Kandinsky e l'Italia: tutta la storia di un dialogo


Esiste un profondo legame tra Kandinsky e gli artisti italiani, cominciato con la storica personale del 1934 alla Galleria Il Milione fino alle avanguardie del dopoguerra e all’eredità raccolta da Fontana, Dorazio e Vedova. Una mostra al MA*GA di Gallarate lo indaga.

Il rapporto tra Vasilij Kandinskij (Mosca, 1866 – Neuilly-sur-Seine, 1944) e l’Italia è una vicenda complessa, fatta di incontri mancati, di ammirazione a distanza e di feconde rielaborazioni che in qualche modo hanno segnato la storia dell’arte del Novecento nel nostro paese. A questa relazione, spesso definita fertile ma tutt’altro che pacifica, il Museo MA*GA di Gallarate ha dedicato la mostra Kandinsky e l’Italia (dal 30 novembre 2025 al 12 aprile 2026, a cura di Elisabetta Barisoni ed Emma Zanella), organizzata in collaborazione con la Fondazione Musei Civici di Venezia. Il grande artista russo, com’è noto, ha ricoperto un ruolo cruciale nel rinnovamento dei linguaggi visivi, e la sua lezione sia stata recepita, talvolta contestata e infine assimilata, da generazioni di artisti italiani, da quelli attivi negli anni Trenta fino ai protagonisti del secondo dopoguerra.

Per comprendere la portata di questo dialogo è necessario risalire al 1934, anno che segna uno spartiacque fondamentale per la cultura artistica italiana del primo Novecento. In quella primavera, la Galleria Il Milione di Milano, diretta dai fratelli Ghiringhelli, inaugurò la prima mostra personale di Kandinsky in Italia. L’evento fu reso possibile grazie alla mediazione dell’architetto razionalista Alberto Sartoris, il quale intratteneva da tempo un rapporto epistolare con l’artista e che si era speso in prima persona per promuovere la sua opera nel contesto italiano. Kandinsky, che all’epoca viveva a Parigi dopo la chiusura forzata del Bauhaus e l’ascesa del nazismo in Germania, inviò a Milano quarantacinque acquerelli, trenta disegni realizzati tra il 1922 e il 1933, e la serie completa delle incisioni intitolata Piccoli Mondi. La scelta di non esporre dipinti a olio fu dettata da ragioni logistiche ed economiche, ma ciò non diminuì l’importanza storica dell’evento, che offrì al pubblico italiano l’opportunità di confrontarsi direttamente con le teorie e la pratica del padre dell’Astrattismo.

La mostra del 1934 non fu solo un’esposizione, ma una sorta di manifesto culturale che s’impose all’attenzione degli ambienti artistici milanesi (e italiani tutti) e suscitò dibattiti accesi. Intorno alla Galleria Il Milione gravitava infatti un gruppo di giovani artisti e intellettuali decisi a colmare il ritardo dell’arte italiana rispetto alle avanguardie europee. Figure come Lucio Fontana, Osvaldo Licini, Fausto Melotti, Atanasio Soldati e Luigi Veronesi trovarono nelle opere di Kandinsky una conferma alle loro ricerche e uno stimolo per affrancarsi definitivamente dalla tradizione figurativa dominante e dal naturalismo. Tuttavia, la ricezione non fu priva di equivoci. Se da un lato l’opera di Kandinsky veniva ammirata per la sua libertà formale, dall’altro la sua insistenza sulla dimensione spirituale e mistica dell’arte si scontrava con le aspirazioni di ordine, chiarezza e razionalità che caratterizzavano molta parte dell’Astrattismo italiano di quegli anni. Un ruolo centrale in questo dibattito fu giocato da Carlo Belli (Rovereto, 1903 – Roma, 1991) teorico e critico d’arte, il cui celebre saggio Kn, pubblicato nel 1935, fu definito dallo stesso Kandinsky come il “vangelo dell’arte detta astratta”. Belli sosteneva l’assoluta autonomia dell’arte dalla realtà, affermando che l’arte non deve rappresentare nulla al di fuori di sé stessa. Tuttavia, tra le posizioni di Belli e quelle del maestro russo esistevano divergenze sostanziali. Mentre Belli attribuiva a Kandinsky una tendenza al simbolismo, l’artista respinse gentilmente ma fermamente tale interpretazione, chiarendo di non aver mai inteso fare pittura simbolista, ma di operare esclusivamente con forme e colori senza voler narrare storie. Nonostante queste incomprensioni teoriche, Belli ebbe il merito indiscusso di riconoscere come la pittura di Kandinsky fosse totalmente libera dal peso dell’oggetto e del naturalismo, vivendo di uno spirito autonomo e di un equilibrio perfetto.

