Il 29 maggio 2025 è stato inaugurato il nuovo Museo Archeologico Nazionale di Luni, alla presenza delle autorità locali e dei rappresentanti del Ministero della Cultura, ente che gestisce il vasto patrimonio dell’antica colonia romana di Luna. Una giornata limpida, quasi benedetta dagli dèi, avrebbero detto gli antichi, ha fatto da cornice alla presentazione di un progetto che prende forma da anni di riflessione e nell’impegno corale di numerosi professionisti. Il nuovo allestimento, firmato dallo studio GTRF, Giovanni Tortelli Roberto Frassoni Architetti Associati, è stato realizzato all’interno del Casale Benettini Gropallo, con un progetto scientifico a cura di Antonella Traverso e Marcella Mancusi. Il museo e il parco archeologico sono oggi tra i luoghi più rilevanti per la conoscenza della romanizzazione della penisola italiana e dell’archeologia ligure.
“Finalmente, dopo numerosi interventi che hanno previsto lo demolizione del vecchio museo e lo spostamento delle collezioni, si inaugura oggi il nuovo allestimento”, dichiara Antonella Traverso, Direttrice del Museo di Luni ricordando che il nuovo museo “arricchisce l’offerta al pubblico, estendendo la narrazione espositiva da Luna a Luni, attraverso i 1400 anni di storia della città”.
“È stato un percorso lungo, quello che ha portato a ripensare completamente la sede del Museo archeologico Nazionale di Luni”, ricorda Alessandra Guerrini, a capo della Direzione regionale Musei Nazionali Liguria, “oggi apre al pubblico un museo moderno, che abbiamo voluto allestire in un antico casale settecentesco, perfettamente inserito nel paesaggio. La scelta di non realizzare una nuova costruzione è parte della grande attenzione che c’è oggi per il sito archeologico: un lavoro di squadra portato avanti dai tecnici del Ministero della cultura con le loro diverse competenze. Siamo quindi particolarmente felici di poter accogliere il pubblico in un museo dedicato all’antica città romana di Luna ma anche alla storia del territorio intesa un arco cronologico più ampio, a partire dalla Preistoria per arrivare sino al Medioevo. Il percorso approfondisce poi anche il tema dell’estrazione del prezioso marmo lunense, ormai noto come marmo di Carrara, e diventa un punto di partenza per immergersi nello straordinario paesaggio archeologico che ci circonda”.
“Ci troviamo in un luogo straordinario”, aggiunge Andrea Cantadori, prefetto della Spezia, “dove si riscoprono tracce antiche e si aggiunge un tassello prezioso a questa magnifica regione. Un tassello fatto di cultura, turismo e memoria delle origini, un patrimonio storico che per secoli ha caratterizzato questi territori e di cui oggi siamo eredi. Eredi che hanno la responsabilità di rappresentarlo degnamente. L’Italia possiede un patrimonio storico immenso e di valore inestimabile. Tocca a noi conservarlo, farlo conoscere, riportarlo alla luce quando necessario, e diffonderlo nel mondo. Molti dei nostri meriti attuali derivano dal passato: non è merito nostro se esistono l’UNI, il Colosseo, il Pantheon o il Duomo di Milano. Ma abbiamo il dovere di esserne eredi consapevoli e di trasmettere quanto ricevuto alle future generazioni. Così che, tra duemila anni, i nostri discendenti possano provare la stessa emozione che viviamo noi oggi, nel godere di tanta bellezza. Quando mi trovo in un luogo storico, mi sembra di percepire le voci di chi ci ha preceduti: come se esistesse una memoria collettiva che continua a vivere, a parlare, e che, in qualche modo, accompagna i nostri passi”.
Fondata per controllare le popolazioni del territorio, la colonia di Luna si è trovata nel posto giusto al momento giusto. Grazie al marmo, ha acquisito un’importanza economica strutturale e ciò ha trasformato la città da periferia di confine a centro produttivo di primaria rilevanza. Il marmo di Luni, detto marmo lunense, era così richiesto che a Roma e a Ostia esistevano magistrati preposti al controllo della sua qualità. Questo ne ha favorito la diffusione fino almeno al II secolo d.C.
