“Quasi incredibile come un quadro da chiesa”. Simon Vouet e il suo san Francesco tentato


Nel 1624, per la cappella Alaleoni nella chiesa di San Lorenzo in Lucina a Roma, il francese Simon Vouet (Parigi, 1590 - 1649), dipinse uno dei quadri più audaci e sensuali che siano mai entrati in una chiesa: la Tentazione di san Francesco.

Esattamente cent’anni fa, nel 1921, il fisiologo Mariano Luigi Patrizi pubblicava un libello che tentava una ricostruzione psicologica della personalità di Caravaggio a partire dalle sue opere: s’intitolava Un pittore criminale, e oggi lo si ricorda soprattutto perché s’annovera tra i testi che hanno contribuito a forgiare il mito del maledettismo del Merisi. Nel capitolo dedicato alla vita sentimentale ed emotiva del pittore, Patrizi s’era avventurato in un confronto tra Caravaggio e Simon Vouet, semplicemente per stabilire che il lombardo, il padre del verismo pittorico, non aveva mai osato gli sfoghi di sessualità di cui, al contrario, era stato capace il francese: Patrizi aveva in mente la Tentazione di san Francesco, il temerario dipinto di Vouet che adorna la cappella Alaleoni nella chiesa di San Lorenzo in Lucina a Roma. “Presso un letto da lupanare una bagascia si sta svestendo”: così esordisce la descrizione di Patrizi. La scena, poco frequentata nella storia dell’arte ma tutt’altro che un hapax, richiama un preciso episodio dei Fioretti di San Francesco, la singolare raccolta di capitoli della vita del santo d’Assisi e dell’ordine francescano ch’era stata riunita nel Trecento, in latino, dal frate minore Ugolino Boniscambi.

L’episodio è narrato nel XXIV fioretto, quello in cui san Francesco converte alla fede cristiana il “Soldano di Babilonia”, che nell’agiografia francescana medievale (nella Legenda maior, per esempio) può esser identificato come il sultano d’Egitto, Al-Malik al-Kamil, realmente incontrato dall’assisiate durante il suo viaggio in Oriente, nel 1219. La leggenda racconta che, durante la sua permanenza, il santo fu indotto a peccare da una meretrice che lo condusse nella sua camera. Francesco preferì esser consumato dalle fiamme d’un braciere, piuttosto che da quelle della passione peccaminosa: si gettò pertanto sui carboni del fuoco vivo che bruciava per scaldare il locale, e invitò provocatoriamente la donna a giacere con lui sulle braci ardenti. La meretrice, spaventata, sconcertata e profondamente scossa perché Francesco non veniva scalfito dai carboni, si pentì del peccato e dell’intenzione, e meravigliata dal miracolo cui aveva appena assistito, scelse di convertirsi alla fede di Cristo.

Il tema iconografico era stato suggerito a Vouet da Paolo Alaleoni, maestro di cerimonie di papa Urbano VIII, nonché committente del ciclo dedicato a san Francesco, che doveva decorare la cappella di famiglia in San Lorenzo in Lucina. E il pittore francese lo risolse con un sensuale notturno intriso di caravaggismo nei suoi rimandi a una realtà vissuta, feriale, accesa e palpitante, riletto attraverso il filtro di Gerrit van Honthorst e di Trophime Bigot, e però con gli occhi rivolti ai pittori emiliani. Su tutti Giovanni Lanfranco, notava Roberto Longhi, e in particolare il Lanfranco “romano” del secondo decennio del secolo, con spunti desunti da soluzioni carraccesche: una mirabile sintesi di verità, finezza di pose, preziosismi cromatici. William Crelly ha scritto che Vouet, pur profondamente toccato dalle idee rivoluzionarie di Caravaggio, è comunque molto meno caravaggesco rispetto a tanti suoi contemporanei: per il parigino, il linguaggio caravaggesco sembra una scelta quasi istintiva, elaborata poi in dipinti complessi e meditati, coinvolgenti e potenti, come quello della cappella Alaleoni.

Simon Vouet, Tentazione di san Francesco (1624; olio su tela, 185 x 252 cm; Roma, San Lorenzo in Lucina)
Simon Vouet, Tentazione di san Francesco (1624; olio su tela, 185 x 252 cm; Roma, San Lorenzo in Lucina)

Il pittore francese, ha scritto Jacques Thuillier nella sua corposa monografia su Vouet, “non esita a trattare il soggetto in modo realistico”, scegliendo di abbozzare un notturno “con la manifesta volontà di dimostrare che egli può rivaleggiare con i luministi all’epoca in voga”, conferendo tuttavia alla scena “la grandezza e la severità del ‘quadro di storia’, grazie allo snellimento della composizione e alla potenza monumentale delle figure”. L’audacia di Vouet non è pertanto solo nei contenuti del dipinto: laddove “Honthorst o Bigot”, continuava Thuillier, “ridurrebbero il quadro a un monocromo per far meglio risaltare il chiaroscuro, Vouet cerca di conservare il colore, salvo poi ristabilire l’equilibrio attraverso toni scuri, saturi, e tanto più raffinati”.