L’influenza di Kandinsky fu particolarmente sentita nel contesto dell’Astrattismo comasco, dove artisti come Manlio Rho, Mario Radice e Carla Badiali svilupparono un linguaggio che, pur guardando all’Europa, mantenne una forte specificità. Questi artisti, spesso provenienti dal mondo della produzione industriale e del design tessile, declinarono la lezione dell’astrazione in senso pragmatico e costruttivo, dialogando strettamente con l’architettura razionalista di Giuseppe Terragni. Manlio Rho (Como, 1901 – 1957), ad esempio, trovò nei libri del Bauhaus e negli scritti di Kandinsky una fonte di ispirazione per integrare le esigenze formali dell’arte con quelle produttive, perseguendo un ideale di unità delle arti. Nelle sue opere, l’astrazione si costruisce attraverso la sovrapposizione di piani e forme geometriche, in un equilibrio dinamico che esclude ogni riferimento realistico. Anche Mario Radice (Como, 1898 – Milano, 1987), che collaborò con Terragni alla decorazione della Casa del Fascio di Como, sperimentò un linguaggio fatto di equilibri e possibilità compositive aperte, lontano dal mero decorativismo.

Mentre a Como si consolidava un astrattismo rigoroso e legato all’architettura, a Milano artisti come Lucio Fontana (Rosario, 1899 – Comabbio, 1968) e Fausto Melotti (Rovereto, 1901 – Milano, 1986) esploravano strade diverse, concentrandosi sulla scultura e sull’uso di materiali innovativi o poveri come il cemento, il ferro e il gesso. Le sculture astratte di Fontana del 1934, realizzate in filo di ferro o cemento colorato, rompevano con la tradizione statica e monumentale, disegnando letteralmente nello spazio e anticipando le ricerche spazialiste del dopoguerra. Bruno Munari (Milano, 1907 – 1998), con le sue “Macchine inutili”, introduceva l’elemento del movimento e della leggerezza, liberando le forme astratte dalla staticità del dipinto e ponendole in relazione con l’ambiente circostante. Osvaldo Licini (Monte Vidon Corrado, 1898 – 1954), figura atipica e solitaria, mescolava l’interesse per l’astrazione con una vena lirica e visionaria, rifiutando le certezze del razionalismo milanese per elogiare il dubbio e la fantasia.

Il dialogo tra Kandinsky e l’Italia subì una battuta d’arresto con lo scoppio della seconda guerra mondiale, ma riprese con vigore nel dopoguerra, quando l’esigenza di un rinnovamento culturale e morale spinse le nuove generazioni di artisti a guardare nuovamente ai maestri dell’avanguardia europea. La Biennale di Venezia del 1948 segnò un momento importante con l’esposizione di tre dipinti di Kandinsky provenienti dalla collezione di Peggy Guggenheim. Ma fu l’edizione del 1950, curata da Carlo Ludovico Ragghianti, a consacrare definitivamente l’artista russo con una grande retrospettiva che presentava al pubblico italiano l’evoluzione del suo stile, dalle prime opere figurative alle mature composizioni astratte. In quell’occasione, il Comune di Venezia acquistò l’opera Zig zag bianchi del 1922 per la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, un atto che sancì l’ingresso ufficiale dell’Astrattismo internazionale nelle collezioni pubbliche italiane.

Allestimenti della mostra Kandinsky e l'Italia. Foto: Museo MA*GA
Allestimenti della mostra Kandinsky e l’Italia. Foto: Museo MA*GA

Nel clima di ricostruzione postbellica, gruppi come Forma 1 a Roma e il MAC (Movimento Arte Concreta) a Milano trovarono negli scritti e nell’opera di Kandinsky un punto di riferimento imprescindibile. Per gli artisti del MAC, fondato nel 1948 da Gillo Dorfles, Bruno Munari, Atanasio Soldati e Gianni Monnet, i testi Dello spirituale nell’arte e Punto, linea, superficie offrirono una base metodologica per ripensare la pittura astratta come linguaggio universale. Tuttavia, la loro adesione non fu acritica: al misticismo di Kandinsky, il MAC contrapponeva un approccio più razionalista e progettuale, attento al dialogo con il design e l’architettura. Atanasio Soldati (Parma, 1896 – 1953), precursore dell’Astrattismo negli anni Trenta, rappresentò una figura di raccordo tra l’astrazione lirica di Kandinsky e la concretezza del nuovo movimento, introducendo nelle sue geometrie un dinamismo che richiamava le teorie del maestro russo.

