Le ceramiche erotiche del Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia


Il Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia conserva un importante nucleo di ceramiche attiche a soggetto erotico: ecco quali sono i soggetti e i loro significati.

La sala delle ceramiche antiche del Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia è uno dei passaggi dell’itinerario di visita di Palazzo Vitelleschi in cui il pubblico si sofferma più a lungo, data la vastità e l’importanza della raccolta di vasi figurati qui conservati. Si tratta di materiale proveniente dagli scavi del territorio, confluito nelle raccolte che nel 1924 diedero vita all’attuale museo, frutto dell’unione di diverse collezioni (quella comunale, quella della famiglia Bruschi-Falgari, e altri nuclei privati). In questa collezione un ruolo di notevole rilevanza è rivestito dal nucleo di ceramiche attiche con soggetti erotici, che si caratterizza per una quantità e una varietà di soggetti che ha pochi altri eguali: la foltissima presenza di tombe e sepolcri etruschi attorno alla città di Tarquinia ha del resto permesso il rinvenimento di una grande abbondanza di ceramiche, dal momento che era uso tipico degli etruschi (Tarquinia era una delle città della Dodecapoli Etrusca, ovvero l’insieme delle dodici importanti città-Stato tra loro alleate) inserire questi oggetti nelle sepolture, circostanza che ha permesso di farci pervenire un altissimo numero di ceramiche attiche intatte. Le produzioni dell’Attica avevano infatti trovato in Etruria un mercato molto fiorente, dal momento che gli etruschi, in continuo contatto con i greci, avevano coltivato una forte predilezione per il vasellame prodotto in Grecia, che veniva adoperato per usi quotidiani, ma anche per la ritualità funebre (gli etruschi erano soliti deporre nelle tombe cibo, bevande e stoviglie, oggetti che quest’antica civiltà riteneva utili per il viaggio del defunto nell’aldilà). Questo gusto si era diffuso in particolare a Tarquinia, una delle città etrusche più ellenizzate.

I vasi con scene erotiche di Tarquinia si possono collocare in un periodo compreso tra l’inizio e la metà del V secolo a.C. (periodo che coincide con quello di massima fioritura della ceramica a sfondo erotico, che tenderà a scomparire verso gl’inizi del IV secolo a.C., per il fatto che quest’arte comincerà a prediligere altri soggetti, e quelli erotici si trasferiranno su altri mezzi espressivi), ed è interessante notare che le ceramiche del Museo Nazionale di Tarquinia si contraddistinguono per il fatto che le scene rappresentate sono quasi tutte esplicite. Secondo l’archeologo Otto Brendel, che ha dedicato un lungo studio all’arte erotica nel mondo greco-romano, l’interesse per il sesso da parte dei greci potrebbe essere spiegato su basi religiose: la loro religione, infatti, aveva più a che fare con la dimensione umana che con quella cosmica e tendeva dunque a essere orientata socialmente e moralmente, e le stesse divinità erano “prototipi non tanto delle forze naturali quanto più delle attitudini e delle azioni umane” (così Brendel).

Occorre poi un ulteriore distinguo, dal momento che nell’arte greca si può parlare di simbolismo sessuale da una parte e di rappresentazioni erotiche dall’altra: queste ultime potevano avere per protagonisti sia gli dèi dell’Olimpo, sia comuni mortali. E la proliferazione di scene di sesso anche tra persone comuni potrebbe essere spiegata con l’atteggiamento molto aperto che gli antichi greci avevano nei confronti del sesso, ma anche col fatto che l’arte greca arcaica agli albori del VI secolo a.C. (quando cioè iniziarono a diffondersi le scene erotiche) era particolarmente favorevole ad accogliere soggetti realistici e scene tratte dal quotidiano. Le scene erotiche nella ceramica attica del tempo, sottolinea Brendel, possono dunque essere considerate “scene di genere”: “fare l’amore fa parte della vita sociale delle persone”, spiega lo studioso, “e quindi gli artisti del tempo registravano i vari modi di farlo attraverso un atteggiamento entusiasta e acuto, con un gusto che spesso si dimostra empatico ma senza tracce di sentimentalismi [...]. Le rappresentazioni erotiche, come qualunque altra immagine di genere, descrivono persone, le loro azioni e le situazioni in cui agiscono, tutto riportato fedelmente”.

