Pieter Paul Rubens a Genova: quattro opere da vedere


Il grande Pieter Paul Rubens soggiornò a più riprese a Genova: vi proponiamo un piccolo itinerario per farvi scoprire quattro sue opere nel capoluogo ligure.

Atmosfere allegre e conviviali, ricchezza di colori, donne floride: tutti abbiamo presenti, più o meno, i sontuosi dipinti di Pieter Paul Rubens (1577 - 1640) che fu, probabilmente, il maggior esponente europeo del barocco in pittura. Non tutti però sanno che Rubens soggiornò a più riprese a Genova: fu nel capoluogo ligure una prima volta nel febbraio del 1604, sulla via di ritorno dalla Spagna a Mantova, città dove lavorava all’epoca per i Gonzaga, quindi tornò nel 1605 sostando durante un viaggio verso Roma, e ancora vi fece ritorno nell’estate del 1607, quando soggiornò presso la villa del nobile Giovanni Battista Grimaldi a Sampierdarena, assieme al duca di Mantova, Vincenzo I Gonzaga. Durante quest’ultima permanenza, motivata dal fatto che il duca voleva beneficiare dell’aria estiva del mare (oltre che... dei bagni nelle acque del mar Ligure), Rubens ebbe anche l’occasione di studiare da vicino i più bei palazzi della città, tanto da arrivare, nel 1622, a pubblicare un libro, I Palazzi di Genova, per far conoscere anche nelle sue Fiandre la magnificenza degli edifici genovesi.

Ovviamente, durante i suoi soggiorni, Rubens ebbe modo di realizzare anche diversi dipinti per la nobiltà genovese, e alcune di queste opere si trovano ancora in città. Abbiamo selezionato dunque quattro dipinti di Rubens, conservati in luoghi aperti al pubblico, che si possono ancora ammirare a Genova, per un piccolo itinerario rubensiano nel cuore di una delle città più belle del mondo.

1. Circoncisione (Chiesa del Gesù)
La Pala della Circoncisione è probabilmente la prima opera eseguita da Rubens a Genova: gli fu commissionata nel 1604 da Marcello Pallavicino, religioso appartenente all’ordine dei Gesuiti ed esponente di una delle famiglie più in vista della città, proprio per la Chiesa del Gesù di Genova (conosciuta anche come chiesa dei santi Ambrogio e Andrea), che si trova a fianco di Palazzo Ducale. Un turbinio di angeli nella parte alta del dipinto apre il cielo onde far uscire la luce divina che illumina il corpo di Gesù Bambino, che sta subendo il rito della circoncisione: è un momento importante della vita di Cristo, perché si tratta del primo sangue da lui versato, e quindi allude alle sue sofferenze sulla croce. Da notare la figura della Madonna, che si volta dalla parte opposta per non assistere alla scena, probabilmente perché impressionata. Il tutto mentre alcuni personaggi sembrano essere fortemente attratti dalla presenza degli angeli nel cielo. I colori del dipinto sono già quelli caldi tipici dell’arte di Rubens (e da notare come sia il colore a formare le figure, in accordo con i dettami della pittura veneta: Rubens studiò a lungo l’arte di Tiziano), mentre il movimento vorticoso sembrerebbe rimandare a soluzioni del Tintoretto, pittore che Rubens conosceva molto bene. La Circoncisione è un’opera di importanza capitale perché è considerata il dipinto che dà il via al barocco a Genova: nuovo è il movimento impetuoso che coinvolge emotivamente gli osservatori, nuova è la luce molto forte che colpisce i personaggi, e nuovo è l’utilizzo dello scorcio dal basso non tanto per fini illusionistici, quanto per rendere più drammatica l’apparizione degli angeli.

Pieter Paul Rubens, Circoncisione (1604; Genova, Chiesa del Gesù)
Pieter Paul Rubens, Circoncisione (1604; Genova, Chiesa del Gesù)

2. Miracoli di sant’Ignazio (Chiesa del Gesù)
Si trova sempre nella Chiesa del Gesù e per l’esattezza nella cappella di Sant’Ignazio, le cui decorazioni furono volute da Niccolò Pallavicino, fratello del Marcello di cui s’è detto a proposito del dipinto precedente, e delle quali lo stesso Marcello dovette occuparsi. Quest’ultimo, a seguito della scomparsa di Niccolò, avvenuta nel 1619, decise di eseguire le volontà testamentarie del fratello e incaricò Rubens di realizzare, per la cappella, i Miracoli di sant’Ignazio, che il pittore dipinse ad Anversa e spedì a Genova presumibilmente nel 1620. Per dipingere questa composizione che ha per protagonista il fondatore dell’ordine dei Gesuiti, sant’Ignazio di Loyola, Rubens si basò su una biografia, la Vitae Ignatii Loyolae SOcietatis Jesus fundatoris, scritta dal gesuita Pedro de Ribadeneyra, che fu pubblicata una prima volta nel 1572 e poi stampata anche ad Anversa nel 1587. Sant’Ignazio è al centro, in atteggiamento mistico, con le braccia spalancate a chiedere l’intercessione del Signore. È accompagnato da alcuni membri del suo ordine e davanti a lui ha una serie di figure che fanno riferimento ai suoi miracoli. Sulla sinitra, una donna si divincola mentre alcuni uomini tentano di tenerla a bada: allude al miracolo della liberazione dell’ossessa. A destra, abbiamo un uomo e una donna malati, che rimandano a guarigioni miracolose operate dal santo, mentre al centro la donna con i bambini fa riferimento alla capacità di sant’Ignazio di educare anche bambini particolarmente restii e difficili.