A Roma, il gruppo Forma 1, composto tra gli altri da Piero Dorazio, Carla Accardi, Achille Perilli e Giulio Turcato, si pose in netta contrapposizione con il realismo socialista, rivendicando l’autonomia della forma e del colore. Per Piero Dorazio, Kandinsky fu il “creatore del XX secolo”, colui che aveva salvato i giovani pittori dall’influenza soffocante di Picasso e dalla retorica nazional-popolare. Dorazio vedeva in Kandinsky non tanto il profeta di una dimensione mistica, quanto il fondatore di un linguaggio pittorico moderno basato sull’autonomia dei mezzi espressivi. La rivista Forma 2, pubblicata nel 1950 e interamente dedicata a Kandinsky, rappresentò un omaggio ma anche un manifesto critico, riconoscendo nel maestro russo l’origine di una genealogia astratta da rinnovare e proiettare nel futuro.

Wassily Kandinsky, Kleine Welten I (Piccoli mondi) (1922; litografia a colori; Venezia, Ca' Pesaro- Galleria Internazionale d'arte Moderna, donazione Paul Prast, 2020)
Wassily Kandinsky, Kleine Welten I (Piccoli mondi) (1922; litografia a colori; Venezia, Ca’ Pesaro- Galleria Internazionale d’arte Moderna, donazione Paul Prast, 2020)
Wassily Kandinsky, Zig zag bianchi (1922; olio su tela, 92 x 125 cm, inv.1686; Venezia, Ca’ Pesaro - Galleria Internazionale d’arte Moderna, acquisto alla Biennale, 1950)
Wassily Kandinsky, Zig zag bianchi (1922; olio su tela, 92 x 125 cm; Venezia, Ca’ Pesaro - Galleria Internazionale d’arte Moderna, inv.1686, acquisto alla Biennale, 1950)

Negli anni Cinquanta, l’eredità di Kandinsky fu rielaborata anche da artisti che operavano al di fuori di gruppi organizzati, come Osvaldo Licini e Lucio Fontana. Licini, nella sua ultima stagione creativa, sviluppò un linguaggio popolato da simboli cosmici e personaggi fantastici, come le Amalassunte e gli Angeli ribelli, che trasformavano profondamente gli spunti kandinskiani in una visione personale e poetica. Fontana, pur dialogando idealmente con il desiderio di Kandinsky di andare oltre la superficie delle cose, superò la dimensione pittorica con i suoi Concetti spaziali, forando e tagliando la tela per trasformarla in una soglia concreta verso l’infinito.

Anche nell’ambito dell’Informale, la lezione di Kandinsky continuò a risuonare. Artisti come Emilio Vedova, Tancredi Parmeggiani ed Ennio Morlotti trasformarono l’eredità spirituale del maestro in gesto, segno e materia. Vedova, nelle sue Geometrie nere e nei successivi cicli pittorici, sviluppò una pittura gestuale e materica che, pur superando la geometria controllata, manteneva una tensione drammatica e compositiva debitrice delle avanguardie storiche. Tancredi, con il suo puntinismo brulicante e le sue visioni liriche, omaggiò esplicitamente Kandinsky in opere che riflettevano una dimensione musicale e luminosa del colore.

Un aspetto fondamentale emerso dagli studi presentati in occasione della mostra di Gallarate riguarda la specificità dell’Astrattismo italiano, che non si limitò a imitare i modelli stranieri ma seppe muoversi con autonomia critica. Gli artisti italiani lessero, osservarono e valutarono Kandinsky, Gropius e Mondrian, adattando le loro lezioni alla sensibilità e alle urgenze del contesto nazionale. Se l’Astrattismo comasco si distinse per una maggiore concretezza e solidità formale, quello milanese e romano esplorarono vie più sperimentali e teoriche, contribuendo a definire un linguaggio artistico della modernità originale e variegato.