In seguito, il marmo lunense venne progressivamente sostituito dal proconnesio, il marmo del Mar di Marmara. Nel Medioevo l’attività estrattiva cadde in crisi, ma le cave furono riaperte per costruire le grandi chiese toscane. Aneddoto particolare è quello su Dante: nel 1304, durante il suo esilio presso i Malaspina, il poeta si trovava nelle terre della Lunigiana. È plausibile che abbia attraversato i campi nei pressi di Luna e, proprio in quell’occasione, osservando le rovine all’orizzonte, abbia composto i versi del Paradiso in cui riaffiora la memoria dell’antica città.
La ricerca archeologica in senso moderno inizia nel XIX secolo, con le prime esplorazioni del 1837: l’interesse cresce rapidamente e coinvolge studiosi e collezionisti, fino a raggiungere la corte sabauda: re Carlo Alberto incarica l’architetto Carlo Promis di effettuare rilievi e scavi. Durante tutto il secolo successivo, i ritrovamenti arricchiscono musei e collezioni, ma solo nel 1964 lo Stato avvia una tutela più strutturata con la costruzione del primo museo nell’area archeologica.
Oggi, dopo la demolizione del vecchio edificio per motivi di sicurezza sismica, il nuovo museo trova casa nel Casale Benettini Gropallo, integrato armonicamente nel parco archeologico.
La relazione costante con il territorio, con la natura e con le sue risorse, emerge anche nella storia recente del sito archeologico. Il museo, costruito nel 1964 sull’unico lotto disponibile del demanio, sorgeva su un’area sismicamente attiva. I pilastri in cemento armato della struttura insistevano direttamente sopra i resti dell’antico tempio capitolino e di un porticato ellenistico e per questo l’edificio non poteva essere messo a norma senza compromettere irrimediabilmente il patrimonio archeologico sottostante. La demolizione si è resa necessaria, al fine di tutelare la sicurezza dei visitatori e salvaguardare i resti monumentali.
Il nuovo allestimento si sviluppa perciò su due piani. Al piano terra il protagonista è il marmo apuano, elemento fondante dell’identità di Luni: usato per statue, mosaici, architetture pubbliche e private. In esposizione si trovano reperti conosciuti, come la base votiva alla dea Luna o il mosaico di Oceano e quello di Medusa, accanto a recenti scoperte. Una saletta è dedicata alle epigrafi marmoree, mentre una sala video propone documentari dell’Istituto Luce e materiali originali. Il marmo lunense, apprezzato anche per la statuaria, veniva impiegato per realizzare statue di ogni formato, da quelle colossali a quelle miniaturistiche, che adornavano edifici pubblici e residenze private. Molte di queste opere, rinvenute durante gli scavi ottocenteschi e in seguito disperse in varie collezioni, testimoniano la vitalità artistica della città. Magistrati e notabili locali, infatti, finanziavano generosamente la decorazione degli spazi urbani con ritratti e immagini della famiglia imperiale, manifestando così la propria adesione politica e culturale alla dinastia regnante. Non è un caso che proprio il marmo apuano sia stato scelto per i monumenti più rappresentativi di Roma. Le sculture conservano spesso un’elevata qualità formale e, in alcuni casi, rielaborano modelli greci del V e IV secolo a.C. La maggior parte è datata tra l’età dei Giulio-Claudi (27 a.C. - 68 d.C.) e quella dei Flavi (69 - 96 d.C.).
Fra le opere più rilevanti è presente il Loricato dei Magni Griffi (anticamente appartenente alla famiglia locale), che raffigura un generale vittorioso con corazza anatomica. Un’incavatura sotto il collo suggerisce l’inserimento di una testa intercambiabile, la spalla sinistra è avvolta da un mantello chiuso da una spilla a rosetta, mentre il braccio destro, proteso in avanti, allude a un gesto oratorio rivolto alle truppe (adlocutio). La corazza è decorata al centro da due Vittorie alate che sorreggono un trofeo e armi nemiche in rilievo; più in basso, due file di frange (pteryges) mostrano teste animali e un’aquila che ghermisce una lepre. Sul fianco sinistro restano invece tracce di un fodero, indizio della presenza originaria di una spada. La statua è databile al periodo flavio.