Pieter Paul Rubens, Miracoli di Sant'Ignazio di Loyola (1619-1620; Genova, Chiesa del Gesù)
Pieter Paul Rubens, Miracoli di Sant’Ignazio di Loyola (1619-1620; Genova, Chiesa del Gesù)

3. Ritratto equestre di Giovanni Carlo Doria (Galleria Nazionale di Palazzo Spinola)
È forse uno dei ritratti più noti di Rubens, nonché uno dei pezzi di maggior pregio della Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, dove l’opera arrivò nel 1988 in seguito a diverse vicissitudini. La famiglia Doria commissionò questo ritratto a Rubens nel 1606 per celebrare il conferimento dell’Ordine di San Giacomo, da parte del re Filippo III di Spagna, a Giovanni Carlo: il dipinto rimase dunque di proprietà della famiglia fino al 1838, quando passò al ramo napoletano del casato. Nel 1940 fu acquistato da una collezionista privata che nel 1941, per ordine di Mussolini, dovette cederlo a Hitler, che lo destinò al Museo di Linz, in Austria. Nel 1948 l’opera fu restituita all’Italia: fu esposta dapprima a Palazzo Vecchio, quindi nel 1985 arrivò al Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli e infine, nel 1988, fece ritorno definitivo a Genova. Giovanni Carlo Doria, figlio del doge Agostino, è ritratto in sella a un bel cavallo bianco che si alza sulle zampe posteriori: il nobile è vestito con un elegante abito da parata e sulla corazzetta porta impresso il simbolo dell’Ordine di San Giacomo, una croce rossa, dello stesso colore della stola che porta legata al braccio. Da notare come Giovanni Carlo Doria tenga le redini del cavallo con appena due dita: è simbolo di fermezza. Dietro alle fronde della quercia, simbolo di forza, notiamo un’aquila, che è il simbolo della famiglia Doria, mentre invece sotto al cavallo troviamo un cane, che rappresenta la fedeltà della famiglia nei confronti della corona spagnola. Il movimento impetuoso del cavallo, il dinamismo di diversi elementi come la sciarpa e le fronde degli alberi, e i raggi di luce che squarciano le minacciose nubi del cielo, ci dànno un’idea tangibile della poetica barocca di Rubens, votata a impressionare l’osservatore.

Pieter Paul Rubens, Ritratto equestre di Giovanni Carlo Doria (1606; Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola)
Pieter Paul Rubens, Ritratto equestre di Giovanni Carlo Doria (1606; Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola)

4. Venere e Marte (Palazzo Bianco)
Questo dipinto, in realtà, non fu realizzato per Genova, ma arrivò in Liguria successivamente. Alla scomparsa dell’artista, nel 1640, era ancora attestato ad Anversa: girò poi per diverse collezioni private e giunse a Genova, nella raccolta di Francesco De Mari, nel 1691, per poi passare nella collezione del doge Giovanni Francesco II Brignole Sale. Nel 1889, l’ultima erede dei Brignole Sale, Maria, duchessa di Galliera, donò una vasta porzione delle collezioni della famiglia al Comune di Genova: tra queste opere c’era anche Venere e Marte. Anticamente l’opera era nota come Lanzichenecco con amante, proprio perché il personaggio maschile al centro è ritratto in veste di lanzichenecco (nel 1987 è stato proposto, sulla base di raffronti con altri dipinti, di identificare l’uomo come un membro della famiglia Van den Wijngaerd di Anversa). Data però la presenza di alcuni elementi tipici dell’iconografia di Venere e Marte (primo tra tutti il Cupido che disarma Marte togliendogli la spada) è stata anche avanzata l’ipotesi secondo la quale i personaggi potrebbero sottintendere a un’allegoria mitologica. Il dio della guerra si lascia dunque sedurre dalla bellezza della sua amata (Venere) e dalla gioia di vivere fornita dal vino, che facilita l’amore e che è rappresentato dal dio Bacco, mentre sulla destra la spettrale figura di una Furia guarda con disprezzo la scena, in quanto sconfitta dall’amore. Si tratta di un’opera della maturità di Rubens, databile a un periodo compreso tra il 1632 e il 1635. Una curiosità: in passato ci furono storici dell’arte che pensavano che i due personaggi principali fossero lo stesso Rubens e la moglie Hélène Fourment.

Pieter Paul Rubens, Venere e Marte (1632-1635; Genova, Palazzo Bianco)
Pieter Paul Rubens, Venere e Marte (1632-1635; Genova, Palazzo Bianco)


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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