Gli “spunti” di Luciano Borzone, tra Cesare Corte e Giovanni Battista Paggi


Luciano Borzone fu un artista estroso che seppe trarre spunti svariati: vediamo quelli tratti da Cesare Corte e Giovanni Battista Paggi

Un paio di settimane fa vi avevamo parlato di alcuni intensi dipinti di Luciano Borzone (1590 - 1645) che potete ammirare, fino al 28 febbraio 2016, alla mostra "Luciano Borzone. Pittore vivacissimo nella Genova di primo Seicento", la prima monografica dedicata all’artista genovese, allestita nelle sale di Palazzo Nicolosio Lomellino di Strada Nuova. Bene: ovviamente quei dipinti non sono l’unico motivo che ha reso valida e interessante la mostra, e dal momento che di Luciano Borzone poco si parla (ingiustamente, data la qualità delle sue opere), abbiamo pensato di dedicare un ulteriore approfondimento a questo importante artista del Seicento ligure. La mostra ha infatti contribuito a rendere ancor più chiare le influenze che il pittore ha ricevuto, specialmente nelle prime fasi della sua carriera (ovvero almeno fino alla fine degli anni Venti del Seicento).

Certo: non scopriamo oggi quali sono stati gli autori che hanno ispirato Luciano Borzone, dal momento che anche uno dei massimi biografi degli artisti liguri, Raffaele Soprani (1612 - 1672), ci dà conto di alcuni nomi. In particolare, è anche grazie a Soprani e alle sue Vite de’ pittori, scultori et architetti genovesi che sappiamo chi fu il primo maestro importante di Luciano Borzone, che fu iniziato allo studio delle lettere, ma che “senza appartarsi ponto dagli studi già cominciati, s’impegnava di consumar dissegnando qualche parte del giorno, dando in ciò tale speranza di felice riuscita, che mosse il Signor Alberico Cibo Principe di Massa ad accettarlo sotto la sua protettione, et introdurlo nella stanza di Cesare Corte, diligente immitatore della buona maniera de’ maestri più approvati”. Siamo attorno al 1606: Alberico I Cybo Malaspina, che governava il Principato di Massa e Carrara, ma che era genovese di nascita, dovette vedere all’opera nella città natale il giovane Borzone e consigliargli dunque le cure del già affermato Cesare Corte. Ciò almeno stando a quel che ci dice Soprani, ma non abbiamo ragione di dubitarne in quanto fonte da sempre considerata molto attendibile.

Cesare Corte (1550 - 1619) apparteneva a quella feconda generazione di artisti genovesi, nati attorno al 1550, che prendendo come principale punto di riferimento Luca Cambiaso avevano iniziato a dar forma a una solida scuola locale: erano artisti ben inseriti non soltanto negli ambienti importanti della loro città, ma anche all’interno delle relazioni internazionali. Sono ormai noti, in particolare, i rapporti che gli artisti genovesi intrattenevano con quelli toscani: rapporti già indagati (una delle ultime occasioni è stata l’interessante mostra che si tenne nel 2014 a Palazzo Spinola sulle opere dei pittori fiorentini presenti a Genova nel primo Cinquecento), anche se mai in modo particolarmente approfondito. L’arte di Cesare Corte, così come quella di pressoché tutti i suoi colleghi, ben soddisfaceva le esigenze della Controriforma: si trattava, cioè, di un’arte di facile lettura, confortante, vicina alla tradizione e non particolarmente innovativa. Tipico esempio di questa produzione e il Cristo alla colonna, presente alla monografica su Borzone, dove è evidente l’acceso contrasto tra la figura di Cristo, di una bellezza classica ed elegante, e pienamente illuminata, e quelle dei suoi aguzzini, che sono invece nascoste nella penombra e assumono espressioni grottesche. Proprio la figura di Cristo è quella più interessante nel dipinto: i tenui passaggi chiaroscurali e il luminismo morbido derivato dalla lezione dei pittori veneti (dal Veneto, infatti, proveniva la famiglia di Cesare Corte), che dà rilievo al personaggio e contribuisce a renderlo vivo, forniranno interessanti suggerimenti al giovane Luciano Borzone.

Cesare Corte, Cristo alla colonna
Cesare Corte, Cristo alla colonna (1600-1610 circa; olio su tela, 169 x 120 cm; collezione privata)


Cesare Corte in mostra
L’opera di Cesare Corte alla mostra su Luciano Borzone, vicino all’Apparizione dell’angelo a san Giuseppe di Gioacchino Assereto

