Prato, Intesa Sanpaolo apre Palazzo Alberti: si possono vedere i tesori di CariPrato


Dal 25 marzo Intesa Sanpaolo apre la Galleria di Palazzo degli Alberti a Prato: il pubblico potrà così vedere i tesori della collezione che fu un tempio della Cassa di Risparmio di Prato. Opere di Caravaggio, Filippo Lippi, Giovanni Bellini e molti altri.

A partire dal 25 marzo, Intesa Sanpaolo apre a Prato la Galleria di Palazzo degli Alberti, che il gruppo ha fortemente voluto per consentire al pubblico la visione di un importante nucleo di 90 opere della collezione appartenuta alla Cassa di Risparmio di Prato, oggi proprietà di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. in L.C.A. L’iniziativa, realizzata dal Progetto Cultura della Banca, si inserisce nelle attività ESG del Gruppo volte a contribuire alla crescita culturale del Paese e allo sviluppo economico e sociale dei territori.

Dopo circa tre anni di lavori di ristrutturazione dell’area del Palazzo degli Alberti riservata alla Galleria, portati a termine nonostante la pandemia, Intesa Sanpaolo mantiene così l’impegno preso nel 2018 di offrire ospitalità e tutela al prestigioso nucleo di opere d’arte, tra dipinti e sculture, che fanno parte del patrimonio culturale ed artistico legato a Prato e alla sua storia. Il cantiere di adeguamento del palazzo a sede espositiva ha visto l’apertura di un accesso dedicato, la compartimentazione, climatizzazione e securizzazione degli ambienti destinati a sede museale, oltre alla realizzazione di un deposito per le opere d’arte non esposte. Grazie al dialogo con Banca Popolare di Vicenza S.p.A. in L.C.A., il Comune di Prato e la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Firenze e per le Province di Pistoia e Prato, è stato possibile consentire la riapertura a beneficio della collettività, in linea con i principi di Progetto Cultura di Intesa Sanpaolo. Centrale l’obiettivo della tutela del patrimonio artistico: oltre al progetto architettonico – in accordo con Banca Popolare di Vicenza S.p.A. in L.C.A. e con la Soprintendenza – sono stati realizzati importanti interventi di conservazione sulle opere.

La Galleria di Palazzo degli Alberti inaugura con un allestimento che si pone in continuità con il precedente con spazi maggiori e più funzionali al percorso di visita. La collezione consiste in 142 opere, 90 in esposizione e le restanti in deposito, tra cui beni di particolare pregio come i capolavori di Giovanni Bellini, Filippo Lippi, la celeberrima Incoronazione di spine attribuita a Caravaggio oltre a opere di Puccio di Simone, Bronzino, Santi di Tito, Poppi, numerose e prestigiose opere del Seicento fiorentino e un cospicuo numero di sculture di Lorenzo Bartolini, artista di Prato attivo nella prima metà dell’Ottocento. La visita è a ingresso gratuito per tutti i visitatori con apertura nei giorni di sabato e domenica, con orario 10:30-19:00 (ultimo ingresso un’ora prima). La prenotazione del biglietto per la visita accompagnata è consigliata, collegandosi al sito www.gallerieditalia.com o scrivendo all’indirizzo mail galleriaprato@civita.art.

L'allestimento della Galleria di Palazzo Alberti. Foto A. Quattrone
L’allestimento della Galleria di Palazzo Alberti. Foto A. Quattrone
L'allestimento della Galleria di Palazzo Alberti. Foto A. Quattrone
L’allestimento della Galleria di Palazzo Alberti. Foto A. Quattrone
L'allestimento della Galleria di Palazzo Alberti. Foto A. Quattrone
L’allestimento della Galleria di Palazzo Alberti. Foto A. Quattrone
L'allestimento della Galleria di Palazzo Alberti. Foto A. Quattrone
L’allestimento della Galleria di Palazzo Alberti. Foto A. Quattrone
L'allestimento della Galleria di Palazzo Alberti. Foto A. Quattrone
L’allestimento della Galleria di Palazzo Alberti. Foto A. Quattrone

Il percorso espositivo

Il percorso espositivo, curato da Lia Brunori, funzionaria della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per Firenze, Pistoia e Prato, apre con due tabernacoli affrescati di inizio Quattrocento che focalizzano il rapporto con la città e i suoi santi protettori, per poi arrivare all’opera di Filippo Lippi che incarna il culmine artistico di una produzione pittorica che già dal Medioevo mostrava episodi di rilevanza nel territorio. Di Lippi è esposta la piccola tavola che, probabile frammento di una poco più grande composizione destinata alla devozione privata, già contiene, intorno alla metà degli anni Trenta del Quattrocento, le linee di sviluppo alla base della sua arte. A dispetto delle piccole proporzioni, la monumentalità dell’assorta Madonna denuncia la lezione di Masaccio, così come la robusta figura del piccolo Gesù, la cui gestualità vigorosa ed affettiva ricorda gli esiti di Donatello, mentre l’inquadratura architettonica evoca la spazialità brunelleschiana.