Il Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia
Il Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia. Foto Comune di Tarquinia
Ceramiche al Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia
Ceramiche al Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia. Foto Comune di Tarquinia
Ceramiche al Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia
Ceramiche al Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia. Foto Comune di Tarquinia

Le ceramiche di Tarquinia mostrano scene omoerotiche (tra uomini e tra donne), oltre che scene di amore eterosessuale. Un’immagine piuttosto usuale è quella attribuita al Pittore della Gabbia e raffigurata su di una kylix, ovvero una coppa per vino: vediamo due amanti, uno con la barba e l’altro più giovane e sbarbato, che si scambiano effusioni, con quello più anziano che avvicina le mani verso l’organo sessuale dell’amico, e quello giovane che tiene tra le mani un leprotto. È una tipica scena di pederastia, usanza sociale della Grecia del tempo: la si può considerare come una sorta di iniziazione sessuale di un giovane, e dunque ritenuta importante per la formazione sentimentale ma anche sociale e culturale. I ruoli erano ben codificati: da una parte l’erómenos, ovvero un giovane amato e passivo in età adolescenziale, dall’altra un erastés, uomo amante e attivo, che durante il corteggiamento era solito offrire doni in natura all’erómenos, in questo caso il leprotto, presenza costante in scene di questo tipo (“più che assumere una funzione attributiva per l’efebo”, ha spiegato lo studioso Mario Cesarano, “ne costituisce in termini di linguaggio iconografico un vero e proprio sinonimo: preda per eccellenza nell’immaginario comune, diventa trasfigurazione dell’efebo, oggetto della caccia amorosa”). Scene di corteggiamento sono anche quelle che si vedono nel cratere (un grande vaso, alto e di forma tondeggiante, in cui si mescolavano acquaa e vino) attribuito al Pittore del Frutteto, dove osserviamo alcune coppie di uomini e adolescenti intenti nelle loro vicissitudini amorose.

Decisamente insolita è invece la scena che Apollodoros, uno dei principali ceramisti attivi attorno al 500 a.C. (conosciamo il suo nome in quanto è stato ritrovato in diversi vasi che gli possono essere attribuiti), esegue su di una kylix: troviamo due donne completamente nude, una in piedi che regge una coppa, e l’altra accovacciata mentre strofina la mano sul pube dell’altra. Quella che potrebbe sembrare una scena di amore lesbico è stata variamente letta o come la raffigurazione di una depilazione (quella in basso sta quindi radendo il pube dell’altra), oppure come la descrizione dei preparativi che due etére stanno eseguendo in vista di un banchetto in seguito al quale si uniranno ai loro uomini. Le etére erano cortigiane: non semplicemente prostitute per soddisfare gl’istinti dei maschi, ma accompagnatrici che dovevano essere brillanti, saper intrattenere conversazioni anche di livello sostenuto (la loro cultura dunque era generalmente superiore a quella delle altre donne del tempo), ed eventualmente anche concedersi (una figura simile, in sostanza, a quella della cortigiana della Venezia del Cinquecento). In questa scena probabilmente la donna inginocchiata sta ungendo la vagina della compagna con olii profumati per prepararla a un rapporto. Potrebbe però trattarsi anche del preludio di un rapporto lesbico: sebbene non si sappia molto sull’omosessualità femminile nell’antica Grecia, rimangono le poesie di Saffo che ci parlano dell’amore di una donna per un’altra donna, e poi ancora i versi di Anacreonte, le testimonianze di Plutarco. L’amore lesbico doveva dunque essere praticato nell’antica Grecia, sebbene senza probabilmente assumere i connotati di una pratica sociale codificata come l’amore tra uomini.

Pittore della Gabbia, Kylix con adulto che seduce un giovane donandogli un leprotto (490-470 a.C. circa; ceramica a figure rosse; Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale)
Pittore della Gabbia, Kylix con adulto che seduce un giovane donandogli un leprotto (490-470 a.C. circa; ceramica a figure rosse; Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale). Foto di Francesco Bini
Pittore del frutteto, Cratere con scene di corteggiamento omosessuale (470-450 a.C. circa; ceramica a figure rosse; Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale)
Pittore del frutteto, Cratere con scene di corteggiamento omosessuale (470-450 a.C. circa; ceramica a figure rosse; Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale). Foto di Francesco Bini
Apollodoros (attr.), Scena con due donne (490-480 a.C. circa; ceramica a figure rosse; Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale)
Apollodoros (attr.), Scena con due donne (490-480 a.C. circa; ceramica a figure rosse; Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale). Foto di Francesco Bini