È possibile ravvisare tali spunti in un’opera fondamentale dell’artista genovese, il Battesimo di Cristo di Palazzo Bianco a Genova, non presente alla mostra monografica, ma inserito nei percorsi collaterali. Si tratta di un’opera che Luciano Borzone eseguì entro il 1621: era destinata alla chiesa di Santo Spirito di Genova, e più precisamente alla cappella della famiglia Pinelli, una delle più in vista della città (la stessa cappella fu fatta edificare da Agostino, che fu doge della Repubblica tra il 1609 e il 1611). Si tratta di un’opera che suscitò anche l’approvazione di Orazio Gentileschi: Soprani ci dice che tra le tavole “degne di molta lode” di Luciano figura anche questo Battesimo, e queste opere “indussero Oratio Gentileschi a ricercar chi ne fosse l’autore, e visitarlo in sua casa per acquistarne l’amicizia, che fu tra di loro mentre vissero inseparabile”. Vediamo meglio il dipinto: sotto un suggestivo cielo nel quale vediamo le nuvole aprirsi, a mo’ di sipario, per far entrare in scena lo Spirito Santo e per inondare di luce divina la composizione, osserviamo un Cristo inginocchiato che riceve l’acqua da Giovanni Battista, che come tradizione vuole è vestito con la sua tunica di peli di cammello. L’impianto del dipinto è chiaramente d’impronta veronesiana: è possibile che le suggestioni venete siano arrivate a Borzone proprio grazie a Cesare Corte, ma probabilmente grazie anche allo studio diretto di un dipinto ascrivibile alla bottega del Tintoretto conservato nella chiesa della Nostra Signora degli Angeli a Voltri (dipinto tra l’altro restaurato l’anno scorso i cui risultati sono stati oggetto d’una pubblicazione dal titolo Restauri nella chiesa di Nostra Signora degli Angeli). Ma l’esempio del maestro è ravvisabile anche nei passaggi chiaroscurali, delicati come quelli di Cesare Corte: Borzone li utilizza per rimarcare ancora di più la sua arte molto più naturalistica.

Luciano Borzone, Battesimo di Cristo
Luciano Borzone, Battesimo di Cristo (1620-1621 circa; olio su tela, 252,5 x 163 cm; Genova, Museo di Palazzo Bianco)

L’utilizzo della luce per modellare i corpi era prerogativa di un altro pittore che fu punto di riferimento decisivo per Luciano Borzone: Giovanni Battista Paggi (1554 - 1627), pittore di nobili origini, presente alla mostra monografica su Luciano Borzone con un interessante dipinto avente per soggetto Venere e Amore nella fucina di Vulcano. Il dipinto, del 1624, è esemplificativo per mostrare la capacità, da parte di Paggi, di utilizzare la luce per dar forma alle figure, che in questo caso emergono da un fondo scuro palesandosi all’osservatore con pose ricercate, che mirano a creare una composizione particolarmente movimentata. Se ci facciamo caso, le teste di tutti i personaggi presenti nella scena sono disposte lungo una spirale che si conclude sul bordo inferiore della scena, con il piede di Cupido: questo dinamismo connota spesso le composizioni paggesche, e ritorna anche nelle opere di Borzone vicine all’esempio del più anziano pittore che, sappiamo ancora da Soprani, diventò amico di Borzone. Il confronto diretto, in questo caso, è con una particolarissima Susanna e i vecchioni databile alla fine degli anni Trenta: una giunonica Susanna (che, come fa notare Anna Manzitti nel catalogo della mostra, nelle sue forme generose ricorda molto da vicino le donne di Pieter Paul Rubens: com’è noto, il grande pittore olandese soggiornò a Genova) è insidiata, come da racconto biblico, dai due vecchi, e per sottrarsi esegue un brusco movimento con le braccia. La sinistra cerca di coprire il corpo, per quanto possibile, con un telo bianco, mentre la destra, portata con forza in avanti, cerca di sottrarsi a uno dei vecchioni: ritroveremo questa impostazione in un’altra Susanna e i vecchioni, tema che dunque ricorre nella pittura borzonesca. Il movimento, che rimanda alle soluzioni di Giovanni Battista Paggi (il braccio sembra quasi lo stesso della Venere di cui s’è parlato sopra), accentua la tensione del momento, già piuttosto elevata (sebbene non esasperata e priva di eccessi) grazie all’efficace resa delle espressioni dei personaggi. Inoltre Borzone cerca, come Paggi, di modellare le proprie figure grazie al sapiente uso della luce, una luce che sa essere delicata e al contempo sufficientemente forte per far risaltare i volumi dei protagonisti.

Giovanni Battista Paggi, Venere e Amore nella fucina di Vulcano
Giovanni Battista Paggi, Venere e Amore nella fucina di Vulcano (1624 circa; olio su tela, 165 x 127 cm; collezione privata)


Luciano Borzone, Susanna e i vecchioni
Luciano Borzone, Susanna e i vecchioni (1635-1639 circa; olio su tela, 136 x 110 cm; collezione privata)


Difficile dar conto in breve di tutte queste suggestioni, qui riassunte, per forza di cose, in uno spazio piuttosto striminzito: uno dei migliori modi per rendersi conto di quanto fosse vitale la Genova d’inizio Seicento (e, perciò, di quanto fascino esercitasse questo ambiente così culturalmente e artisticamente vivace sul giovane Luciano Borzone) consiste nel recarsi nel capoluogo ligure e, ovviamente, nel visitare la significativa mostra su Luciano Borzone, che possiamo senza dubbio annoverare tra gli appuntamenti di maggior interesse del 2016.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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