La Galleria prosegue seguendo l’ordine cronologico, evidenziando di volta in volta specifiche manifestazioni artistiche. Si prosegue con il capolavoro di Bellini, il Cristo Crocifisso in un cimitero ebraico: il quadro, capolavoro assoluto e apice del percorso stilistico di Giovanni Bellini, fu conservato già dal XVII secolo nel palazzo Niccolini da Camugliano di Firenze, ricordando l’importanza della circolazione in Toscana di capolavori della pittura veneta che influenzarono la cultura artistica locale. Attribuito concordemente a Giovanni Bellini, la critica si divide, però, sulla sua datazione, che oscilla dagli anni 1480-1485, in sintonia con la tavola di San Francesco della Frick Collection di New York fino al 1501-1502, in virtù della discussa datazione riportata su una delle lapidi ebraiche e in assonanza stilistica con la coeva Trasfigurazione di Napoli. L’opera, per la sua ambientazione, costituisce un unicum iconografico; secondo una narrazione puntualmente ripresa dai vangeli, la croce si colloca all’interno del cimitero ebraico, occupando totalmente il centro della composizione che si articola su almeno tre piani distinti, recependo una impostazione nordica che Bellini arricchisce di elementi nuovi e originali. Il primo piano presenta una serie di lapidi con iscrizioni in ebraico disposte in un giardino brullo e roccioso che, invece, al di là della croce, si dispiega nelle forme di un prato ricco di vegetazione, evocando il rifiorire della vita attraverso il sacrificio di Cristo. Puntuale e curata la resa delle numerose specie botaniche, tutte identificabili e riconducibili a un complesso sistema simbolico. Sul secondo piano si collocano un gruppo di case, un corso d’acqua che alimenta un mulino e una strada che dal primo piano si dipana fino al piano di fondo dove si arrocca la città. Una città composita, al tempo stesso reale e ideale, in cui si stagliano alcuni edifici identificati nel duomo e nella Torre di Piazza di Vicenza, nel campanile di Santa Fosca a Venezia e nella cattedrale di Ancona.

Ulteriori focus sono edicati alla tradizione pittorica cinquecentesca e all’età della Controrifoma prima di arrivare a Caravaggio con l’Incoronazione di spine resa nota da Roberto Longhi come copia antica da una composizione di Caravaggio. La tela subì nel 1974 un restauro che la liberò da ampie ridipinture e le fece recuperare la leggibilità delle sue alte qualità artistiche, così che parte della critica la ricondusse alla diretta mano del grande pittore, come la campagna diagnostica condotta nel 2001 dall’Opificio delle Pietre Dure sembrerebbe aver ulteriormente confermato. Dipinta a Roma dopo le commissioni in San Luigi dei Francesi (1599-1600) e in Santa Maria del Popolo (1600-1601), e in prossimità della Deposizione Vaticana (1602-1604), è probabilmente da identificare con l’opera di analogo soggetto che il pittore documenta di aver eseguito entro il 1605 per il nobile Massimo Massimi e di cui una replica è conservata a Genova nella chiesa di San Bartolomeo della Certosa di Rivarolo. Il legame con la nobiltà romana, colta e legata alla spiritualità pauperistica di San Filippo Neri, è alla base non solo di quest’opera ma di tutta la produzione contemporanea di Caravaggio, che trovò nei Del Monte, Massimi e Giustiniani committenti sensibili alla poetica della realtà e degli ultimi. Proprio nella collezione dei Giustiniani, che annoverava una quindicina di sue opere, si conta anche l’Incoronazione di spine ora conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna che, pur più complessa nell’impostazione, mostra la stessa temperie artistica e spirituale che rese questo pittore, geniale e maledetto, tanto inviso agli ambienti accademici.