La scena è ambientata nella camera della donna, illuminata da una candela che rischiara di luce irrealistica gli stipiti marmorei, gli alari del camino, la cornice del quadro. Brillano anche i corpi della meretrice e del santo, che s’è appena gettato sulla brace. Con quella candela, par quasi che Vouet voglia lanciare una sfida ideale al suo conterraneo Bigot, nella cui produzione mancano soggetti in cui la fiaccola illumini un contesto in cui si sta svolgendo un’azione, che peraltro nel dipinto di San Lorenzo in Lucina è tesa, serrata, inizia e si consuma nello spazio d’un tempo brevissimo. L’impeto con cui Francesco s’è buttato a terra è suggerito dalla posa complicata, col gomito sinistro poggiato a terra e la gamba contrapposta che ancora par cercare una posizione confortevole, oltre che dall’espressione ancora sgomenta. È nudo, solo un velo gli copre le parti intime. Sul fondo, oltre la porta che dà accesso alla stanza, si scorge una figura: secondo Crelly potrebbe essere il diavolo in persona, costretto a constatare “che il suo potere è inefficace contro la castità di san Francesco”.

Lei, invece, discinta, provocante, rutilante tra i bagliori della luce, è coperta da un pesante mantello bordato di pelliccia che le è già sceso dalla spalla destra a disvelare la camicia, e la sua posa, una citazione pressoché letterale della Salomè che compare nella Decollazione del Battista dipinta da Van Honthorst per Santa Maria della Scala a Roma, pare quasi comunicare entrambi i momenti della storia: mentre solleva la veste a scoprir la gamba, nel tentativo di solleticare le fantasie del santo, è ancora la tentatrice che vuol far piombare Francesco nel peccato, ma il gesto quasi ritroso del braccio sinistro è il primo moto di stupore per il miracolo che si sta consumando dinnanzi ai suoi occhi, e che la porterà a convertirsi alla fede e a trascorrere il resto della vita in opere di carità, come narrano i Fioretti. È come colta in un momento in cui avanza e arretra allo stesso tempo, in una specie di danza pregna d’un erotismo sottile, e che coinvolge anche il santo, sorpreso da Vouet nel pieno della sua lotta per reprimere gl’impulsi.

Sono molti gli studiosi che hanno sottolineato la stranezza di questo dipinto: probabilmente nessuna tela destinata a una chiesa è mai stata audace quanto la Tentazione di Vouet, né forse altre mai ne hanno eguagliato gl’intensi sottendimenti erotici. Anna Colombi Ferretti ha scritto che il capolavoro di Vouet è un dipinto “quasi incredibile come quadro da chiesa”, peraltro riferendosi alla tela con un’altra titolazione: San Francesco tentato dalla cortigiana, che sarebbe stata poi suggerita anche da Thuillier, in quanto titolo molto più preciso dell’usuale Tentazione di san Francesco. Un titolo anche più completo: quello che Simon Vouet rappresenta è lo scontro tra sensi e fede nel pieno del suo svolgimento. Anzi, forse è un momento in cui prevalgono i sensi: s’avverte ancora il disagio del santo, il tormento del suo animo è ancora ben visibile, la meretrice non s’è ancora ritirata dal morboso proposito d’unire le sue carni con quelle di Francesco, la presa di consapevolezza dell’avvenuto miracolo è ancora in una prima fase, istintiva.

Ma la presenza di questo dipinto in una chiesa è giustificata, non solo perché il movimento di quella delicata mano femminile è il primo embrione della conversione, ma anche perché, nel descrivere con tanta quotidiana vividezza le difficoltà del santo, Vouet vuole probabilmente dimostrare al fedele quanto sia arduo controllare gl’istinti e quanto sia costellata di difficoltà la sua strada. Eppure, anche davanti a una così facile e tangibile possibilità di cedere, esiste una via per non lasciarsi sopraffare: era questa l’idea che il quadro doveva suggerire al fedele del Seicento. E per trasmetterla, la pittura sacra del tempo ammetteva anche scene così concrete. Son queste le ragioni che oggi ci consentono di ammirare in San Lorenzo in Lucina uno dei dipinti più sensuali che siano mai entrati in una chiesa.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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