Un secondo Loricato, proveniente dal porticato antistante il tempio di Luna, mostra un personaggio di alto rango, vestito con corazza e avvolto nel paludamentum, il mantello militare. La testa e alcuni arti sono mancanti, così come eventuali attributi legati al cursus honorum. La decorazione è essenziale: una sola testa di Medusa al centro della corazza, stilizzata ma ancora investita di potere apotropaico. La compostezza formale e il confronto con altre statue indicano un’identificazione con l’imperatore Augusto, che spesso veniva raffigurato con il mantello raccolto intorno al braccio, proprio come in questo modello. Del resto, il legame tra Augusto e Luni è documentato. L’imperatore è infatti omaggiato come patronus per aver curato la riorganizzazione della città. Inoltre, secondo le analisi, la statua presenta decorazioni riconducibili a motivi imperiali: tra questi, una palmetta analoga a quella visibile sulle calzature delle statue del Foro di Augusto a Roma. Tra gli altri reperti esposti figurano una scultura in marmo apuano della dea Fortuna o Abbondanza (databile al 1–50 d.C., rinvenuta nei pressi del Capitolium), dei ritratti marmorei dell’area del Foro (età flavia), basi e frammenti di colonne, alcune con sigle riconducibili alle cave, capitelli dell’area sacra della dea Luna, una figura femminile togata e una figura maschile togata con capo velato, risalente alla prima età imperiale.
Il piano superiore segue invece una narrazione cronologica: la prima parte va dagli strumenti preistorici rinvenuti nel territorio lunense ai corredi funerari liguri e alla ceramica etrusca, fino alla fondazione della colonia romana nel 177 a.C. Sono presentati i materiali del tempio capitolino e di quello della dea Luna, insieme a testimonianze della fase imperiale: ristrutturazioni urbane, attività produttive e oggetti di vita quotidiana. Il piano superiore del museo racconta la lunga vicenda storica del territorio lunense: dalla presenza preistorica documentata da strumenti litici, fino alle trasformazioni tardoantiche e medievali che condussero Luni a diventare sede vescovile e tappa sulla via Francigena. Il territorio dove sorgerà la colonia romana di Luna è abitato e frequentato fin dalla preistoria, grazie alla ricchezza di risorse naturali e alla facilità degli approdi alla foce del fiume Magra. Nei secoli che precedono la romanizzazione, l’area è al centro di rapporti e conflitti tra Etruschi e Liguri, come racconta lo storico romano Tito Livio.
Le testimonianze archeologiche del periodo includono materiali provenienti dalla necropoli di Ameglia e reperti sparsi del VI-V secolo a.C. Tra questi sono presenti oltre cinquanta tombe del pieno IV secolo a.C., realizzate secondo il rituale ligure dell’incinerazione in cassette di pietra. I corredi mescolano oggetti locali con beni d’importazione, come vasi in bucchero etrusco, armi celtiche intenzionalmente danneggiate e gioielli provenienti dalla colonia greca di Taranto. Alcuni recipienti per il simposio richiamano chiaramente l’influenza della cultura greca mediata dagli Etruschi. Un saggio stratigrafico realizzato sotto il pavimento di una bottega sul lato occidentale del foro ha restituito una fossa votiva contenente vasi in ceramica a vernice nera prodotti in Campania. Una delle coppe, datata tra il 200 e il 190 a.C., reca inoltre un’iscrizione latina che menziona un membro di una famiglia etrusca perugina, indicando la presenza di militari o coloni etruschi poco prima della fondazione della città.