Nella collezione del Museo Nazionale di Tarquinia sono però in numero maggiore le scene di amore eterosessuale: si tratta per lo più di rapporti sessuali espliciti, colti in pieno svolgimento oppure durante i preparativi come accade, per esempio, nella pelíke (un vaso per liquidi) attribuita all’ambito del pittore di Nikoxenos, dove vediamo in una scena un uomo itifallico (ovvero con il pene eretto) mentre solleva la tunica di una donna, dopodiché si unisce a lei in un coito in cui la prende da dietro, esattamente come succede nella kylix del pittore di Briseis, dove la donna, che in questo caso è compltamente nuda, si appoggia con i gomiti a un supporto mentre un uomo la penetra ugualmente da dietro. Nelle due kylix del pittore di Triptolemos vediamo invece due coppie impegnate nella posizione dell’ostrica viennese, variante del classico missionario in cui la donna appoggia le caviglie sulle spalle dell’uomo (anche in questa raffigurazione distinguiamo chiaramente il pene dell’uomo che inizia a penetrare la donna). Nell’opera del pittore di Briseis e in una delle due kylix del pittore di Triptolemos vediamo che la donna ha legato alla coscia un sottile amuleto, che la identifica come etéra, oggetto che invece non vediamo nelle altre raffigurazioni.

La critica ha sostanzialmente sempre identificato le donne rappresentate in queste scene come etére, ma di recente questa convinzione è stata messa in dubbio dallo studioso Alessandro Baccarin, che ha ritenuto questa interpretazione fuorviata dal nostro modo di concepire le relazioni sentimentali. “Le categorie che gli storici dell’arte e gli antichisti utilizzavano per ‘leggere’ queste scene”, spiega Baccarin, “erano quelle del fallocentrismo e della pornografia: queste immagini indicavano la violenza subita dalle donne nel mondo greco, il loro utilizzo come oggetti sessuali, l’esplicitazione come sollecitazione sessuale per lo sguardo maschile. Di qui l’identificazione dei soggetti femminili ritratti con prostitute, etere o intrattenitrici sessuali, identificazione possibile attraverso l’associazione fra nudità-esplicitazione sessuale e prostituzione-pornografia. Questo tipo di lettura, comune agli studi degli anni Settanta e Ottanta, si fondava sull’applicazione distorsiva all’antico di uno sguardo moderno, sguardo attivato da categorie altrettanto moderne. L’ipotesi, ad esempio, che quel tipo di ceramica fosse preclusa allo sguardo delle donne e che rimanesse confinata nella sala da banchetto per essere gestita esclusivamente da uomini, si fondava sull’applicazione al mondo antico proprio di quella dimensione segregativa che la nudità e l’erotismo aveva subito nella politica museale o nella gestione della pornografia fra XIX e XX secolo”. L’identificazione delle donne nelle ceramiche attiche a soggetto erotico rimane dunque un problema aperto, da risolvere tenendo presente che le ceramiche erano oggetti di uso quotidiano e che finivano poi per far parte dei corredi funebri. La conclusione, secondo Baccarin, è che “ci troviamo di fronte ad una declinazione dell’erotismo per noi estranea. L’amplesso è in primo luogo un motivo ornamentale. In secondo luogo richiama l’unità fra piacere, amore, desiderio, fertilità. Un’insieme di categorie queste che noi siamo abituati a dissociare fra saperi (sessuologia e pornografia), fra spazi (il pornografico e il non pornografico, quindi il privato ed il pubblico), fra soggetti (la prostituta e la donna comune) diversi. D’altronde nel mondo greco erano le donne a gestire i riti funerari per i loro congiunti, e quindi erano le loro mani, nonché il loro sguardo, a collocare e scegliere la ceramica da simposio a tema erotico nelle tombe dei loro famigliari”.