La relazione tra Kandinsky e l’Italia non fu dunque un semplice processo di influenza a senso unico, ma un dialogo vivo e talvolta conflittuale. La diversità del maestro russo, testimone di una spiritualità e di una libertà formale radicali, rappresentò per l’Italia del ventennio fascista e del dopoguerra una sfida e un’opportunità di crescita. Kandinsky offrì agli artisti italiani un lessico e una genealogia, aprendo uno spazio di libertà creativa in cui diverse generazioni poterono riconoscersi, contraddirlo o superarlo.

Lucio Fontana, Concetto spaziale (1961; olio, squarcio e graffiti su tela; Gallarate, MA*GA, in comodato dalla Fondazione Passarè) © Fondazione Lucio Fontana, Milano
Lucio Fontana, Concetto spaziale (1961; olio, squarcio e graffiti su tela; Gallarate, MA*GA, in comodato dalla Fondazione Passarè) © Fondazione Lucio Fontana, Milano
Osvaldo Licini, Angeli missili + Luna (1956-57; olio e collage su carta intelaiata; Milano, Collezione privata) © OSVALDO LICINI, by SIAE
Osvaldo Licini, Angeli missili + Luna (1956-57; olio e collage su carta intelaiata; Milano, Collezione privata) © OSVALDO LICINI, by SIAE

Anche la grafica ebbe un ruolo rilevante in questa storia di scambi culturali. La serie di incisioni Piccoli Mondi (Kleine Welten), realizzata da Kandinsky al Bauhaus nel 1922 ed esposta integralmente a Gallarate, rappresenta una sintesi perfetta delle sue teorie sulla corrispondenza tra segno, colore e suono. Queste opere grafiche, che esplorano la dimensione interiore attraverso forme e colori, furono acquistate dalla Biblioteca d’Arte del Castello Sforzesco di Milano già nel 1934, a testimonianza di un interesse precoce da parte delle istituzioni milanesi.

Poi, negli anni del boom economico, l’arte astratta e concreta divenne parte integrante del panorama culturale italiano anche grazie al lavoro di critici e galleristi che continuarono a sostenere le ragioni della modernità, nella complessità di un periodo storico in cui l’arte si fece portatrice di istanze di rinnovamento e libertà, dimostrando come la lezione di Kandinsky, con la sua tensione verso l’invisibile e lo spirituale, abbia continuato a fecondare l’immaginario degli artisti ben oltre la sua scomparsa avvenuta nel 1944 a Neuilly-sur-Seine. Dal confronto tra le opere del maestro russo e quelle dei suoi interlocutori italiani emerge un affresco vivace di un’epoca in cui l’arte cercava di dare forma a un nuovo mondo, superando i limiti della rappresentazione tradizionale per esplorare le infinite possibilità dello spirito e della materia. Kandinsky, con la sua pittura che aspirava alla condizione della musica e alla purezza della forma, rimase per decenni un faro, un termine di paragone ineludibile per chiunque volesse intraprendere la via dell’astrazione, lasciando un segno indelebile nella cultura visiva italiana. Come scrisse Piero Dorazio nel 1966, Kandinsky fu colui che salvò i giovani pittori “dalla soffocante influenza di Picasso, dalla sua mitologia mediterranea che dà un’immagine illusoria di questo secolo e resta incollata alle Colonne d’Ercole del Rinascimento”.


La consultazione di questo articolo è e rimarrà sempre gratuita. Se ti è piaciuto o lo hai ritenuto interessante, iscriviti alla nostra newsletter gratuita!
Niente spam, una sola uscita la domenica, più eventuali extra, per aggiornarti su tutte le nostre novità!

La tua lettura settimanale su tutto il mondo dell'arte

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER


Commenta l'articolo che hai appena letto






Per inviare il commento devi accedere o registrarti.
Non preoccuparti, il tuo commento sarà salvato e ripristinato dopo l’accesso.



MAGAZINE
primo numero
NUMERO 1

SFOGLIA ONLINE

MAR-APR-MAG 2019
secondo numero
NUMERO 2

SFOGLIA ONLINE

GIU-LUG-AGO 2019
terzo numero
NUMERO 3

SFOGLIA ONLINE

SET-OTT-NOV 2019
quarto numero
NUMERO 4

SFOGLIA ONLINE

DIC-GEN-FEB 2019/2020
Finestre sull'Arte