Nel 177 a.C., dopo una serie di conflitti con le popolazioni locali, i triumviri Marco Emilio Lepido, Publio Elio Tuberone e Gneo Sicinio guidano la fondazione della colonia di Luna, assegnando ai 2000 coloni romani 51,5 iugeri ciascuno. L’ager lunensis si estende dal golfo della Spezia fino a Pietrasanta, comprendendo anche i bacini marmiferi delle Apuane. Resti archeologici testimoniano ancora oggi la pianificazione territoriale di età romana. Azioni rituali legate alla fondazione includono due sepolture canine poste a protezione delle mura. Tra le sculture esposte, spicca il ritratto in marmo greco di un uomo maturo con tratti realistici, stempiatura e rughe, rinvenuto nella basilica civile e attribuito con buona probabilità allo stesso Emilio Lepido. Durante l’età imperiale Luni si arricchisce anche di edifici monumentali e spazi produttivi. Ne sono testimonianza i materiali provenienti dal tempio capitolino e dal santuario della dea Luna (175-150 a.C.), il cui frontone con divinità in terracotta è esposto in copia, l’originale è conservato al Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Tra le opere più importanti si trovano anche un mosaico pavimentale in marmo apuano e calcare, decorato con motivi geometrici, datato tra il 100 e il 1 a.C. (dalla cosiddetta domus occidentale), il ritratto in marmo apuano di Augusto (25-50 d.C.), i ritratti di Agrippina maggiore, Agrippina minore e Tiberio Gemello (41-54 d.C.), frammenti di affreschi policromi (50-70 d.C.) provenienti dalla domus degli affreschi.
Nel 642 Luni viene conquistata dai Longobardi e annessa al Ducato di Lucca: la sezione finale del museo racconta queste vicende e quello che accadde a Luna fino al Medioevo. Ad ogni modo la città, continua a essere un attivo nodo commerciale nel Mediterraneo (come attestano anfore nordafricane e monete provenienti da varie zecche). Luni gode quindi dello status di porto franco e i vescovi locali arrivano a battere moneta propria, in argento e piombo.
La vitalità artigianale è confermata dal ritrovamento di una fullonica presso Porta Marina, insieme a una matrice per gioielli, pettini in osso (500-700 d.C.) e pesi monetali. Tra i reperti figura anche uno scheletro femminile datato tra il 643 e il 773 d.C., rinvenuto nei pressi del teatro. L’adozione del cristianesimo traspare nelle decorazioni degli oggetti quotidiani, croci e santi incisi, e nei mosaici pavimentali della Cattedrale. Particolarmente notevole è un mosaico con iscrizione latina (550 d.C.) in tessere di marmo apuano, bardiglio, serpentinoide ligure e laterizio, proveniente dalla navata nord e che riporta la seguente scritta: “Nel nome del Signore, Gerontius, servo di Cristo, desiderando adempiere ai suoi voti, affinché questa chiesa fosse più bella dopo essere stata consolidata nel nome di Cristo, poiché per vetustà era crollata, pose (i mosaici)”.
Tra XI e XII secolo la basilica viene ampliata con l’aggiunta di due absidi laterali. La città rimane meta di pellegrinaggio, come conferma il passaggio dell’arcivescovo di Canterbury Sigerico nel 990, durante il suo viaggio sulla Francigena. All’interno della cattedrale si continua a seppellire: rilevante è la tomba di un cavaliere (1050-1130 d.C.), identificabile per via degli sproni dorati con placche ornate da animali fantastici e da una cinghia di fissaggio. Con l’insabbiamento del porto e il conseguente declino economico, nel 1204 il vescovo trasferisce la sede a Sarzana, sancendo la fine della città di Luni. Per secoli ne rimarrà solo il nome, evocato da Dante e Petrarca, fino alla riscoperta archeologica.
L’idea di valorizzare sia l’aspetto monumentale sia quello materico è diventata dunque il filo conduttore del progetto museale, pensato come una grande apertura sulla Luna romana, una città raffinata e ricca. Alcuni frammenti delle sue architetture, sono stati rinvenuti nei portici settentrionali della città, a testimonianza dell’altissimo livello artistico raggiunto. Oggi, molte di quelle opere sono conservate altrove, a La Spezia, a Carrara, a Firenze, ma la città di Luna è stata scavata per meno del 10% del suo esteso territorio. Per questo motivo gli archeologi confermano che molto resta ancora da scoprire, e che l’area potrebbe diventare un cantiere archeologico attivo per decenni.