Ambito del pittore di Nikoxenos, Pelike con scene erotiche (500-480 a.C. circa; ceramica a figure rosse; Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale)
Ambito del pittore di Nikoxenos, Pelike con scene erotiche (500-480 a.C. circa; ceramica a figure rosse; Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale). Foto di Francesco Bini
Ambito del pittore di Nikoxenos, Pelike con scene erotiche (500-480 a.C. circa; ceramica a figure rosse; Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale)
Ambito del pittore di Nikoxenos, Pelike con scene erotiche (500-480 a.C. circa; ceramica a figure rosse; Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale). Foto di Francesco Bini
Pittore di Briseis, Kylix con scena erotica (480-460 a.C. circa; ceramica a figure rosse; Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale)
Pittore di Briseis, Kylix con scena erotica (480-460 a.C. circa; ceramica a figure rosse; Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale). Foto di Francesco Bini
Pittore di Triptolemos, Kylix con scena erotica (500-480 a.C. circa; ceramica a figure rosse; Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale)
Pittore di Triptolemos, Kylix con scena erotica (500-480 a.C. circa; ceramica a figure rosse; Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale). Foto di Francesco Bini
Pittore di Triptolemos, Kylix con scena erotica (480-460 a.C. circa; ceramica a figure rosse; Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale)
Pittore di Triptolemos, Kylix con scena erotica (480-460 a.C. circa; ceramica a figure rosse; Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale). Foto di Francesco Bini

Infine, una curiosità: le ceramiche del Museo Nazionale Archeologico di Tarquinia erano state molto apprezzate dal grande scrittore inglese David Herbert Lawrence, che nel 1927, durante il suo ultimo viaggio in Italia, visitò i luoghi dell’antica Etruria, e i suoi appunti confluirono nel libro Etruscan Places, pubblicato postumo nel 1932. I capitoli sono divisi per città visitate, e il secondo è dedicato a Tarquinia: la sezione sulla città laziale si conclude proprio con la visita al museo di Palazzo Vitelleschi, che a soli tre anni dall’apertura aveva un assetto del tutto simile a quello attuale, con le sculture in pietra e i sarcofagi esposti al pianterreno, e le ceramiche nelle sale del piano nobile.

“Al piano superiore del museo”, scrive Lawrence, “ci sono molti vasi, dalle antiche ceramiche dei villanoviani al più recente vasellame nero decorato con incisioni, o non decorato, chiamato bucchero, fino ad arrivare ai recipienti, ai piatti e alle anfore che provenivano da Corinto e da Atene, o ai vasi dipinti realizzati dagli stessi etruschi, che seguivano all’incirca i motivi greci”. Secondo Lawrence, l’arte della ceramica dipinta non era proprio la specialità degli etruschi, ma dalle collezioni di Tarquinia si percepisce tutta la passione che quest’antica popolazione coltivava nei confronti di quest’arte. “In tempi molto antichi”, scrive ancora l’autore di Lady Chatterley’s Lover, “gli etruschi dovevano aver fatto navigare le loro navi verso Corinto e Atene, portando forse grano e miele, cera e vasellame in bronzo, ferro e oro, e tornando indietro con questi preziosi vasi, e oggetti, essenze, profumi e spezie. E i vasi portati di qua dal mare in ragione della loro bellezza dovevano essere considerati tesori per la casa”. Anche noi oggi li consideriamo estremamente preziosi: sono oggetti di grande bellezza, e ci rivelano anche tantissime informazioni sulla vita presso queste antiche civiltà.

Bibliografia di riferimento

  • Mario Cesarano, Danae, Perseo e Acrisio tra gli Etruschi di Spina, in Engramma, 178 (2020-2021), pp. 45-88
  • Alessandro Baccarin, Archeologia dell’erotismo. Ascesa ed oblio dell’ars erotica greco-romana, Efesto Edizioni, 2018
  • Elisa Marroni, Vasi attici a figure rosse da Tarquinia, ETS Edizioni, 2017
  • Vincenzo Bellelli, Particolarità d’uso della ceramica comune etrusca, in Mélanges de l’École française de Rome - Antiquité, 126–2 (2014)
  • Sergio Musitelli, Maurizio Bossi, Remigio Allegri, Storia dei costumi sessuali in Occidente dalla Preistoria ai giorni nostri, Rusconi Libri, 1999
  • Otto Brendel, The Scope and Temperament of Erotic Art in the Greco-Roman World in Theodore Bowie and Cornelia Christenson, Studies in Erotic Art, Basic Books, 1970, pp. 3-69.

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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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