Una sezione è dedicata al Seicento fra sacro e profano: importante è infatti il nucleo delle opere secentesche che, muovendo dall’Incoronazione di spine di Caravaggio, dipana un racconto per immagini delle molteplici sfaccettature che assunse la pittura, prevalentemente fiorentina, del XVII secolo. La lungimirante scelta di opere realizzata negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso da Giuseppe Marchini, profondo conoscitore dell’arte seicentesca e della cultura pratese, permette di apprezzare opere di squisita fattura dei principali artisti dell’epoca, apprezzarne collegamenti e differenze, scoprire percorsi e riconoscere modelli. Attraverso un gioco di rimandi e suggestioni, scopriremo con un colpo d’occhio l’impetuosa naturalezza di Anastagio Fontebuoni in dialogo con Caravaggio, cui guarda anche l’opera di Bartolomeo Salvestrini, e poi la cristallina e intensa verità di Lorenzo Lippi, la sontuosa pittura di storia di Matteo Rosselli, la raffinatezza di Giovanni Bilivert, il colore caldo e sfumato di Jacopo Vignali e l’ispirazione classica di Cesare Dandini. E ancora la sensuale dolcezza di Francesco Furini, la specchiata spiritualità di Carlo Dolci, la ritrattistica nobile di Suttermans, le esperienze eccentriche di Rosi o Mehus e la qualità altissima di tutte le opere, come testimonia la straordinaria Maddalena di Martinelli. Opere sacre ma soprattutto profane, un campionario incredibile di soggetti e fonti letterarie, tutti lavori da godere nei loro singoli valori, senza pretese di individuarne percorsi storici, poichè l’ambiente fiorentino del Seicento, che fu di costante riferimento per la periferia e in particolare per Prato che in chiese, palazzi e musei annovera opere di questi stessi artisti, come ricorda Marchini, “non si creò un suo linguaggio coerente e uniforme nel senso stretto di scuola, ma con estremo individualismo si dette ad esperienze disparate, ecletticamente aperto ad apporti esterni favoriti dalla politica personalistica dei principi medicei che invitarono in ogni tempo artisti di passaggio e furono partecipi degli indirizzi vari della cultura del tempo”.

La conclusione è affidata al nucleo di opere del grande Lorenzo Bartolini: figura centrale nel panorama della scultura ottocentesca, Lorenzo Bartolini diventò un modello di riferimento del suo tempo per l’innovativo equilibrio di naturalezza, perfezione formale ed espressione di valori morali che profuse nelle sue opere. Nato in provincia di Prato, a Savignano in Val di Bisenzio il 7 gennaio 1777 da una modesta famiglia, si trasferì presto a Firenze e, sebbene la sua vicenda biografica e artistica fu condotta fuori da Prato, la città ha coltivato nel tempo il ricordo dell’importante concittadino. Infatti, accanto al nucleo di opere esposte nel Museo di Palazzo Pretorio, la presente rilevante raccolta testimonia con lavori di indubbia qualità, le tappe salienti della produzione di Bartolini nella sua città di origine. I busti di Elisa Baciocchi e Maria Luisa d’Austria, rispettivamente sorella e moglie di Napoleone Bonaparte, ricordano la prolifica attività dell’artista al ritorno da Parigi, ai tempi della sua direzione della scuola di scultura dell’Accademia di Carrara e della cosiddetta Banca Elisiana (1807-1814), deputata alla realizzazione di ritratti dei napoleonidi, dei quali Bartolini era un fervente sostenitore. Allo stesso clima culturale appartiene anche il busto di Paride che, come copia da Canova, testimonia il dialogo artistico col grande maestro di Possagno. Tornato a Firenze nel 1814, nonostante l’avversione dei circoli accademici, Bartolini condusse una prestigiosa bottega frequentata da aristocratici committenti di respiro internazionale e realizzò intense e affascinanti sculture, delle quali la Fiducia in Dio è un’esemplare testimonianza. Replica in più piccolo formato della celebre commissione di Rosina Trivulzio Poldi Pezzoli, l’opera, assieme al marmo con la Ninfa dello scorpione, anch’essa versione ridotta dell’importante scultura ora al Louvre, permette di comprendere le metodiche di realizzazione dei lavori bartoliniani che, pur rispondendo alle richieste del mercato artistico, mantengono intatte la loro qualità. Il Modello del monumento a Leopoldo II di Lorena, mai realizzato, alterna le tematiche celebrative pubbliche a quelle morali e domestiche con le quali si conclude la carriera di Bartolini (morto il 20 gennaio 1850), che lascia nel grande gruppo scultoreo di Maria Maddalena Pallavicini Barbi Senarega raffigurata nell’atto di proteggere la figlia dal morso di uno scoiattolo, la sua ultima incompiuta opera dedicata a Il Timore materno, visibile nell’atrio d’ingresso alla Galleria.