Attualmente, l’attività archeologica di Luni prosegue con nuovi sviluppi in diverse aree del sito. In alcune zone, la situazione è stata parzialmente ripristinata dopo l’alterazione dovuta alla demolizione del museo e all’inizio degli scavi veri e propri. Gli interventi attualmente in corso non si concentrano solo nell’area centrale, ma anche in punti strategici come la viabilità principale sud.
Ogni anno, in autunno, prende il via una campagna di scavo della durata di circa un mese e mezzo. In una di queste campagne è emersa una nuova domus di grande interesse, ornata da raffinati mosaici. Inizialmente, l’indagine era stata avviata con l’obiettivo di individuare tracce di strutture portuali, data la vicinanza alla portualità antica. Invece, ciò che è venuto alla luce conferma ancora una volta la ricchezza delle élite locali: si tratta di una grande residenza privata, elegante e articolata, segno tangibile dell’agiatezza dei suoi proprietari. Tuttavia, ciò che continua a mancare nel quadro archeologico è l’individuazione dell’abitato comune, ovvero le case e le strutture che avrebbero ospitato la maggior parte della popolazione. Lo ha sottolineato anche un docente dell’Università di Pisa, riflettendo su come l’immagine restituita dagli scavi racconti sì il lusso, ma lasci ancora senza risposta la domanda più ampia: dove vivevano le migliaia di abitanti di Luni? Secondo le fonti, la colonia contava circa duemila coloni, probabilmente distribuiti anche nell’area rurale circostante, ma le tracce materiali delle abitazioni restano elusive.
Molti dei frammenti architettonici rinvenuti, come capitelli e basamenti, sembrano inoltre derivare da una fase successiva a un forte sisma che colpì l’area pubblica attorno al Capitolium. Il riutilizzo di elementi scultorei appartenenti a statue onorarie dedicate a personaggi locali e membri della famiglia imperiale testimonia una pratica diffusa nel tardo impero: integrare elementi monumentali antichi in nuove strutture, spesso religiose. Uno degli esempi più affascinanti è il riutilizzo di colonne e capitelli nella costruzione del triportico e della basilica civile. In una ricostruzione visibile anche nel centro visitatori, si ipotizza la presenza originaria di statue legate al culto imperiale o a figure influenti della comunità lunense.
Un altro fronte di scavo è attivo nella zona della cattedrale, dove è in corso da alcuni anni un progetto di studio sull’evoluzione dell’area in epoca altomedievale. Tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo, in piena età bizantina, l’area si trasforma infatti in una cittadella fortificata attorno alla cattedrale, divenendo uno dei fulcri del potere urbano. Due sono gli scavi in corso: uno gestito direttamente dalla Soprintendenza, l’altro condotto dall’Università di Genova con campagne regolari. Gli scavi hanno restituito resti di edifici in legno, capanni e strutture temporanee, alternati a zone cimiteriali e aree di discarica. Un modello urbanistico a macchia di leopardo, ormai riconosciuto in molte città italiane dell’Alto Medioevo, in cui si legano abitazioni precarie, sepolture e spazi produttivi.
Risultati come quello di oggi sono il frutto di processi lunghi e spesso silenziosi. Si tratta di percorsi fatti di ricerca, studio, restauri, iter complessi e pazienti, affrontati attraverso ostacoli importanti. Il traguardo di un progetto di tale portata rappresenta dunque una soddisfazione concreta. Conservare e trasmettere il patrimonio culturale alle generazioni future è uno degli obiettivi fondamentali delle istituzioni, ma non si esaurisce nel solo compito conservativo. Luoghi come l’antica Luna, restituita oggi alla collettività, hanno la potenzialità di diventare centri vitali per le comunità che li abitano. Perché ciò accada, è necessario quindi adottare linguaggi nuovi, capaci di coinvolgere pubblici diversi e sempre più eterogenei.
L'autrice di questo articolo: Noemi Capoccia
Originaria di Lecce, classe 1995, ha conseguito la laurea presso l'Accademia di Belle Arti di Carrara nel 2021. Le sue passioni sono l'arte antica e l'archeologia. Dal 2024 lavora in Finestre sull'Arte.