Il Pergolato di Silvestro Lega: la poesia macchiaiola della tranquillità


Opera-manifesto di Silvestro Lega (Modigliana, 1826 - Firenze, 1895), “Il Pergolato” è anche forse la sua opera più famosa. Conservata alla Pinacoteca di Brera, è un capolavoro della pittura macchiaiola.

È curioso sapere che oggi ci riferiamo al più noto capolavoro di Silvestro Lega con un titolo che il suo autore non ha mai sentito in tutta la sua vita. Ed è addirittura sorprendente rendersi conto che non sappiamo niente dei primi cinquant’anni di vita di questo dipinto. Lega lo presentò, assieme ad altri due dipinti (La visita e un perduto Ritorno da san Salvi), col titolo Un dopo pranzo, nel 1868, alla mostra della Promotrice fiorentina, la società di promozione delle belle arti che organizzava regolarmente rassegne con lo scopo di sostenere l’operato degli artisti e far conoscere le loro novità. Il dipinto non suscitò particolari clamori: Adriano Cecioni, recensendo la mostra nel febbraio del 1869 con lo pseudonimo di Ippolito Castiglioni, affermava che La visita era il migliore dei tre lavori presentati da Lega, per il fatto che gli altri due “paiono fatti a posta per mettere in evidenza delle qualità, mentre in questo si vedono le qualità applicate per dare evidenza a un quadro”. Poi, per almeno dieci lustri, del Dopo pranzo non s’è quasi più sentito parlare. Riemerge molti anni dopo la scomparsa dell’artista, nel 1914, inventariato nella collezione Galli di Firenze. È poi attestato nella collezione Rosselli di Viareggio e infine ricompare nel 1931 alla Galleria Pesaro di Milano, dove viene acquistato dall’Associazione degli Amici di Brera, che lo donano alla Pinacoteca, garantendo i presupposti per il suo successo e per la sua elevazione a manifesto poetico del grande pittore romagnolo, il più intimo, e poi il più tormentato, dei macchiaioli.

Nel frattempo, nel 1923, Mario Tinti aveva coniato per l’opera il titolo con cui è oggi nota ai più: Il pergolato. Lo aveva chiamato così, improvvisamente, senza fornir giustificazioni. E occorre riconoscergli il merito d’averne per primo inquadrato la grandezza: “opera di grande poesia, oltre che di grande pittura, in cui il luogo, l’ora, i tipi diversi delle donne sono intuiti acutamente e raffigurati con una perspicacia ed esattezza d’esecuzione che possono aver riscontro nei sommi olandesi”. Per Tinti, Il pergolato era l’equivalente in pittura dei più bei brani di Flaubert o di Manzoni, per la sua tenuta e per la sua politezza. È una scena d’intima quiete nella campagna toscana di Piagentina, all’epoca placida distesa di campi alle porte di Firenze, oggi quartiere popoloso e trafficato. Il paesaggio dei macchiaioli non esiste più, cancellato dall’urbanizzazione. A quell’epoca però era un luogo di ritrovo abituale dei pittori della macchia: a inaugurare la stagione di Piagentina, nel 1860 o giù di lì, era stato proprio Silvestro Lega, che aveva scoperto quest’umile scorcio di campagna quasi per caso, e vi aveva conosciuto la famiglia Batelli, innamorandosi, ricambiato, di Virginia. Lega, mosso dall’amore per la ragazza e per la natura, frequenta la casa dei Batelli, soggiorna a più riprese a Piagentina, e convince molti altri artisti del gruppo (Signorini, Abbati, Borrani, Sernesi... ) a studiare il paesaggio dal vero in questa modesta campagna, così comoda e vicina alla città. È una delle stagioni più felici della pittura macchiaiola.

Silvestro Lega, Il pergolato (1868; olio su tela, 75 x 93,3 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)
Silvestro Lega, Il pergolato (1868; olio su tela, 75 x 93,3 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)

Silvestro Lega riversa la sua serenità in questa istantanea d’un pomeriggio estivo sotto un pergolato coperto da rigogliose fronde di vite, mentre attorno i campi sono bruciati dal sole che inonda di luce il cielo: il tono è quello lattiginoso tipico dei giorni più caldi. L’ombra lunga del muretto, sul quale poggiano grandi vasi di margherite, suggerisce un’ora tarda, che in certa misura attenua la sensazione della calura. Tre giovani donne e una bambina trovano riparo all’ombra del pergolato: una cerca di rinfrescarsi con un ventaglio, un’altra vestita in nero rivolge lo sguardo alla bambina, tenuta per le spalle dalla ragazzina che sta dietro di lei. La piccola è la più insensibile alla canicola, che invece par quasi opprimere le altre tre. Non però al punto da rinunciare al rito pomeridiano del caffè: ecco dunque che una cameriera arriva, lenta, dalla casa che immaginiamo sulla destra, portando su di un vassoio la caffettiera dopo aver già posato le tre tazzine che vediamo sulla panca, in attesa d’esser riempite. Dietro, sul fondo, alcuni casolari e, in lontananza, i cipressi: il punto di fuga spostato verso sinistra c’invita a non concentrarci troppo sulle figure, e a spaziare con l’occhio oltre il cortile.

