tra gli altri, suo è l’intrigante quanto affascinante dipinto con i Ritratti dei pittori antichi e moderni, un consesso ideale che vede riuniti intorno a Michelangelo e Raffaello gran parte degli artisti ossolani. Romantica è la sezione dedicata alle opere di Carlo Gaudenzio Lupetti, di Bernardino Peretti, di Antonio Maria Cotti e di Giovanni Baratta, pittori che nel corso dell’Ottocento sviluppano una forte sensibilità che li avvicina ai venti della Belle époque.
Per quanto riguarda la sezione grafica, entro tavoli lignei appositamente progettati dall’architetto Paolo Carlo Rancati e realizzati, come il resto dell’arredamento del Museo, dalla ditta Franzini di Domodossola, saranno presentati 33 disegni che la Fondazione ha ottenuto da donatori ossolani alla fine dell’Ottocento. Si tratta di un corredo grafico di notevole rilevanza che va dalla fine del Cinquecento agli albori del Novecento. Sono disegni che riprendono importanti opere d’arte del Seicento, a testimonianza della diffusione anche in Ossola dell’arte di prim’ordine tra Roma e Bologna. Disegni che riprendono opere di Annibale Carracci, Domenichino, Ciro Ferri e Carlo Maratti e poi due attribuiti all’artista fiammingo Jan Brueghel dei velluti.
La Pinacoteca. Foto di Alberto Lorenzina |
La Pinacoteca. Foto di Alberto Lorenzina |
La Pinacoteca. Foto di Alberto Lorenzina |
La Pinacoteca. Foto di Alberto Lorenzina |
Le suppellettili ecclesiastiche esposte fanno parte di una collezione che prese forma, tra il 1880 e il 1884, grazie ad acquisti e donazioni fatte da privati alla Fondazione Galletti, quando questa aveva intrapreso l’iniziativa di procurarsi spazi idonei per la creazione di un Museo Ossolano, acquistando Palazzo Silva e Palazzo Belli, rinominato in seguito San Francesco. Fu poi integrata dagli arredi sequestrati a Cuzzago e depositati presso il Museo Galletti dalla Soprintendenza di Torino nel 1914. La collezione intera è composta di circa 100 manufatti di varie tipologie, tra i quali sono stati scelti i più significativi e pregiati. Ampie categorie caratterizzano i manufatti utilizzati durante il rituale sacro. In particolare, nell’area presbiterale l’azione liturgica si realizzava intorno all’altare, luogo al quale gli oggetti erano principalmente destinati, come il Paliotto e le Carteglorie. Altrettanto importanti erano le suppellettili legate all’illuminazione dell’ambiente ecclesiale, fra le quali le lampade pensili. Fra i vasi sacri, eucaristici, per oli santi e reliquiari, i calici erano utilizzati per la consacrazione del vino durante la messa. Un particolare aspetto liturgico è quello della cerimonia dell’incensazione, usata per le sepolture e la profumazione degli ambienti, che avveniva con il turibolo. In particolare, l’esemplare in bronzo del Museo ha una forma a capanna cuspidata con protomi angolari ed è databile tra il XIII e il XIV secolo.
La processione è infine un rito presente in ogni religione, carico di valori simbolici legati al concetto del movimento e della preghiera comunitaria. Essa si configura come una derivazione ritualizzata del pellegrinaggio di cui è più circoscritta e determinata, ma a differenza del pellegrinaggio, che può essere individuale, la processione è sempre effettuata da una comunità. A questo momento religioso sono legati la Croce processionale, la Lanterna e lo Stendardo processionale. L’esposizione è infine arricchita da due corone da statua, un tondo con il Ritratto di San Carlo Borromeo e da una preziosa pantofola pontificia appartenuta a papa Innocenzo IX Facchinetti (1519-1591), la cui famiglia paterna era d’origine di Cravegna.
Il Museo ha anche una collezione di sculture lignee che raccoglie una serie di pezzi di origine diversificata, in alcuni casi non identificata. Alcune sculture sono il prodotto dello smontaggio di altari lignei delle chiese, sostituiti da nuove strutture marmoree, talora si tratta di frammenti donati, ma privi di qualsivoglia contestualizzazione. Non è improbabile per alcuni manufatti la provenienza dalle terre riformate attraverso i mercanti ossolani che potevano averli acquisiti strappandoli all’iconoclastia protestante e in quanto tali non direttamente ordinati alle botteghe d’oltralpe. Per altri, l’acquisizione potrebbe essere dovuta a commissioni specifiche, come per l’altare di bottega dell’alta Svevia o dell’Algau, realizzato nel 1526 e proveniente dalla parrocchiale di Baceno, di cui si possono ammirare il Cristo giudice, la Porta del Paradiso e la Bocca dell’Inferno.