Puccio di Simone, Santa Lucia, santa Caterina e santa martire (1360 circa; tempera su tavola, 30 x 28 cm)
Puccio di Simone, Santa Lucia, santa Caterina e santa martire (1360 circa; tempera su tavola, 30 x 28 cm; Prato, Palazzo Alberti)
Filippo Lippi, Madonna col Bambino (1436 circa; tempera trasportata su tavola, 28,8 x 22,4 cm; Prato, Palazzo Alberti)
Filippo Lippi, Madonna col Bambino (1436 circa; tempera trasportata su tavola, 28,8 x 22,4 cm; Prato, Palazzo Alberti)
Giovanni Bellini, Cristo Crocifisso (1490-1502; olio su tavola, 81 x 49 cm; Prato, Palazzo Alberti)
Giovanni Bellini, Cristo Crocifisso (1490-1502; olio su tavola, 81 x 49 cm; Prato, Palazzo Alberti)
Caravaggio, Incoronazione di spine (1602-1603; olio su tela, 178 x 125 cm; Prato, Palazzo Alberti)
Caravaggio, Incoronazione di spine (1602-1603; olio su tela, 178 x 125 cm; Prato, Palazzo Alberti)
Lorenzo Bartolini, Ninfa dello scorpione (1844-1850; marmo, 53 x 71 x 42 cm; Prato, Palazzo Alberti)
Lorenzo Bartolini, Ninfa dello scorpione (1844-1850; marmo, 53 x 71 x 42 cm; Prato, Palazzo Alberti)

Le dichiarazioni

“Intesa Sanpaolo”, afferma Michele Coppola, Executive Director Arte, Cultura e Beni Storici Intesa Sanpaolo, “è lieta di avere contribuito alla riapertura della Galleria di Palazzo degli Alberti, un risultato importante raggiunto grazie al lavoro costantemente condiviso con Banca Popolare di Vicenza S.p.A. in L.C.A., la Soprintendenza competente e il Comune di Prato, in un clima di forte sinergia tra istituzioni pubbliche e realtà private. Uscendo dalle difficoltà imposte dalla pandemia, è un piacere tornare a vivere la bellezza di una preziosa collezione che appartiene intimamente all’identità e alla storia di questa città, a ulteriore conferma dell’attenzione della Banca per la valorizzazione dei patrimoni culturali dei territori di riferimento, in piena coerenza con l’impegno del nostro Progetto Cultura”.

“È con particolare orgoglio che oggi offriamo a Prato ed a coloro che la visitano la possibilità di accedere ad un nuovo ambiente espositivo ricco di opere, capolavori e di un’importante parte della storia di questa città”, sottolinea Luca Severini, Direttore Regionale Toscana e Umbria Intesa Sanpaolo. “Un patrimonio culturale che come Intesa Sanpaolo siamo particolarmente lieti di essere riusciti a valorizzare, rispettando l’impegno preso nel 2018 con meticolosa attenzione all’identità, alla cura e tutela del patrimonio, alle specificità che questo territorio esprime”.

“Il nuovo, preziosissimo, allestimento della Galleria di Palazzo degli Alberti”, commenta Matteo Biffoni, sindaco di Prato, “fa comprendere il legame inscindibile tra le opere e la città. Capolavori che raccontano una storia di arte e di emozioni: poterli restituire ai cittadini è una gioia ed una soddisfazione, resa possibile grazie alla volontà di Intesa Sanpaolo e grazie alla collaborazione fondamentale della Soprintendenza e del Comune di Prato e anche grazie a chi, come gli Amici dei Musei, ha creduto fermamente in questo legame”.

“Grazie all’impegno di Intesa Sanpaolo e alla disponibilità di Banca Popolare di Vicenza in L.C.A., che ha messo a disposizione le opere di sua proprietà”, aggiunge Andrea Pessina, Soprintendente Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e per le province di Pistoia e Prato, “viene restituita alla comunità di questo territorio la possibilità di ammirare una collezione importantissima. Credo che il significato simbolico dell’evento di oggi sia estremamente rilevante: questa inaugurazione sottolinea con forza la funzione pubblica riservata al patrimonio culturale, in attuazione di quanto sancito dall’art. 9 della Costituzione, ed è questo un traguardo che è stato raggiunto grazie alla collaborazione messa in atto tra le Istituzioni e alla sensibilità di Intesa Sanpaolo”.


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