La grande critica d’arte Fernanda Wittgens, commentando l’acquisto del Pergolato da parte degli Amici di Brera, ne aveva sapientemente sottolineato il doppio valore: quello umano da una parte, e quello artistico dall’altra. Il pergolato è, anzitutto, un capolavoro di quella che lo stesso Tinti riconosceva come la “maniera pacata” di Silvestro Lega, un’opera nella quale il grado di semplificazione formale, con quelle “erbe che mareggiano in onde di luce” e gli alberi che “si stagliano come morbide masse di colore sul cielo perlaceo” (così Wittgens), tocca uno dei suoi apici: la teoria della macchia, con le sue masse giustapposte, con i suoi contrasti forti di luce e ombra (bastino da soli il meraviglioso brano della luce del sole che filtra tra i rami del pergolato e raggiunge il pavimento del cortile, e la poetica resa in controluce delle figure delle donne), col suo senso dello spazio che sostiene la composizione, è qui declinata in una pittura dagli accenti morbidi e delicati, che stemperano l’afa dell’estate in una visione di soave calma domestica.

Non sono però soltanto i valori formali a fare di questo dipinto un capolavoro. Per Wittgens, Il pergolato si configurava come un arricchimento fondamentale per le collezioni braidensi, intanto perché era testimone del passaggio dalla maniera disegnativa della tradizione (che ancora anima il dipinto: e Lega, peraltro, vi era tornato dopo aver realizzato un bozzetto dal taglio ben più “impressionista”, per così dire, oggi alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, singolare anche perché il cortile è privo di figure) al “pittoricismo puro dell’arte moderna”. Ed è interessante notare come, ad Antonio Paolucci, il ritmo lento del Pergolato ricordava la gravità solenne d’un Paolo Uccello o d’un Filippo Lippi. Il pergolato potrebbe quasi sembrare il baldacchino d’una pala rinascimentale. E poi, era un arricchimento fondamentale per le collezioni di Brera perché costituiva uno dei primi contraltari all’intonazione romantica della raccolta. La scena di dimessa vita borghese di Silvestro Lega è l’esatta antitesi della pittura romantica: vi leggiamo, per adoperare le parole di Wittgens, un “pacato conversare di donne dalla squisita sensitività femminile, sigillata però nel riserbo del casto costume, dei gesti lenti e modulati, dalle pure, idealizzate ‘arie di volto’”. È attingendo dalla quotidianità più umile che l’artista romagnolo fissa i caratteri della “civiltà del Risorgimento”, un mondo piccolo e appartato che l’artista registra con affetto sincero e partecipe.

Lega, aveva detto Cecioni, è un pittore del vero che aveva dato dell’arte un concetto nettamente delineato: Silvestro Lega ama il vero senza secondi fini. E lo ama nella sua semplicità: Lega dipinge Il pergolato perché quella è la sua dimensione, quello è il suo mondo, quello è il ritmo che ama, quella è l’intimità in cui si sente tranquillo. Il poeta Dante Maffìa ha ben colto l’anima di questo dipinto: il giardino di Lega “può ripescare l’estasi, portarla a dimensione quotidiana / nella serenità dolce del pomeriggio / pacato, con le tazzine / sul tavolo e il verde degli alberi / nell’azzurro del cielo”. È la poesia dei gesti quotidiani ripetitivi e sereni, sublimazione simbolica e riposta della modernità borghese, esaltazione di quella vita tranquilla che Silvestro Lega avrebbe voluto per sempre immutata. Sappiamo che, di lì a breve, non sarebbe stato così: eventi tragici sconvolsero la sua vita e gli fecero conoscere l’abisso d’una crisi profonda, aprendo per lui una nuova stagione artistica. E Il pergolato è un capolavoro anche perché, in questa campagna, leggiamo in controluce anche lo stesso ideale di vita del pittore. E vedendo questo quadro ci piace immaginare lì anche lui, nel momento più felice della sua esistenza, con la sua Virginia, a conversare amabilmente con le donne di casa Batelli, al fresco del pergolato in un pomeriggio d’estate.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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