Anche le scuole di appartenenza risultano differenti: si spazia dall’ambito padano (si vedano le due sculture dei De Donati), ossolano, aronese (in particolare le figure di angeli da riferirsi a Bartolomeo Tiberino) e lombardo (in proposito sono da considerare le teste di cherubi di cui è ignota la sede originaria), a quello d’oltralpe (esemplare il frammento con la Flagellazione di scuola tedesca, del secondo decennio del XVI secolo). La vicinanza con il territorio vallese e le comprovate relazioni commerciali danno ragione della pertinenza di alcuni manufatti a tale contesto e in proposito sono indicativi i frammenti del soffitto della casa di Domodossola in via Briona, qui riferiti al comasco Jacobinus Malacrida che proprio a Sion, capoluogo del vallese, aveva dato prova esemplare di sé, dopo aver presenziato a Locarno e a Como. Nella stessa direzione si spiegano le presenze di una statua intitolata a San Teodulo, patrono di quella valle, e della testa, mozzata da una statua, di Cristo morto, riferibili entrambe a uno scultore della medesima area territoriale. In tale eterogeneità le sculture del Museo ben rappresentano la realtà ossolana, in una complessità legata alla rete di rapporti in cui la stessa è coinvolta, che costituisce una delle sue più eclatanti caratteristiche.
Infine, cospicua la collezione dei vetri dipinti: i pezzi raccolti nel Museo sono frammenti di vetrate dipinte, pervenuti in epoche diverse, con buona probabilità da chiese locali ristrutturate nel corso dei secoli, ma senza identificazione precisa dei luoghi di provenienza. Come è noto e ben esemplificato dagli studi di Gianfranco Bianchetti, le vetrate in Ossola non mancavano. I casi della chiesa di San Francesco a Domodossola, i cui esemplari perduti sono riferibili al bernese Lukas Schwarz e documentati al 1511, delle parrocchiali di Crevola e di Baceno, rispettivamente con gli interventi di Hanz Funk di Zurigo nel 1526 e del lucernese Anton Schiterberg e bottega nel 1547, sono emblematici della ricchezza di manufatti di questo genere e della frequente gravitazione ossolana sulla regione elvetica. Proprio in Svizzera si era sviluppata una scuola di maestri vetrai tra il XV e il XVI secolo e le richieste da parte dei committenti ossolani in quegli ambiti (Berna, prima dei rivolgimenti della Riforma, Lucerna anche nel secondo Cinquecento in ragione della sua fedeltà al cattolicesimo) non sorprende, stante la vicinanza geografica tra i due territori e le comprovate relazioni commerciali. I manufatti vitrei raccolti dalla Fondazione Galletti sono di scuole diverse, ma quasi tutte cinquecentesche, in particolare di secondo Cinquecento, come rivelano i caratteri manieristici. Per alcuni la definizione linguistica è complessa, considerata la loro frammentarietà. Per la Testa di vescovo il linguaggio sembra declinarsi in una direzione ove convergono retaggi lombardi rinascimentali accanto a quelli d’oltralpe. Questi manufatti vitrei, desueti nella Diocesi novarese, pur nella indefinitezza di provenienza e di precisa appartenenza stilistica, rimangono testimonianze di una straordinaria stagione figurativa che aveva coinvolto le chiese ossolane, con la specificità di legami privilegiati con le attigue regioni transalpine.
La sezione di Arte Sacra. Foto di Alberto Lorenzina |
Orari estivi (dal 19 giugno al 10 ottobre 2021): aperto il venerdì, il sabato e la domenica dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 19. Orari invernali (dal 16 ottobre al 31 dicembre 2021): aperto il sabato e la domenica dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18. Biglietti: 5 euro l’intero, 2 euro ridotto scuole, 3 euro universitari, 2 euro over 65 e diversamente abili. Biglietto cumulativo con Palazzo Silva (fino al 10 ottobre): 6 euro intero, 3 euro scuole, 4 euro universitari, 2 euro over 65 e diversamente abili. Gratis per bambini fino a 5 anni, guide, interpreti e accompagnatori turistici, insegnanti accompagnatori di classe, tesserati AMO e Tessera Regionale Musei.
È possibile acquistare anche visite guidate: 2 euro per adulti (gruppo con minimo 5 persone), 1 euro studenti. Per le visite è necessaria la prenotazione. Per informazioni è possibile consultare il sito del Comune di Domodossola. Telefono 0324/4921, Fax 0324/481402, email conservatore@comune.domodossola.vb.it - cultura@comune.domodossola.vb.it